DOPO L’ONDA “ASSASSINA”

” VIVERE, SOLO VIVERE ?”

Innocente Onda in arrivo. Spiaggia di Hat Ray Lay ( Thailandia)

Vivere, solo vivere e fare letteratura, esiste forse un sogno più bello e crudele di questo? Dopo la grande onda “assassina” – troppo a lungo calunniata – la disillusione è lenta, si fa nel solco di uno sveglione di capodanno e con l’assistenza degli psicologi e degli psicopompi. Tanti ragazzi che saltellavano tra le onde e amavano fare il surf su cavalloni immensi mentre il sole giocava sui loro ombelichi, oggi sono stupiti da una natura ballerina che riduce le isole coralline a una pozzanghera e rimescola indifferentemente pezzi di creature, di tavole che galleggiano e avanzi di radici.

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Se qualcuno, magari non proprio il Grillo parlante o Topolino, ci avesse preavvertiti gentilmente dell’amarezza che è al fondo della cosiddetta natura e della sua solare e ridente innocenza, forse saremmo rimasti meno stupiti, non saremmo diventati così buonisti e avremmo potuto fare come Rimbaud quando una sera prese la Bellezza sulle sue ginocchia e la sculacciò. Che scompiglio nel giardino della natura, così come in quello della bellezza artistica !

Un tempo, se ben mi ricordo, la mia vita era un festino dove si aprivano tutti i cuori, dove tutti i vini scorrevano.

Una sera, ho fatto sedere la Bellezza sulle mie ginocchia. – E l’ho trovata amara. – E l’ho ingiuriata…

Mi sono armato contro la giustizia.

Sono fuggito. O streghe, o miseria, o odio, è a voi che il mio tesoro è stato affidato!

Io giunsi a far svanire nel mio spirito tutta la speranza umana. Su ogni gioia per strozzarla ho fatto il balzo sordo della bestia feroce.

Ho invocato i boia per mordere, morendo, il calcio dei loro fucili.

Ho invocato i flagelli, per soffocarmi con la sabbia, con il sangue. La sventura è stata il mio dio. Io mi sono disteso nel pantano. Io mi sono asciugato all’aria del crimine. E ho giocato dei bei tiri alla follia.

E la primavera m’ha portato l’orrendo riso dell’idiota ( magari zapatero, n.d.t).

Ora, proprio da ultimo essendomi trovato sul punto di fare l’estrema stecca, ho sognato di ricercare la chiave dell’antico festino, dove io riprenderei forse appetito.

La carità è codesta chiave. – Codesta ispirazione prova che io ho sognato!

Tu resterai iena, ecc. …,” si risente il demonio che m’incoronò di sì amabili papaveri. “Giungi alla morte con tutti i tuoi appetiti, e il tuo egoismo e tutti i peccati capitali.”

Ah! me la son presa troppo: – Ma, caro Satana, io te ne scongiuro, una pupilla meno irritata! e nell’attesa di qualche piccola vigliaccheria in ritardo, tu che ami nello scrittore l’assenza di facoltà descrittive o istruttive, io ti stacco questi pochi orribili foglietti dal mio quaderno di dannato ( Arthur Rimbaud, Les illuminations – 1873).

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Se le scienze, comprese le scienze umane ( spesso così poco umane!) non avessero trattato l’aspetto religioso della vita umana come un’arcaica favola primitiva, forse ciò che è avvenuto il 26 dicembre 2004 a quelle stesse isole da sogno di sui sopra, avrebbe suscitato meno stupore. Ricordo, incidentalmente, che uno stesso effetto confuso e stuporoso oscurò un mondo ballerino, il nostro, che l’11 settembre 2001, giunto al Ground Zero, si popolò di formichine incazzate e di penitenti incalliti, di buonisti farisaici e di fanatici pronti a circoscrive ogni minaccia nell’ambito di qualsiasi “diversità” o “diverso” sulla cui schiena appoggiare apocalittiche e salutifere bastonate – lasciandosi peraltro sfuggire quelle carogne di Bin Laden e dei suoi fratelli, in un pianeta che vive ancora nella convinzione della propria eternità. “ È una convinzione sbagliata di origine aristotelica – scrive René Girard – e che non mette in conto la possibilità che il nostro universo un domani possa essere distrutto…”. Distrutto dalle stecche prese da una natura bella, indifferente e ballerina, oppure dalle forze dell’odio che agitano tanti fratelli poco evoluti, in preda alle sempiterne forze dell’invidia e del rancore che naturalmente, insieme ad un eros smemorato, vanno consumando da sempre, pare, una battaglia in tanti cuoricini e cervellini presi in un giro che sembra senza fine di travestimenti multipli, anche armati di bombe-umane e coltellacci.

Insomma, se un padre non avesse dato le dimissioni e ci avesse detto ( magari senza fare il “ggiovane”, il cristalloterapeuta o il don Pirla con la kefiah) che questa vita bella e terribile non è tutta rose e fiori, e che durante i girotondi si può affogare come mosche all’orlo del bicchiere del liquore preferito, forse ciò che è avvenuto il 26 dicembre 2004 alle isole da sogno e le rovine delle discoteche che chiudevano solo all’alba, avrebbe davvero suscitato meno stupore. Ci avrebbe solo profondamente addolorati e – dopo il lutto, traumatico ma breve, perché non è di un lutto atroce che abbiamo bisogno, sia esso anticipato o post-rem – ebbene, dopo l’esame di coscienza, avremmo cercato e trovato i giusti modi dell’aiuto reciproco. Siamo invece, nella maggior parte dei casi, ancora a chiederci chi è “il colpevole” di turno, dimenticando che la natura è semplicemente indifferente al vivo verde, ai fiori e al dolore e alla fragile felicità delle creature.

D’altra parte, dove ci si potrebbe mai riprendere se non nel grande abbraccio della Vita, sperando che i tanti bimbi persi che giocano nel cielo, e quelli ritrovati che giacciono nel fango, possano un giorno ritornare finalmente a casa sani e salvi fra le braccia di un padre ?

E’ un passo, quello della fede, al limite impossibile. Pare, infatti, che sia sempre troppo presto, o troppo tardi ( specialmente dal giorno in cui il diavolo ha sparso la notizia che Dio è morto il secolo scorso, mentre i padri si davano chi alla macchia e chi alla fuga, magari in compagnia di Zapatero in corsa sotto il sole che ride verso un futuro rosa confetto). Eppure il Vecchietto oggi sembra più vivo e arzillo che mai, e forse davvero lo è … forse siamo noi che non ci sentiamo così vivi e che con l’andar del tempo ci curviamo su questa o quella spiaggia come tanti punti di domanda: ????????????????????????????

Fino al punto da dimenticare che Quello è lo stesso che fa segno ai suoi pesciolini, all’ulivo e alla colomba dopo ogni diluvio, e si fece Presenza in un “roveto ardente”: i cui raggi mistici potrebbero, nella loro eccedenza, anche costituire il segreto del linguaggio, e non essere nient’altro che modeste anticipazioni dei raggi tecnici.

Ma tutte quelle vecchie favole così vicine al corpo, all’intelligenza emotiva e all’anima, sembrano ormai dimenticate “un attimino”. E, diventati giornalisti, psicologi e sociologi – magari dopo un’infanzia mite e dopo aver sognato, da giovani, di morire per odio o per amore – osiamo persino – lasciando laggiù Giobbe solo con il suo e nostro letamaio- continuare ad accusare un Dio che è oltre ogni nome e idea di debolezza o forza, di sconfitta o di vittoria. Accusare cioè storditamente un Padre, pare, che non darà mai le dimissioni e che forse ci vuole intrepidi, sensibili e riflessivi come fratelli e figli, e che comunque ci lascia per sfortuna o sventura liberi.

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In cronaca



Per quanti s’interrogano in questi giorni sul senso delle “prove anche più difficili e dolorose”, segue il testo integrale delle parole di Giovanni Paolo II prima dell’Angelus. Il santo padre è un uomo autorevole, il quale poiché oggi viene considerato tra numerosi filosofi & sociologi un “ritardatario” e un personaggio “superfluo”, non può che essere – dico a me stesso – un vero amico. L’accenno è a una frase di Sören Kierkegaard : “ “Un amico, di fatto, non è quello che tra filosofi chiamano l’Altro necessario; è l’altro superfluo”. Ecco il testo delle parole del papa, ce l’avete sotto gli occhi:

“In questa prima domenica del nuovo anno risuona nuovamente nella liturgia il Vangelo del giorno di Natale: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14).

Il Verbo di Dio è la Sapienza eterna, che opera nel cosmo e nella storia; Sapienza che nel mistero dell’Incarnazione si è rivelata pienamente, per instaurare un regno di vita, di amore e di pace.

La fede poi ci insegna che anche nelle prove più difficili e dolorose, – come nelle calamità che hanno colpito nei giorni scorsi il Sud-Est Asiatico -, Dio non ci abbandona mai: nel mistero del Natale è venuto a condividere la nostra esistenza.

Il Bambino di Betlemme è Colui che, alla vigilia della sua morte redentrice, ci lascerà il comandamento di amarci gli uni gli altri come Lui ci ha amato (cfr Gv 13,34). E’ nell’attuazione concreta di questo ‘suo’ comandamento che Egli fa sentire la sua presenza.

Questo messaggio evangelico dà fondamento alla speranza di un mondo migliore a condizione che camminiamo nel ‘suo’ amore. All’inizio di un nuovo anno, ci aiuti la Madre del Signore a fare nostro questo programma di vita”.

Fonte : AsiaNews

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Consiglio di lettura

Sören Kierkegaard ( 1813 – 1855 )

Le sue opere più significative : Sul concetto di ironia; Aut aut (di cui fa parte il Diario di un seduttore); Timore e tremore; La ripetizione ( oppure La ripresa) ; Il concetto dell’angoscia; Il punto di vista sulla mia attività di scrittore; La malattia mortale; Esercizio del cristianesimo.

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Brevi frasi di Sören Kierkegaard

“Un amico, di fatto, non è quello che tra filosofi chiamano l’Altro necessario; è l’altro superfluo”.

“La fede comincia là dove la religione finisce”.

“ La fede si può definire un’illogica fiducia nel verificarsi dell’improbabile”.

“La vita: la si comprende guardando all’indietro, la si vive guardando in avanti”

.“Se mi etichetti mi annulli”.

“L’uomo non fa quasi mai uso delle libertà che ha, come per esempio della libertà di pensiero; pretende invece come compenso la libertà di parola”.

“Parlo volentieri con i bambini, perché in fin dei conti si può sperare che diventeranno esseri ragionevoli. Quanto a quelli che li sono diventati, ah! Signore!”.

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