UNA VOCE DALL’ESILIO

“Perché i fondamentalisti uccidono il mio Corano “

di Abu Zayd Nasr

Nasr Hamid Abu Zayd

Fui un simpatizzante dei Fratelli musulmani. Non ero contro la rivoluzione, né ero contro Nasser, ero però dell’opinione che l’Islam fosse una cosa importante e che il governo invece ne abusasse.

Non che considerassi tutta la società «miscredente», come invece affermavano i Fratelli musulmani, ma c’era qualcosa che mancava. All’epoca il governo era riuscito a controllare l’Università di al-Azhar e ad utilizzarla nella lotta contro i Fratelli musulmani. Al-Azhar obbedì e cominciò a lodare i vantaggi del socialismo, del nazionalismo arabo, della pianificazione familiare e altro.

Le manipolazioni furono talmente evidenti da suscitare la mia rabbia. Oggi si sa perché Nasser fu così intransigente nel perseguitare i Fratelli musulmani: essi avevano appoggiato la rivolta degli Ufficiali Liberi del 1952, alcuni di loro avevano affinità ideologiche con gli Ufficiali liberi. Dopo il golpe però, i Fratelli musulmani volevano che l’Islam venisse dichiarato religione di stato e che la shari’a diventasse l’unica fonte del diritto.

Gli Ufficiali liberi invece non vollero cedere il loro potere, e offrirono ai Fratelli musulmani soltanto il ministero degli affari religiosi. Lo Stato cominciò a perseguitare i Fratelli musulmani, i quali nel 1954 reagirono con un attentato alla vita di Nasser. Ne seguì l’esecuzione di molti di loro. […]

Nutrivo ancora molto rispetto per la persona di Nasser e mi riconoscevo nei valori della rivoluzione, nell’obiettivo di una distribuzione più equa delle ricchezze e di una partecipazione dei ceti più poveri all’istruzione e ai servizi sociali. […] Ma sono stato derubato di un sogno, nobile e bello. Di fronte alla disfatta del 1967 mi meravigliai soltanto che nessuno l’avesse prevista. Nonostante avessi previsto la sconfitta, fu un momento tragico per me. Avevo intuito che un popolo che non è libero non è in grado di lottare. Sapevo che uomini derubati della loro dignità non possono essere dei buoni combattenti. E malgrado tutto ciò, la sconfitta fu terrificante.

Rimasi come stordito per una settimana intera. Soltanto quando i popoli, ad un certo punto, riescono a trovare la forza per distruggere le proprie figure-simbolo, allora probabilmente riescono a essere liberi. E Nasser è stato una di queste figure-simbolo. Il popolo egiziano lo amava.

Ma, come nella vita dell’individuo, anche in quella dei popoli arriva il momento in cui deve avvenire ciò che Freud chiama l’uccisione del padre, cioè appunto la liberazione dal dominio del padre.

Il carisma di Nasser ha fatto in modo che il popolo egiziano vedesse in lui il padre, per liberarsi il popolo avrebbe dovuto ucciderlo. In sé, non sarebbe stata importante tanto la sentenza di un tribunale, quanto il fatto che un sovrano si fosse sottoposto al giudizio di un tribunale. Il popolo egiziano in quel momento avrebbe potuto prendere l’iniziativa, invece gli diede carta bianca, anche se Nasser non aveva più alcuna possibilità di sfruttarla. Ogni altro leader avrebbe potuto farne dei miracoli, Nasser invece era già finito. Ebbe inizio così un periodo di grandi disordini e di molteplici intrighi.

La scoperta dell’ermeneutica

Dalle letture di Gadamer, Heidegger, Ricoeur, fatte in contemporanea a quella di  Ibn Arabi, mi apparve improbabile l’esistenza di due filosofie, una occidentale e l’altra orientale. Certamente i testi ricorrevano a terminologie, a metafore o ad una sintassi diverse, però fondamentalmente trattavano tutti lo stesso argomento: il rapporto tra il testo ed il suo lettore.

Il testo in questione poteva essere un testo rivelato, un’opera d’arte o riguardare il mondo intero, ma per poter esistere aveva sempre bisogno di essere letto. Contemporaneamente mi accorsi che la lingua non era soltanto un ricettacolo neutro, ma che era coinvolta nel formarsi dell’argomento. Fu allora che pubblicai il primo saggio in lingua araba sull’ermeneutica occidentale, che, iniziata con l’interpretazione del Vecchio Testamento, fornì a quest’ultima le basi teoriche.

Più tardi l’ermeneutica fece il suo ingresso anche in altre scienze, come la filosofia, l’estetica, le scienze letterarie, e anche in quelle sociali.

Tutto ciò, da noi, non si è verificato: l’ermeneutica araba è rimasta relegata all’esegesi coranica.

La crescita del fondamentalismo

Quando Sadat fu assassinato il 6 ottobre 1981 da quegli stessi che lui aveva contribuito a rafforzare, tutto l’Egitto rassomigliò ad un carcere. Un mese prima del suo assassinio, Sadat aveva definitivamente rotto con gli islamisti che reclamavano per sé il potere. Aveva imprigionato molti di loro e contemporaneamente aveva fatto arrestare in un’unica notte centinaia di intellettuali. Il primo sforzo di Mubarak, che succedette a Sadat, fu quello di rasserenare la situazione: rilasciò gli intellettuali e tentò di integrare i cosiddetti islamisti «moderati» nel sistema di potere.

La vera colpa di Mubarak tuttavia, così come dei suoi predecessori, consistette nella chiusura nei riguardi delle riforme democratiche. È dal 1981 che in Egitto vige la legge marziale.

Gli islamisti nel frattempo avevano già cominciato la loro marcia per conquistare spazio all’interno delle istituzioni e per avere un controllo sempre maggiore delle associazioni studentesche, delle varie categorie professionali, così come dei sindacati.

Contemporaneamente l’opposizione laica si era ulteriormente indebolita. Il terrorismo fisico si trasformò in terrorismo psicologico e si diffuse nella società.

Così facendo si creò un contesto nel quale divenne possibile che un tribunale condannasse un uomo per un reato chiamato apostasia e imponesse il divorzio a due coniugi, contro la loro volontà.

Il Corano

Il tratto specifico della civiltà islamica è l’autorità esercitata dal Testo.

Ciò non significa che razionalità ed altri fattori non siano importanti, ma che la sua peculiarità risiede nella funzione svolta dal Corano. È indubbio che dallo studio del Corano non sia scaturita solo la teologia, ma anche tante altre scienze, quali la grammatica, la letteratura, la giurisprudenza, la storiografia e le espressioni artistiche tipiche, come ad esempio la calligrafia ed il canto. Vi è però una grande differenza tra il riconoscere l’autorevolezza religiosa di un testo, sottolineandone la funzione generatrice di civiltà, e l’attribuirgli un’autorità assoluta su tutti gli ambiti della vita.

Il Corano è un’autorità in campo religioso, ma non è la cornice entro la quale contestualizzare le scoperte della scienza storica o della fisica. Oggi, tuttavia, si sta rafforzando la tendenza a pensarlo come «contenente già tutte le verità conosciute o conoscibili dalla ragione». Il ché è pericoloso ed ha in sé due conseguenze.

Da un lato sminuisce il significato della razionalità umana e consolida contemporaneamente l’arretratezza, dall’altro trasforma il Corano, da testo della Rivelazione, in un trattato politico, economico o giuridico. Lo priva così di una parte della sua essenza e cioè della sua specifica dimensione religiosa e spirituale. […]

Nella genesi coranica i due sessi sono parificati. La divisione dell’anima in una coppia non genera nessuna superiorità di una parte rispetto all’altra. E’ vero che il Corano cita spesso il nome Adamo, mentre non appare mai quello di Eva, ma nel Corano Adamo non rappresenta l’«uomo maschio»,e neppure uno specifico essere umano, bensì tutto il genere umano. Il Corano non distingue tra l’azione religiosa di un uomo e quella di una donna, neppure quando tratta della loro punizione o premio nell’aldilà. (ehm …e le 72 vergini? ndR)

L’accusa di apostasia

Tutto procedette normalmente fino al 1995, quando ebbe inizio la disputa a proposito della mia promozione. L’Università del Cairo mi aveva rifiutato l’ordinariato in seguito all’accusa di apostasia, rivoltami in uno dei tre rapporti richiesti dall’università per valutare il mio operato intellettuale. Gli altri due avevano appoggiato con insistenza la mia promozione, ma il senato accademico aveva dato seguito al voto minoritario di ’Abd as-Sabur Shahin, basato su una miriade di insulti, travisamenti e diffamazioni.

Aveva attribuito alle mie opere idee pervertite e pensieri ateo-marxisti, e persino il «più abominevole disprezzo dei fondamenti della religione».

Poi cominciarono ad apparire nella stampa articoli che mi attaccavano e che si riferivano, tutti quanti, al solo rapporto negativo di ’Abd as-Sabur Shahin e alla sua predica del venerdì nella principale moschea del Cairo […] in cui si faceva riferimento a un professore comunista ed ateo, dell’Università del Cairo, il quale, vistasi negata la promozione, stava infiammando gli animi dei comunisti. Cominciarono allora ad apparire caricature disgustose, di cui la peggiore fu forse quella dove si vedeva un uomo corpulento, il quale colpiva con un pugnale il Corano facendone uscire del sangue. Il titolo della vignetta era: Nasr Abu Zayd.

Nella nostra facoltà si insegnava poesia, filosofia, storia e islamistica. Molti studenti ora rifiutavano ogni novità: non accettavano la discussione, la respingevano. […]. Ci ritrovammo con una tipologia di studenti universitari programmata per ragionare in una sola dimensione: quella delle cose permesse o vietate. Se, durante una lezione, accennavo ad una poesia d’amore, poteva accadere che una diciottenne si alzasse per dire che nell’Islam le poesie d’amore erano proibite. Ed allora, io, in che situazione mi venivo a trovare? Invece di adempiere al mio compito, e quindi discutere della struttura e dei contenuti di una poesia, ne dovevo illustrare la legittimità all’interno dell’Islam. Mi dovevo abbassare ad un livello non degno dell’istituzione universitaria, quello del permesso e del vietato. E man mano si scendeva sempre più verso il basso.

È facile immaginare cosa accadesse quando, durante i miei corsi sul Corano, affermavo, per esempio, che il Corano è un prodotto della sua cultura.

L’insegnamento per me era un piacere, la mia vocazione. Ma ora mi sentivo come uno schiavo ai lavori forzati. Tutto il caso scatenato dalla mia promozione negata mi sembrava soltanto un episodio di quest’incubo più grande. […]

Ho conosciuto altre culture negli Stati Uniti, in Europa e a Tokyo. Sono ritornato per insegnare ciò che avevo imparato: che il mondo è grande, che né il Cairo, né Tokyo, né New York sono il mondo, ma che tutto messo assieme è il mondo.

La forza della fede

Non mi è dato di giudicare la fede di una persona, ma soltanto le sue opere. Chi si rende utile alla società, all’umanità, chi aggiunge del buono al Regno di Dio è figlio di questa comunità, che sia cristiano, ebreo, ateo, druso o quant’altro. Molto, moltissimo tempo fa incontrai un’indovina che leggeva la mano. Non credo in queste cose, ma lei guardò la mia mano e mi disse:«Nel tuo cuore porti una moschea di Dio che splende!»

In arabo la parola «moschea» (masjid) significa «luogo dove prostrarsi davanti a Dio» ed il mio cuore è tale luogo.

Se fossi davvero come è stato detto di me, sarei stato annientato.

Nessuno saprebbe opporre tanta resistenza se non avesse la fede ( Abu Zayd Nasr).

dal Riformista 24 nov 2004, “Perché i fondamentalisti uccidono il mio Corano ” di Abu Zayd Nasr , autore di Una vita con l’Islam ( Il Mulino, 2004). L’articolo del professore egiziano finito esule in Olanda ce lo fornisce Rolli ( grazie a Herakleitos )

Fonte: http://www.rolliblog.net/archives/002574.html#more

***

Copertina 09796-1

Nato a Quhâfa, in Egitto, nel 1943, Abù Zayd , già professore all’Università del Cairo, nel 1995 è stato condannato come apostata, con la conseguenza tra l’altro che sua moglie sarebbe stata costretta a divorziare in quanto non è permesso a una donna musulmana restare sposata con un apostata. Costretto all’esilio dalla persecuzione dei fondamentalisti islamici, Abu Zayd è autore di una decina di opere sul pensiero arabo classico e contemporaneo, insegna attualmente all’Università di Leida, in Olanda, dove vive insieme alla moglie che lo ha seguito nell’esilio.

In Italia è già apparsa una sua raccolta di scritti, “Islam e storia. Critica del discorso religioso” (Bollati Boringhieri, 2002).

Il libro “Una vita con l’islam” ( Il Mulino, 2004) intreccia memorie personali e riflessioni tra Oriente e Occidente, sullo sfondo delle vicende mediorientali degli ultimi decenni. Uomo religioso e spirito indipendente, Abû Zayd parla in queste pagine, raccolte da Navid Kermani, della sua fede e della sua passione intellettuale, dell’amore e della delusione nei confronti dell’Egitto, di libertà e di democrazia, dei rapporti tra religione e politica nell’Islam, dell’ascesa del fondamentalismo: un racconto che porterà il lettore ad avvicinarsi al marasma della civilizzazione islamica e alla resistenza opposta all’ oscurantismo da pochi uomini sensibili e riflessivi di cultura musulmana: non in modo ideologico, ma al prezzo dell’esilio e attraverso una coinvolgente esperienza di fede e di vita vissuta in tempi di barbarie di matrice islamica e transnazionale, ormai ubiquitaria e diffusa.

Navid Kermani, nato nel 1967, ha studiato islamistica, filosofia e teatro. Nel 2001 gli è stata affidata la direzione del gruppo di lavoro “Modernità e Islam” presso il Wissenschaftskolleg di Berlino.

—–

OPERE RECENTI di Abu Zayd Nasr

Rethinking the Qur’an: Towards a Humanistic Hermeneutics, Utrecht (Humanistics University Press) 2004.
Spricht Gott nur Arabisch? (Does God speak only Arabic?), in Michael Thumann (ed.),
Der Islam und der Westen, Berliner Taschenbuch Verlag, Berlin 2003, pp. 117-26.
Thus spoke Ibn Arabi (in Arabic), The Egyptian National Book Organization, Cairo 2003.
“The Dilemma of the Literary Approach to the Qurán”,
ALIF, Issue 22, the American University, Cairo 2003.
“How the West blunders on about Islam”,
Middle East Times, October 27 2002.
“Heaven, which way?”
Al-Ahram Weekly, issue 603, 2002.
“The Qur’an: God and Man in Communication”, inaugural lecture for the Cleveringa Chair at Leiden University (November 27th, 2000);
Entries in the
Encyclopaedia of the Qur’ân: Arrogance, Vol. I, pp. 158-161; Everyday Life: Qur’an In, Vol. II, pp. 80-97; Illness and Health, Vol. II, pp. 501-502; Intention, Vol. II, pp. 549-551; Oppression, forthcoming.

Questa voce è stata pubblicata in Varie. Contrassegna il permalink.

2 risposte a

  1. Lellina scrive:

    grazie per il tuo intervento sull´articolo del Gesú gay, concordo con don Barbero (che ho avuto il piacere di conoscere) e con te!

    L´ho letto solo ora perché di solito non leggo commenti ai post vecchi.

    Leggeró con calma i tuoi di articoli e commentéro
    buon proseguimento
    Andrea

  2. Schrader scrive:

    Gentile Sig. Gianni de Martino. Sono stato oggetto di una vile delazione. Per fortuna sono riuscito a conservare il mio posto di lavoro e la mia libertà (ho risciato un’accusa per “apologia”), ma per precauzione ho distrutto il mio blog. Si sappia che in Splinder ci sono spregevoli ricattatori (in questo caso si tratta di ricattarici) che in nome di “elevati standard morali” si fanno strumenti di una censura orwelliana, colpendo la possibilità del singolo di avere idee proprie O ANCHE SOLO DI URLARE LA PROPRIA RABBIA. Si prepara un futuro davvero oscuro…
    Adesso sto prendendo coraggio e ricostruendo il blog.
    Mi complimento con lei per la sua vasta cultura e per la sua apertura mentale, doti molto rare al giorno d’oggi.

    Cordiali saluti
    Schrader

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *