CHE COSA HA VERAMENTE DETTO LACAN

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CHE COSA HA VERAMENTE DETTO LACAN

Conversazione con SERGIO BENVENUTO ( 1)

   Jacques Lacan

Presento qui, per concessione dell’autore, un’intervista con Sergio Benvenuto, condotta a cura di Renato Parascandolo, già direttore di Rai Educational, per L’Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche della RAI. Edita inizialmente nel 1993 con il titolo Jacques Lacan: ritorno a Freud , il testo che qui viene riproposto integralmente è stato perfezionato nel 1994 e riveduto dall’ autore il 28 giugno 2005 per la presente pubblicazione on-line. A margine, ho inserito ( fra parentesi quadre) qualche mia nota di lettura. Sergio Benvenuto ci parla di uno dei maîtres à penser della cultura francese attivo fin dagli anni ’30 ma emerso sulla grande scena internazionale solo negli anni sessanta, quando nel 1966 vengono pubblicati i sui Ecrits (Scritti). In Italia, Scritti, a cura di Giacomo Contri, vennero poi pubblicati da Einaudi nel 1974.

Il nome di Lacan ha una triplice risonanza: nel mondo della psicanalisi e del foro letterario, nel territorio accidentato dello strutturalismo e in quello politico-ideologico della cosiddetta liberazione del desiderio scolorita su tutta la società di massa e spesso propugnata – particolarmente in Italia e a partire dalla Francia – cercando d’innestare Lacan-con-Gramsci, lavoro dell’inconscio e comunismo, insomma menando Lacan per l’aia senza per questo diventare più buoni o perlomeno, nella maggior parte dei casi,  meno disperati. L’opera di Lacan si configura così come testimone e motore di tempi di ansia e di rivolta linguistica, esistenziale, politica, libidinale che a partire dai dintorni del ’68 hanno visto nel bene e nel male emergere artisticamente e poi dilagare nella pratica socio-politica un inconscio inizialmente presunto rizomatico e desiderante e poi – una volta "liberato" – rivelatosi alla prova dei fatti piuttosto meschino e polipesco ( un po’ come il genio o gin del racconto "La lampada di Aladino").

Tre grandi rischi minacciano  l’opera di Lacan, di questo pensatore che si è voluto maestro della lettera nell’apparentemente totale silenzio dello spirito e il crollo della fede: l’errore di trascurarlo, quello di cercare d’interpretarla e quello di diventare la prudente, informata e fedele vestale del guru in un rapporto ancora una volta incapace – come osservava Elvio Fachinelli a proposito dell’impossibile raggiungimento della Cosa e la preoccupazione di evitare un “eccesso di piacere” – di andare oltre l’ordine dell’obbedienza e della trasgressione.

Fra le risonanze ideologiche che ha avuto il linguaggio di Lacan basti citare, per esempio, la teoria queer: una teoria sul sesso e sul genere entro il più ampio campo degli studi queer. I/le teorici/che queer suggeriscono di costruire categorie e gruppi sulla base di associazioni liberamente stabilite dagli individui. L’ Altro non sarebbe che effetto della cultura, ovvero nient’altro che linguaggio in cui ciascun significante taglia il significato corrispondente S/s, in un rapporto arbitrario, convenzionale con la realtà rappresentata ( come ad esempio nella doppia iscrizione su alcuni orinatoi pubblici: Uomini/Donne, che rimanderebbe imperativamente ad una intollerabile ed illiberale distribuzione disciplinare delle persone ed anche a tutta una cultura – immemorabile – di segregazione dei sessi). Da qui la rivendicazione non solo di una ridistribuzione dei limiti ma l’assoluta giustificazione teorica della costruzione di categorie e gruppi sulla base di travestimenti multipli liberamente stabiliti di volta in volta dagli individui in un giro senza fine di identificazioni relative e di confini evanescenti.

Assumendo criticamente parte del pensiero di Lacan, Judith Butler ad esempio riconosce nell’identificazione il momento chiave del “processo di assunzione” di un sesso da parte dell’individuo, si tratta però di identificazioni fantasmatiche, instabili, multiple. Il discorso dominante propone delle identificazioni “lecite” – l’uomo e la donna eterosessuali – che conferiscono all’individuo, ovvero all’io-parlante lo statuto di soggetto, e ne rinnega altre. L’insieme delle identificazioni precluse costituisce l’ambito dell’abietto, ovvero il territorio sociale temuto, “inabitabile”, a cui le leggi dello Stato dovrebbero porre rimedio. E’ proibito proibire, perché il discorso cosiddetto “dominante”, una volta decostruito, non sarebbe nient’altro che paura dell’eccesso, "omofobia" e "islamofobia" eccetera, non portatore dell’amore per il limite.

Le prime influenze storiche sulla teoria queer sono quelle di Jacques Lacan, Louis Althusser e Jacques Derrida. Influenza primaria la ebbe Michel Foucault; I/le teorici/che successivi/e sono Judith Butler ed Eve Kosofsky Sedgwick. Tra gli italiani spicca Mario Mieli. "La coprofagia – scriveva l’amico Mario Mieli in Il risveglio del faraone – è fonte di piacere, beninteso se si mangia merda perché lo si vuole fare e non si è costretti a farlo. La coprofagia fa star bene e sviluppa le nostre facoltà creative, inoltre concilia nell’individuo pulsione di vita e pulsione di morte – la merda è sintesi di vita e di morte. E’ difficile descrivere gli effetti della coprofagia: sarebbe un po’ come descrivere quelli dell’Lsd a chi non abbia mai fatto un trip. Però Lsd alla lunga fa male, mentre la merda no". Alcune/i studiose/i di teoria queer vedono la prostituzione, la pornografia , il bondage , il S/M , la coprofagia e, perché no?, anche la pedofilia e la necrofilia come legittime e valide espressioni della sessualità umana. Così all’esempio della lesbica fallica , del gay effeminato e del candido coprofago, si potrebbero aggiungere tutti i soggetti costituiti dal discorso dominante come “diversi”, “abietti” e “preclusi” da un linguaggio che in sé è vuoto e determinato da un potere arbitrario e una storia contingente e non necessaria. Perché rinnegare, ad esempio, il mostro di Dusseldolrf, la saponificatrice di Correggio o Moussab al-Zarkaui il tagliagole definito “resistente” dal mondo letterato europeo ? Anche questi “diversi” vengono relegati dal discorso al di là dei confini del soggetto decente.

 Nella prospettiva liberazionista, il soggetto che “si costituisce attraverso la forza dell’esclusione e dell’abiezione” dovuto a un “sistema fallologocentrico” ( detto anche “ Bio-potere”) andrebbe trasceso in massa, collettivamente, in nome di un’emancipazione politica posta sotto la guida di avanguardie che tra illuminazione e abbaglio restano pur sempre parlanti, fallologocentriche e fallaci. E’ un tale "soggetto" che  oggi viene preso a carico da sindacalisti-psicologi  e politici avidi di voti, populisti, sinistri e utopici guardiani dei bisogni che come nella Spagna zapatera si illudono di poter ridurre la sessualità a gestione ottimale dei “bisogni della gente” ( come si dice in gergo canagliesco). “ …Essi sono specializzati nel recupero borghese di ogni iniziativa inizialmente rivoluzionaria, per cui finiremo per esserne strumentalizzati. Il loro scopo sarebbe quello di incanalare le nostre energie in una sterile lotta volta al miraggio dell’emancipazione politica… che è una strana cosa… si dilegua nei fatti, mentre resta codificata in leggi astratte, che mettono il cuore in pace al borghese oppressore e legalizzano la stessa vita triste e la morte squallida della checca isterica……” ( Mario Mieli , “Elementi di critica omosessuale”, Einaudi 1977 ).

Il giro senza fine di travestimenti multipli e di bestialità politica si ammanta dei cascami del marxismo critico e delle ideologie derivate dal discorso prima surrealista e poi lacaniano e decostruzionista, e fa leva su storie di piccola sessualità europea, medio-europea. In pratica, agitando il feticcio del "politicamente corretto" e in particolare della  “omofobia” ,  ripete invertendone il segno lo stesso discorso del controllo psichiatrico che dice di volere abolire. In pratica, non fa che ripetere meccanismi di esclusione e moltiplicare lo spettacolo di modeste deviazioni e piccole e grandi perversioni. Alle macchine desideranti degli anni Sessanta e Settanta sono così succedute le tipiche macchine ossessive dei nostri giorni, il cui scopo sembra essere il ritorno a uno strano desiderio di legge ( per esempio la finzione giuridica del matrimonio omosex = all’unione tra l’uomo e la donna ) per occultare la legge del desiderio ed evitare il piacere di vivere all’altezza della differenza, della gioia e della terribilità del vivere secondo la verità di un desiderio più alto e più veloce della morte abituale. Il desiderio può confondersi con il bisogno più elementare, distorcersi per mancanza di soddisfazione o di riconoscimento, oppure anche assumere forme particolari e non darsi alcun oggetto se non assoluto. La riduzione del desiderio e delle complesse vicissitudini del desiderio, di qualsiasi forma di desiderio,  a conquista civile socialdemocratica e a diritto umano, è un po’ come voler ridurre psiche ad anguilla in scatola.  

 Assistiamo al dilagare di un inconscio banale, se non banalizzato, che le ideologie nichiliste del desiderio dell’Identico pretendono di liberare praticamente, confondendo arte e vita in un conflitto non riconciliato tra vita e forma, desiderio e legge, godimento d’organo e gioia oltre il godimento ( quello che Elvio Fachinelli definiva “gioia eccessiva”, e che forse costituisce il segreto del “desiderio dissidente” e del linguaggio).

Sergio Benvenuto si ricollega invece non solo a un esame puntuale del lavoro clinico dell’eminente psicanalista ma anche dei suoi scritti e del “discorso” lacaniano ritenuto d’accesso difficile e incerto, e spesso sottomesso alle ideologie della liberazione del desiderio e del relativismo etico. Il suo lavoro tende anzitutto a isolare le principali nozioni-chiave utilizzate da Lacan, in modo da chiarire in qual misura e in che senso si tratti di un ritorno alle fonti del pensiero freudiano “ in polemica con le tendenze prevalenti negli Stati Uniti, a New York in modo particolare, ad opera della cosiddetta scuola della Ego-psychology, psicologia dell’Io” .

Parascandolo – Jacques Lacan è nato il 13 aprile del 1901 ed è morto nel 1981. Come è diventato lo psicanalista francese più noto e più influente nel mondo?

Sergio Benvenuto – Jacques Lacan ha compiuto una specie di miracolo. La Francia era uno dei paesi europei che aveva resistito più a lungo all’influenza del pensiero freudiano, a differenza di altri paesi come l’Inghilterra, la Germania o gli Stati Uniti. Lacan invece dagli anni cinquanta e sessanta in poi è riuscito, grazie al suo fascino, all’influsso del suo pensiero, a rendere la psicoanalisi una delle culture dominanti nella cultura francese, almeno dagli anni sessanta fino ad oggi. Egli è riuscito a fare una grande operazione di traduzione, nel senso che ha tradotto i concetti fondamentali del pensiero di Freud adattandoli alla sensibilità, allo stile e anche alle mode del pensiero francese degli anni quaranta, cinquanta e sessanta di cui egli stesso – una persona di una vastissima cultura – era profondamente imbevuto.

La sua storia detta in breve: egli veniva da una famiglia cattolica molto tradizionale, ha compiuto studi di medicina, ma nello stesso tempo ha sempre frequentato corsi di filosofia alla Sorbona. Ha avuto una precoce celebrità quando con la sua tesi di dottorato, nel 1932, pubblicò delle poesie di una sua paziente paranoica, ormai diventata famosa, che chiamò Aimée. Queste poesie e il commento che lui ne fece interessarono molto i surrealisti, in auge negli anni trenta erano in Francia a Parigi. Essi pubblicarono le poesie di questa sua paziente paranoica nella rivista di Paul Eluard, per cui egli divenne, in un certo senso, “lo psicanalista surrealista”. Effettivamente lo stile, la sensibilità, anche certi aspetti ideologici del surrealismo hanno avuto un chiaro influsso sul giovane Lacan.

Un’altra influenza fondamentale nella formazione di questo psicanalista-filosofo avviene negli anni trenta attraverso l’insegnamento e i seminari di Alexandre Kojève, che per tre anni a Parigi tenne dei seminari, rimasti celebri, sul pensiero di Hegel. A questi seminari non ha partecipato soltanto Lacan, ma il fior fiore della gioventù culturale francese dell’epoca: basti fare i nomi di Lévi-Strauss, di Raymond Aron, di Georges Bataille, di Maurice Merleau-Ponty, di Jean-Paul Sartre, Raymond Queneau, praticamente quelli che poi costituiranno la grande cultura francese nei decenni successivi. Questi seminari, per quanto durati poco, hanno avuto un grande influsso perché hanno introdotto Hegel nel pensiero francese, anche se attraverso l’interpretazione che Kojève dava della filosofia hegeliana – interpretazione in un primo tempo considerata esistenzialistica. Ma in effetti l’influsso di Kojève avrà un impatto molto più lungo, arriverà fino allo strutturalismo e post-strutturalismo francesi, di cui Lacan a torto o a ragione è considerato un rappresentante.

Quindi, le due grandi influenze, oltre Freud chiaramente, che hanno formato il giovane Lacan sono il surrealismo francese con il suo stile e la sua ansia di rivolta linguistica e politica, e l’approccio a Hegel attraverso l’insegnamento in particolare di Kojève e dell’epistemologo Alexandre Koyré, il quale appunto aveva invitato Kojève a tenere seminari su Hegel.

Lacan può essere considerato uno dei padri fondatori della psicoanalisi in Francia; questa, come ho detto, ha incontrato in un primo momento forti ostilità e resistenze dovute al fondo spiritualista e anche cartesiano della cultura francese. Eppure Lacan emerge sulla grande scena solo negli anni sessanta, quando nel 1966 vengono pubblicati i sui Ecrits (Scritti), raccolti e curati da Jacques Alain Miller. Questa pubblicazione ha avuto veramente l’effetto di un tornado nella cultura francese nei ruggenti anni sessanta. All’epoca andava forte lo strutturalismo, attraverso l’influsso dell’antropologo Lévi-Strauss e del critico letterario Roland Barthes. Lacan diventa solo allora uno dei maîtres à penser, dei maestri, della cultura francese di quegli anni. Il suo celebre Seminario, che tenne dal 1953 fino alla morte (nel 1981), frequentato al principio da poche persone, cominciò ad essere frequentato dal tout Paris, da migliaia di giovani, intellettuali, signore che accorrevano ad ascoltarlo. Per quanto riguarda i suoi rapporti con la psicoanalisi ufficiale: Lacan era stato uno dei capostipiti della psicoanalisi in Francia sin dagli anni 30, eppure egli entra ben presto in rotta di collisione con la direzione dell’Internazionale Psicoanalitica che in quel periodo, come in parte anche oggi, era dominata soprattutto dagli analisti di lingua inglese, in particolare americani. Egli entra in un conflitto crescente, che nel 1963 sfocia in pratica nella sua espulsione, nel senso che egli non è più autorizzato a insegnare psicoanalisi ai suoi allievi. Egli fonda allora una sua scuola che chiama "Ecole Freudienne de Paris", scuola freudiana di Parigi. Egli stesso dopo circa vent’anni scioglierà la sua scuola, un anno prima della morte, nel 1980: allora dirà che il tentativo di fondare una scuola, una istituzione che formi gli analisti, è stato per lui un fallimento. Nel 1981 muore di cancro.

  L’Autre manque. Ca me fait drôle à moi aussi. Je tiens le coup pourtant, ce qui vous épate, mais je ne le fais pas pour cela.

Un jour d’ailleurs auquel j’aspire, le malentendu m’épatera tant de venir de vous que j’en serai pathétique au point de n’y plus tenir.

S’il arrive que je m’en aille, dites-vous que c’est afin d’être Autre enfin.

On peut se contenter d’être Autre comme tout le monde, après une vie passée à vouloir l’être malgré la Loi. Jacques LACAN, Dissolution – Séminaire du 15 janvier 1980 ( dal testo pubblicato dal quotidiano Le Monde il 24 gennaio 1980 con una lettera datata 24 gennaio 1980).

Oggi i suoi allievi, la scuola lacaniana, è una delle scuole più influenti nell’ambito della psicoanalisi nel mondo, anche se in modo non omogeneo. L’influenza del pensiero di Lacan è viva soprattutto nei paesi di lingua latina, e alcuni maligni dicono che alligna soprattutto nei paesi cattolici: oltre ai paesi francofoni, ha avuto un grande seguito nei paesi dell’America Latina di lingua spagnola e portoghese. La malignità consiste nell’insinuare che il suo influsso in culture cattoliche non è casuale: ci sarebbe una segreta ispirazione cattolica nel suo pensiero (a differenza della predominanza ebraica nella psicoanalisi delle aree tedesca e angloamericana). Oggi il suo influsso è crescente nei paesi di lingua inglese – un’influenza in verità più tra gli studiosi dei campus che tra gli analisti praticanti. L’influsso del lacanismo nei paesi anglofoni è difficile da valutare perché in realtà il pensiero di Lacan è profondamente legato alla storia della cultura francese nel periodo che va dagli anni trenta agli anni settanta; perciò la sua traducibilità in culture diverse da quella francese è talvolta difficile. Da notare poi che gli scritti di Lacan – non tanto i seminari – sono particolarmente ardui da leggere. Sono stati tradotti in italiano da Giacomo Contri. Malgrado lo sforzo dei traduttori, i suoi scritti restano molto difficili e ardui, soprattutto per chi non abbia familiarità con il pensiero di Freud.[Cf J. Lacan, La cosa freudiana e altri scritti, tr. it. a cura di G. Contri, Torino, Einaudi, 1972; “Nozioni fondamentali nella teoria della struttura di J. Lacan”, in: AA.VV., Cahiers pour l’Analyse, Boringhieri, Torino, 1972, pp. 244-289. Vedi anche: LA COSTITUZIONE GIURIDICA, PSICHICA E MORALE DEL SOGGETTO UMANO nel pensiero di Giacomo Bernardino Contri].

–  Lacan amava sottolineare la continuità del suo pensiero con quello di Freud. Ma al tempo stesso sappiamo che ha introdotto moltissime novità nel pensiero psicoanalitico. Possiamo in maniera concisa riassumere queste novità?

Forse Lacan non sarebbe stato d’accordo con questa domanda, perché lui ha lanciato la bandiera di un Ritorno a Freud. Egli si voleva, in un certo senso, il vero interprete di Freud contro le deviazioni della teoria e pratica analitiche. Questo suo ritorno a Freud era in polemica con le tendenze prevalenti negli Stati Uniti, a New York in modo particolare, ad opera della cosiddetta scuola della Ego-psychology, psicologia dell’Io. Lacan ha cominciato così la sua battaglia contro la corrente dominante nella psicoanalisi internazionale, rivendicando un ritorno a Freud, anche se un Freud letto ovviamente secondo la sua particolare ottica. Difatti lui ha sempre tenuto a dare il nome di freudiane alle scuole e al movimento che lui ha creato.

 Questo Ritorno a Freud è contestato perché alcuni giustamente pensano che egli abbia innovato rispetto a Freud. In cosa consiste questa sua innovazione? Io direi che il suo contributo ha un valore soprattutto filosofico, nel senso che il pensiero di Freud si presta ad un equivoco. Freud veniva dalla cultura del positivismo austro-germanico ottocentesco, che pensava di fondare la psicologia, come generalmente le scienze umane, sul modello della fisica e delle scienze della natura. Alla fine dell’Ottocento le cosiddette scienze umane – non solamente la psicologia, ma anche la sociologia, l’economia ecc. – si volevano sin dall’inizio degli adattamenti del modello della fisica di Newton all’uomo. Freud, educato ad una mentalità positivista, pensava che la psicoanalisi fosse essenzialmente psicologia, che il suo metodo clinico fosse un metodo scientifico, che la psicoanalisi fosse una scienza dell’anima. Lacan introduce invece di importante questa idea: che la psicoanalisi è una scienza certamente, ma di tipo completamente diverso, in quanto è una pratica e teoria che si fonda sul linguaggio. Certamente anche per Freud il linguaggio era estremamente importante, però Lacan introduce, rispetto a Freud, l’idea – anzi lo slogan – che ormai ogni lacaniano inalbera come il proprio distintivo o bandiera, e cioè che “l’inconscio è strutturato come un linguaggio”. Questo Freud non lo ha mai detto, ma è questo il programma di Lacan.

Che l’inconscio sia strutturato come un linguaggio può sembrare strano, dato che quando pensiamo all’inconscio freudiano pensiamo a qualcosa piuttosto di affettivo. Di fatto la frase di Lacan è ispirata dalla linguistica strutturale, che proprio in quegli anni cinquanta, sessanta, emergeva nei paesi latini. Lacan è molto interessato agli studi linguistici e si è rifatto al pensiero di Ferdinand de Saussure, il linguista svizzero considerato il fondatore della linguistica strutturale all’inizio del 900. In un certo senso Lacan ha preso in prestito i suoi concetti fondamentali dalla linguistica dominante negli anni quaranta, cinquanta, sessanta e cioè la linguistica strutturale di matrice saussuriana. Però bisogna vedere oltre il riferimento alla linguistica della sua epoca, che è ormai lontana decenni da noi. In effetti, la linguistica predominante oggi non è più la linguistica strutturale di derivazione saussuriana, ma quella di Noam Chomsky, completamente diversa.

Lacan ha notato comunque una cosa estremamente semplice: che la psicoanalisi è un metodo di cura attraverso il linguaggio. Non opera cioè con farmaci, non opera sul corpo, l’analista non tocca il suo paziente, non usa sostanze chimiche; l’analisi è semplicemente conversazione, è parola. E in un certo senso Lacan ha sfruttato quest’uovo di Colombo da lui scoperto dicendo: se l’analista cura semplicemente attraverso le parole, attraverso il linguaggio, questo significa che l’inconscio è esso stesso fondamentalmente linguaggio. E’ un’operazione concettuale che assomiglia, per certi versi – dato anche il legame che Lacan ha sempre avuto con Hegel – all’operazione che la filosofia idealista tedesca ha fatto nell’ambito del pensiero occidentale. In fondo Hegel ha detto: il nostro approccio con la realtà avviene sempre attraverso concetti – noi parliamo del tavolo, che certamente è reale, perché abbiamo il concetto di tavolo. Quindi, conclude Hegel, noi filosofi possiamo accontentarci del concetto di tavolo, non abbiamo bisogno di considerare il tavolo concreto. Lacan in un certo senso ha compiuto un’operazione analoga: siccome l’analista opera attraverso il linguaggio, possiamo pensare che l’inconscio è fatto fondamentalmente di linguaggio, che quindi esso è strutturato come linguaggio o al limite è esso stesso linguaggio.

Ora, questa idea linguistica era presente già in qualche modo in Freud. Quando Freud nel suo primo libro fondamentale, "L’interpretazione dei sogni" del 1900, avanza la sua interpretazione psicoanalitica dei sogni, indubbiamente egli fa una linguistica di fatto: interpretare significa mettere in forma verbale delle immagini oniriche. Però Lacan accentua alcuni aspetti che altri freudiani non accentuavano. Porto un esempio: Freud a un certo punto cita un sogno dell’imperatore Alessandro Magno, quando assediava la città di Tiro in Fenicia. Alessandro Magno sognò che un satiro danzava su uno scudo. Ovviamente, come si faceva all’epoca, interrogò l’interprete dei sogni – anche nel mondo antico c’erano degli interpreti di sogni, che non erano chiamati analisti, ma erano delle persone pagate per svolgere questa funzione. L’interprete dei sogni rispose che il satiro significava in realtà "sa turos" che in greco significa “Tiro è tua”. Il senso di questo sogno era Tiro è tua, cioè hai già vinto la battaglia, cosa che in realtà avvenne: dopo poco tempo Alessandro conquistò Tiro. Consideriamo una certa tendenza post-freudiana – per esempio quella della scuola di Jung. Ebbene, un analista junghiano di fronte ad un sogno del genere fatto da un paziente Alessandro Magno direbbe subito: “bisogna capire il satiro cosa significava nella cultura greca, i rapporti di questa figura con altre figure arcaiche, che cosa significa l’immagine del satiro rispetto al sesso, cosa significa in genere lo scudo, ecc.”. occorre insomma ritrovare i significati archetipici, come dicono gli junghiani. Invece Freud dice che l’interpretazione giusta era proprio quella dell’antico interprete fenicio, era cioè semplicemente un gioco di parole, un rebus. Lo stesso Freud consigliava ai suoi allievi di occuparsi soprattutto di rebus, diremmo in Italia della Settimana Enigmistica: alla base del sogno c’era semplicemente un gioco di parole. E’ questo che Lacan mette in grande evidenza: che interpretare è qualcosa che avviene sempre al livello del linguaggio. Cioè, non bisogna essere molto profondi quando si interpreta, bisogna restare un po’ alla superficie, e direi soltanto alla superficie. Questo è l’altro aspetto direi profondo e filosofico della novità che Lacan porta rispetto a Freud: ha accentuato certi aspetti di Freud a cui i filosofi contemporanei sono particolarmente sensibili, soprattutto nel senso che elimina un equivoco che nel freudismo sicuramente c’è: l’idea che Freud in quanto psicologo avrebbe arricchito il mondo interiore, la vita interna, l’inconscio, come qualcosa che è dentro l’uomo, nel suo profondo. Lacan, analista avvertito filosoficamente, interpreta l’inconscio freudiano nel senso che l’inconscio è soprattutto fuori dell’anima.

Mi si permetta una citazione di Sartre, non a proposito di Lacan, ma di Husserl: Sartre disse che l’importanza di Husserl è di averci liberato della vita interiore. Si può dire la stessa cosa di Lacan, che ha contribuito a liberarci della vita interiore – ha detto che l’inconscio non è qualcosa che sta dentro il corpo. Oggi immaginiamo miticamente il corpo come una specie di cassa, e dentro questa cassa c’è l’anima e quindi poi le pulsioni, gli istinti, i desideri ecc… L’inconscio per Lacan invece è qualcosa che si trova fuori dell’essere umano, e questo fuori per Lacan è sostanzialmente quello che lui chiama l’Altro con la A maiuscola, e che per lui è linguaggio. Il linguaggio è l’Altro, e l’Altro è anche linguaggio, per una ragione estremamente semplice: che quando noi nasciamo, certamente nasciamo dentro il corpo di nostra madre, ma il linguaggio che ci viene insegnato ci viene sempre dall’esterno. Il linguaggio ci viene da nostra madre, da nostro padre, dagli adulti che sono attorno a noi; quindi l’inconscio ci viene, da un punto di vista lacaniano, sempre dall’esterno. [ In effetti, il linguaggio, specialmente nel senso più corrente del termine, la lingua-madre, la lingua parlata con la sua struttura preesiste all’entrata che ciascun soggetto fa in esso a un momento del suo sviluppo mentale, inserendosi nel movimento del discorso sotto la forma del suo nome ed espondendosi alla sfilata continua, vale a dire senza misercordia, del significante. E’ quello che chiamo “l’angolo che mai si chiude”].

Alcuni, sensibili a questa idea che l’inconscio non è dentro ma fuori di noi, tendono a dare un’interpretazione interpersonale dell’inconscio. Vi sono alcune scuole, formate anche da analisti, che tendono a ridurre un po’ l’inconscio a dinamica interpersonale: l’inconscio è il mio rapporto con l’altro, con l’altra persona. Non è questo il senso che Lacan dà a questa esteriorità fondamentale dell’inconscio. Lacan non pensa che la base dell’inconscio, del nostro rapporto con gli altri, sia l’interpersonalità. Lui pensa l’inconscio in un senso molto più vicino a quello di Hegel: l’inconscio ci viene da una alterità assoluta, che è quella del linguaggio. (…). 

Qual è il punto di partenza della reinterpetrazione di Freud da parte di Lacan? Abbiamo detto che Lacan pensa di essere fedele al senso stesso di Freud. Il bambino appena nato piange. E quale operazione gli adulti e la madre in primo luogo fanno con questo bimbo che frigna? Dicono “tu piangi perché hai fame”, oppure “piangi perché hai freddo”. La madre interpreta il perché di questo pianto usando parole. Ed ora, nell’istante in cui la madre parla come l’Altro, con la A maiuscola, compie due operazioni simultanee, ma che per Lacan sono profondamente connesse: da una parte insegna il linguaggio al bambino – in questo caso la lingua italiana – ma nello stesso tempo interpreta il desiderio del bambino, traducendolo in parole italiane. Ora, non sapremo mai perché il bambino frignava, ma la madre, l’Altro, gli fornisce quello che Lacan chiama un significante. L’adulto dice: “hai fame”, “vuoi latte” per esempio, dà un significante, cioè fissa il desiderio in una rappresentazione. Questa rappresentazione viene chiamata da Lacan – che prende il termine dalla linguistica strutturale – un significante. Questo farà sì che in realtà il bambino potrà percepire il proprio desiderio profondo – quello che causava il suo pianto – soltanto attraverso il linguaggio della madre, in una alienazione fondamentale (alienazione è un termine hegeliano). Egli può sapere qualcosa del proprio desiderio perché un altro gli ha detto che cosa lui desidera. Ma che cosa lui veramente voleva resterà sempre un grande mistero; e questo grande mistero di ciò che l’uomo desidera o di ciò di cui egli gode prima che la madre parli, cioè prima di ogni linguaggio, è quello che Lacan chiama le manque, la mancanza. Questa mancanza in Freud certamente è sempre presente, ma non la aveva esplicitata come Lacan la esplicita. Lacan pensa che la mancanza strutturi l’inconscio, e quindi – nella misura in cui l’inconscio è la soggettività stessa – struttura lo stesso soggetto umano.

CHE COSA HA VERAMENTE DETTO LACAN

Conversazione con SERGIO BENVENUTO ( 2)

Però alcuni pensano che al tempo stesso Lacan abbia spiritualizzato in qualche modo la teoria freudiana, la quale insisteva, piuttosto, sulla forza delle pulsioni, sugli affetti, sulla libido ecc…

 Sì, effettivamente questa è una critica che si fa continuamente, non solamente a Lacan, ma ad altre scuole psicoanalitiche francesi. Si dice che sono cartesiane perché accentuano molto l’aspetto del linguaggio, della scrittura, del logos, della logica. L’ultimo Lacan è molto interessato alla matematica e alla logica. In realtà, non è vero che Lacan non dia importanza alle emozioni e agli affetti – quando egli parla del sesso come di qualcosa connesso a significanti ovviamente non trascura il fatto che il sesso sia qualcosa che si vive in modo emotivo, viscerale.

Vorrei raccontare un aneddoto. Siccome Lacan ha praticato per molti anni a Parigi ed era un analista molto noto, molte persone sono passate per il suo studio: sono fiorite allora tutta una serie di leggende, di racconti più o meno veri, e c’è ne uno che mi ha particolarmente colpito. Lacan aveva una pratica abbastanza originale, nel senso che lui non pensava che le sedute dovessero essere di quarantacinque, cinquanta minuti – come fanno gli analisti ortodossi – non pensava che ci dovessero essere delle sedute standard. Gli analisti freudiani generalmente fanno delle sedute con tempo standard, come del resto faceva lo stesso Freud, il quale vedeva i suoi pazienti per cinquanta minuti. Lacan pensava invece che la seduta dovesse essere variabile, cioè, a seconda di come l’inconscio esce o non esce, una seduta poteva durare o cinque minuti o anche due ore, non ci poteva essere nessuna regola. E’ l’analista che decide a che punto tagliare, mettere una punteggiatura. Così, di fatto, i suoi pazienti venivano un po’ alla rinfusa, senza un orario preciso, lui li faceva entrare ed uscire senza una regola rigida; allora molti di questi pazienti si incontravano nel bar sotto casa sua in rue de l’Université.

Ci sono dunque due pazienti che una volta si incontrano, e uno esce appunto da una seduta fresca fresca. Il primo è molto triste perché la seduta è andata male; chiunque ha fatto analisi sa che ci sono sedute che vanno male, da cui si esce tristi, depressi. L’altro amico, anche lui paziente di Lacan, gli chiede perché, e il primo si lamenta che non era riuscito a dire quello che veramente voleva dire; il secondo gli dice: "va bene, perché non torni da Lacan e non gli dici quello che dovevi dirgli?". Questa cosa con Lacan era possibile, perché appunto applicava regole molto flessibili. Il primo allora dice: "sì, ottima idea, torno su e chiedo un’altra seduta". Il secondo resta nel bar, a Parigi si passano lunghe ore nei bar a pensare, a leggere e a scrivere. Dopo un po’ torna questo suo amico e questa volta appare tutto contento, giulivo; si vede che la seduta questa volta è andata bene. Allora il secondo dice: "Allora come è andata?" E lui risponde: "appena sono entrato, gli ho subito detto: ‘Je me sens vraiment foutu’, io mi sento veramente fottuto" e Lacan ha risposto: "Lei si sente? Lei E’ fottuto!" e così effettivamente tutto è andato bene.

Non so se questo aneddoto sia vero, però mette a fuoco qualcosa di importante nello stile di Lacan; cioè Lacan è profondamente estraneo all’idea che la psicoanalisi si occupi dei sentimenti, degli affetti, del sentirsi fottuto, o felice ecc.., come la materia prima e ultima dell’analisi. Lui pensa che la materia prima e ultima sia invece il reale, inteso come quello che si è, non il modo di sentirsi. Stranamente proprio Lacan, che insiste sul fatto che l’inconscio è strutturato come linguaggio ed è quindi esso stesso linguaggio, non lo dice per dire che tutto si può interpretare in qualsiasi modo: al contrario, alla base non ci sono i sentimenti e gli affetti ma il reale. Certamente i sentimenti e gli affetti sono importanti, ma come un epifenomeno di qualcosa che avviene a livello del reale. E che cosa Lacan intende per reale?

Ora, un altro dei cavalli di battaglia della teoria di Lacan – e in questo egli innova rispetto a Freud – è la sua distinzione di tre registri, come lui li chiama: l’immaginario, il simbolico e il reale. Il linguaggio comune ci dice abbastanza bene cosa è il reale e cosa è l’immaginario: il reale è quello della realtà esterna a noi, l’immaginario è quello che avviene nel nostro pensiero. Si suppone che Freud abbia costruito una teoria dell’immaginario e non del reale. Lacan introduce un terzo elemento, o registro, il simbolico, che è equivalente al linguaggio. Ora, lui pensa che la specificità dell’inconscio sia proprio l’introduzione di questo registro del simbolico, dei simboli, dei significanti del linguaggio. Senonché l’introduzione di questo simbolico, come terzo registro, modifica l’essenza anche degli altri due, cioè del reale e dell’immaginario, che pur crediamo di conoscere talmente bene attraverso il nostro linguaggio comune. In realtà l’analista che ci fa accedere al nostro simbolico è anche il guru che ci fa accedere al reale.

Il reale per Lacan è il reale della nostra mancanza, del fatto che noi non siamo. [ Siamo-e-non-siamo, in un continuo tentativo di odio, di amore e di strutturazione metaforica su sfondo di offuscamento, di nescienza o di manque. La mancanza a essere fondamentale è dell’Io che si crede solido e irrelato, un Ego come fuso in un sol blocco. “L’Io è la vera sede dell’angoscia” ( Freud). La psicanalisi finisce restituendo un soggetto al reale della sua stessa mancanza a essere radicale, ovvero alla verità del desiderio e del godimento di un soggetto in stato di manque. Non a caso, Lacan consiglia a coloro che si accostano alla psicoanalisi di leggere Il Pellegrino Cherubico di Angelus Silesius, definito il poeta di Meister Eckhart . Nel Seminario, libro I, p.287, così dice: " è tempo che vi porga adesso il distico d’Angelus Silesius…’Contingenza ed essenza. Uomo, diventa essenziale: perché quando il mondo passa la contingenza si perde e l’essenziale sussistÈ. Proprio di questo si tratta, al termine dell’analisi, di un crepuscolo, di un declino immaginario del mondo e addirittura di un’esperienza al limite della depersonalizzazione. È allora che il contingente cade- l’accidentale, il traumatismo, gli strappi della storia – E l’essere viene a costituirsi. Non potrei consigliare mai abbastanza a chiunque faccia dell’analisi di procurarsi le opere d’Angelus Silesius”. Si tratta di opere di teologia negativa o apofatica che trova una ricca e articolata formulazione soprattutto in Dionigi L’Areopagita ( Pseudo Diongi). Tuttavia, “sebbene interpellati direttamente, la mistica e i mistici spesso presenti nell’opera di Lacan vengono, nello stesso tempo, rinviati o sottomessi ad altro”. L’osservazione è di Elvio Fachinelli. Dal momento che per una tale psicoanalisi negativa l’Io che persiste non dispone più di nulla a cui aggrapparsi – se non all’etica del rapporto di verità con un oggetto che non potrà mai essere trovato – c’è da chiedersi se questo stato non sia proprio quell’esperienza di tranquilla disperazione nella quale accomodarsi. Accomodarsi in maniera garbatamente malinconica, supponendo sapere vuota la sfilata del significante, e cercando di resistere nel bianco senza andare oltre l’ordine dell’obbedienza e della trasgressione, e senza mai nulla raggiungere. D’altra parte, è anche vero che il luogo più bello è quello in cui si è mai stati, e che il liquore più delizioso quello che non si è mai gustato né bevuto. O meglio, se non contraddittoriamente nell’”atto genitale”, e più precisamente nell’orgasmo, peraltro connotato da Bataille come “trance degli organi” : “ Senza dubbio in quest’atto, in un solo momento, – afferma Lacan – qualcosa può essere raggiunto per cui un essere è per altro al posto, vivo e morto insieme, della Cosa. In quest’atto, e in questo solo momento, egli può simulare con la sua carne il compimento di ciò che non è da nessuna parte.” A tale proposito così osserva Elvio Fachinelli: “ E’ difficile sottrarsi all’impressione di una valutazione intrinsecamente contraddittoria. Essere al posto della Cosa, luogo centrale del desiderio, non può ridursi a una simulazione, a un fingere e far apparire qualcosa che non c’è”. Una volta che il guru ci fa accedere al reale, restituendoci alla verità del desiderio e del godimento in stato di manque, potrebbe anche accadere – per un’improvviso colpo di vento – di farsi canguro, canguro della lettera. Una battuta, perché no? La gioia non ha bisogno di interrogare la lettera, e non occorrono astrusi sistemi di pensiero per provare disagio di fronte alla sofferenza altrui e il desiderio di uno spazio di non-morte. Attraverso il nichilismo più che all’enigma si potrebbe giungere al mistero di una Presenza che conserva la sua parte nel silenzio, e che resta irriducibile all’interpretazione. Esemplare mi pare, a tale proposito, qualsiasi raro gesto d’intelligenza, di poesia o di pietà. Ecco, ad esempio, la poesia del giovane poeta avellinese Domenico Iannaco, diventato un caso da quando i giornali hanno riferito dell’interesse e dell’incoraggiamento dedicatigli da Mario Luzi prima di morire. E’ una poesia che s’intitola Madonna: “ Madonna/delle stelle dipinta/da angeli infanti,/degli slanci, delle preghiere/ che vorticano/come la lava d’amore/come piume accese di cigno/Madonna/della pura potenza,/delle intelligenze pietose/perché il ciclo è chiuso/e la tragedia ha impressionato la carne./Madonna che vorticava prima del tempo/umile goccia che ha generato/il Figlio dell’Uomo,/speranza dei vinti/io ti prego/per la mia anima/d’uomo//che può solo intuire/quella luce celeste /(…) ].

Prima ho portato l’esempio del bambino che piange e che ad un certo punto apprende verbalmente dalla madre che piange perché ha fame; in questo modo egli fissa certamente simbolicamente il suo desiderio nel significante "aver fame". Ma anche questo è un tradimento della vera ragione per cui egli piangeva, che sarà per sempre il suo reale irraggiungibile, pur essendo la causa del suo piangere. Ogni essere umano che piange, e quindi proprio perché piange, va dall’analista, cerca sempre questo reale, la causa reale del suo dolore. E ovviamente le emozioni, cioè la sofferenza, l’angoscia, la depressione, sono l’effetto di questo reale. Per Lacan dunque le emozioni sono importanti, ma sono effetti, non cause. Mentre una tendenza post-freudiana dice che le cause dell’inconscio sono gli affetti, Lacan dice che gli affetti sono effetti, mentre le cause sono l’alienazione che il bambino subisce nell’istante in cui gli si insegna il linguaggio; semplicemente questo [ Non a caso Ts’ang Kie – il leggendario inventore cinese della scrittura piangeva durante la notte. Wou Wei-ye ( 1609-1671), nel commentare il caso dell’inventore della scrittura in Canzone triste donata all’amico Wou Ki-tseu, così commenta: “ C’era davvero di che piangere” ]. 

 Lei ha paragonato l’inconscio di Lacan a quello di Jung, considerando l’aspetto collettivo ed esteriore all’individuo di questi due inconsci. Qual’è però una differenza tra i due?

 Per certi versi si potrebbe dire che Lacan è l’opposto di Jung. Possiamo considerare Jung e Lacan tutti e due come allievi di Freud, anche se Jung, come sappiamo, ha litigato e rotto con Freud, mentre Lacan viene dopo Freud (Freud e Lacan non si sono mai incontrati nella loro vita). Effettivamente questi due allievi sono opposti. Perché per Jung l’inconscio freudiano viene messo in relazione con alcuni significati fondamentali che Jung considera dei significati extrasoggettivi, universali. A proposito dell’esempio che ho fatto prima del sogno del satiro, uno junghiano direbbe che il satiro deve essere interpretato non come una fantasia mia personale, ma come qualcosa che io ho ereditato attraverso una trasmissione inconscia, eredito un archetipo così come eredito un gene. Jung tende a mettere in rilievo tutto ciò che è invariante ed invariabile: l’inconscio collettivo è un inconscio che ereditiamo, è un inconscio di significati per cui il satiro della tradizione greca ha a che fare con altre figure, per esempio con certe figure della cultura indiana, ecc.

Invece Lacan mette in rilievo non il significato più o meno universale, ma quello che lui chiama il significante, che è sempre particolare – abbiamo detto che riprende i suoi concetti dalla linguistica strutturale di Saussure. La linguistica strutturale si basa su una certa teoria del segno linguistico in generale, per cui esiste un doppio versante del segno: da una parte il significante, dall’altra il significato. Il suono tavolo è il significante, mentre il tavolo indicato come tale nella lingua italiana è il suo significato. In realtà Lacan ha messo tutto l’accento sul versante del significante, in opposizione a Jung che invece mette tutto l’accento sul versante del significato. Secondo Lacan, in effetti, l’inconscio è un insieme di significanti, i quali però non sono tutti della stessa stregua, non sono tutti sullo stesso piano. Ci sono alcuni significanti che hanno un valore privilegiato, e qui Lacan riprende qualcosa che è completamente assente in Jung e anche in tanti post-freudiani: Lacan dà un grande rilievo alla teoria sessuale di Freud. Questo sembra strano perché ormai tutti sanno dai manuali che la celebrità di Freud nella nostra cultura è connessa all’aver detto che l’inconscio umano ha a che fare soprattutto con gli impulsi e i desideri sessuali. Eppure gli analisti dopo Freud hanno cercato di attutire questo primato della sessualità in Freud, dando sempre più ai concetti sessuali di Freud un senso e una connotazione metaforici: dicono che è sì sessualità, ma sessualità nel senso dell’emozione, della affettività. Così quello che conta sempre di più nei freudiani ufficiali è il rapporto affettivo con la madre, il fatto che la madre sia più o meno buona, riesca più o meno a fantasticare, e conta sempre meno il rapporto sessuale e in genere qualsiasi cosa che abbia a che fare con i genitali.

Certamente il concetto di sessualità in Freud è molto ambiguo, e sappiamo che lui rompe con Jung proprio sulla questione della sessualità, almeno ufficialmente questa era la ragione della loro rottura. Lacan è uno dei pochi post-freudiani che dà invece alla dottrina sessuale di Freud il massimo rilievo; nel senso però che la sessualità si articola nel linguaggio. Lacan pensa che, poiché l’inconscio è fondamentalmente linguaggio, esiste allora un inconscio perché noi siamo degli esseri parlanti. Per il solo fatto che parliamo abbiamo un inconscio, che è un effetto del linguaggio; per questa ragione non possiamo parlare di un inconscio degli animali, ad esempio, anche se gli animali domestici certo risentono del nostro inconscio. Esistono però alcuni significanti fondamentali, come ad esempio il Nome del Padre e il fallo in modo particolare. Poi nel suo pensiero più tardo Lacan arriva a formulare delle specie di slogan, potremmo dire, che assomigliano un po’ a certi slogan o certe frasi a effetto dei guru orientali. Sapete che nel pensiero orientale – ad esempio nella pratica Zen – è abituale lanciare delle specie di frasi enigmatiche. Una delle frasi enigmatiche del tardo Lacan era: "non c’è rapporto sessuale…". Cosa diavolo voleva dire con questo? Si possono dare varie interpretazioni di questo slogan enigmatico. Egli voleva dire sicuramente, riprendendo certi concetti di Freud, che la differenza sessuale non è inscritta nel nostro inconscio, nell’inconscio c’è solamente il fallo. Con questo Freud non voleva dire che l’inconscio è maschile, voleva dire che nell’inconscio abbiamo a che fare soltanto con il fallo, e che quindi quelli che sono gli atti sessuali, i rapporti tra i sessi reali, non sono qualcosa che ha un’inscrizione inconscia, ma sono qualcosa che avviene in un certo senso in modo artefatto. Potremmo dire che gli atti sessuali sono bricolage. Siccome non ci sono due sessi psichici, ma i rapporti sessuali comunque avvengono, grazie a Dio, c’è qualcosa di artificioso, di surrealista, potremmo dire, nei rapporti tra i sessi. Sapete che gli artisti surrealisti facevano dei bricolage, dei montaggi. Questo è un concetto abbastanza importante in Lacan: il fatto che la sessualità umana non corrisponda ad una differenza sessuale istituita. Per esempio, per quel che riguarda la sua differenza con Jung: Jung pensa che la differenza tra maschio e femmina abbia una base inconscia, che egli chiama animus e anima. L’animus è la parte maschile dell’anima, diciamo così, e l’anima è la parte femminile dell’anima. Maschile e femminile hanno cioè per lui un’inscrizione inconscia. Lacan, da freudiano, pensa che esista una sola sessualità, articolata attorno al fallo e ai suoi scambi, e che quindi ogni essere umano, maschio o femmina, si debba arrangiare, come si direbbe a Napoli, attorno a questi significanti traballanti. In questo senso credo che la reinterpetrazione lacaniana della teoria sessuale di Freud sia alquanto originale.[ A tale proposito ricordo un poetico proverbio napoletano che dice “ A’ fessa piace ‘a l’uommene, o’ pesce piace a tutte quante”, e un altro che quasi gli fa eco : “Tira cchiù ‘nu pilo ‘e fessa ca ‘na pareglia ‘e vuoie”, inutile tradurre! ]

  E cosa vuol dire Lacan, quando insiste sulla natura squisitamente etica dell’inconscio freudiano?

 Uno dei migliori seminari di Lacan si chiama "L’etica della psicoanalisi". Come ho detto prima, effettivamente Lacan è doppio: c’è un Lacan che parla, un Lacan insegnante che fa dei seminari che sono durati per oltre venti anni; e c’è un Lacan che scrive. Ho detto che il Lacan che scrive è un Lacan molto difficile da capire, usa un linguaggio molto barocco; invece il Lacan che insegna, come si vede dalle trascrizioni dei suoi seminari curate da Jacques Alain Miller, è molto chiaro. Si capisce veramente fino a che punto Lacan abbia insegnato la psicanalisi e Freud ad un’intera generazione di analisti francesi. E uno di questi seminari, uno dei più interessanti filosoficamente, è proprio questo seminario sull’etica. In realtà egli torna continuamente sull’etica, nel senso che effettivamente pensa che la psicoanalisi sia una scienza di tipo particolare, che non ha niente a che vedere quindi con la psicologia intesa come una applicazione del modello della fisica all’anima dell’uomo. Il suo interesse filosofico è essenzialmente in questo: che in realtà l’analista non è uno scienziato dell’anima, ma è una persona che rappresenta una istanza etica per il soggetto. E’ solamente quando rappresenta un’istanza etica che il paziente o l’analizzante può in qualche modo cambiare, quello che noi chiamiamo in senso medico la guarigione. Che cosa egli vuol dire con questo?

  Abbiamo detto che una delle novità che Lacan porta è questa idea che la psicoanalisi abbia a che fare con il linguaggio. E questo che cosa implica? Quando Lacan dice che l’inconscio è linguaggio, è strutturato come un linguaggio, egli dice che lo strumento con cui l’analista e il suo paziente lavorano, cioè il linguaggio, la parola, non sono un puro strumento che conosce qualcosa di esterno al linguaggio, ma l’inconscio stesso è linguaggio. Cioè, lo strumento con cui analizzo l’inconscio fa parte della stessa sostanza dell’inconscio. Mutatis mutandis, quello che l’analista fa non è una pura conoscenza oggettiva dell’inconscio. Cioè, il fatto che l’analizzante o paziente parli di tutti i propri problemi, di tutte le impossibilità e impotenze, di tutte le proprie mancanze, non è un puro oggetto dell’analisi, ma l’analisi stessa fa parte di questo processo. Ora questa è una differenza fondamentale rispetto alle scienze della natura, il cui modello è fondamentalmente la fisica. Sappiamo che la fisica, da Galileo e Newton in poi, ha avuto quel grande sviluppo che sappiamo proprio perché in realtà ha sviluppato degli strumenti che sono assolutamente diversi dal proprio oggetto. Il fisico che si occupa del calore non parla in termini di calore, parla in termini matematici, usa un linguaggio e non differenze di calore. Il fisico usa il linguaggio e i suoi oggetti sono in realtà oggetti fisici: calore, masse elettriche, costellazioni, ecc. Ora questo per Lacan, da buon hegeliano, non può avvenire nel caso della psicoanalisi, in quanto essa ha a che fare con l’ethos nel senso greco, cioè con il carattere e il costume delle persone. Però questo ethos non è il proprio oggetto, perché la stessa psicoanalisi è etica; e soltanto nella misura in cui la psicoanalisi è etica che essa può influire sull’ethos, cioè sul costume e sul carattere delle persone. Così come il fatto che la psicoanalisi è linguaggio fa sì che essa possa influire sull’inconscio e sul suo stesso linguaggio. Potremmo dire, al limite, che c’è un isomorfismo tra il linguaggio e il suo oggetto in psicoanalisi: il soggetto e l’oggetto dell’analisi hanno la stessa forma. E questo è il contrasto della psicoanalisi con le scienze fisiche.

Ciò non toglie che il Lacan più tardo pensi che la matematica sia estremamente utile, oltre che alla fisica, anche alla psicoanalisi. Lacan si è occupato di logica e di matematica ed ha sviluppato una sua teoria matematica anche abbastanza particolare. Non è però la matematica di Galileo: egli pensa che la scienza dell’inconscio abbia bisogno di strumenti soprattutto geometrici, così ha scelto una branca della matematica che si chiama topologia. La topologia studia soprattutto i rapporti fra spazi, la struttura interna degli spazi. Se consideriamo l’inconscio come uno spazio – che non possiamo certo definire mentale, ma uno spazio descritto dal linguaggio – lo possiamo allora descrivere in modo geometrico. Dei “registri” ho parlato prima: reale, immaginario e simbolico sono tre registri collegati fra loro matematicamente. Lacan pensa che sia possibile matematizzare l’inconscio, ma non è la stessa matematica della fisica, perché è una matematica etica, cioè una matematica che opera sul proprio oggetto.

Uno dei concetti fondamentali di Lacan è comunque questo: che, contrariamente a quello che si pensa, l’analista è un agente etico, perché in qualche modo inizia il paziente – cioè il soggetto – ad accettare il proprio desiderio, come dice Lacan, ad essere fedele al proprio desiderio. Questa è un’interpretazione abbastanza originale che Lacan dà di Freud. Freud pensava che i sintomi psicopatologici siano dovuti soprattutto a quella che Freud chiama rimozione: la rimozione è dovuta al fatto che il soggetto non vuole saperne del desiderio inconscio, cioè della propria vera soggettività potremmo dire. La guarigione o comunque una certa forma di rasserenamento, di superamento della nevrosi, può accadere quando il soggetto realizza che attraverso la rimozione ha tradito il proprio desiderio, è stato cioè infedele alla propria soggettività. Per Lacan l’azione etica dell’analisi consiste non nel costringere, reprimere o frenare il desiderio, ma nel far sì che il soggetto possa finalmente accettarlo. E questo è anche uno degli obiettivi polemici di Lacan. Prima ho detto che Lacan si è affermato con la bandiera del ritorno a Freud; ho anche detto che questo ritorno a Freud era in funzione un po’ polemica al trend, si direbbe oggi, allora dominante nel mondo americano e newyorkese, la ego-psychology. Questa psicologia dell’Io ha dato un’interpretazione di Freud, secondo cui la funzione etica dell’analista sarebbe quella di rafforzare l’Io. L’Io è in qualche modo il nostro io cosciente, razionale, ed ha a che fare con due nemici: con le proprie pulsioni interne, e anche col mondo esterno che gli chiede delle prestazioni sempre più forti e difficili. Quindi l’analista deve rafforzare questo Io per far fronte a questa doppia minaccia, delle pulsioni e del mondo esterno. Sostanzialmente la funzione etica dell’analisi è dunque una funzione di adattamento dell’Io alla realtà sociale esterna.

Ora Lacan si afferma fin dai suoi primi atti pubblici con questa protesta etica contro l’idea che l’analisi e l’analista siano dei rappresentanti della società esterna e dell’adattamento. Egli riafferma un’etica secondo cui l’analista in realtà deve ricordare al soggetto che egli non può fare a meno invece del proprio inconscio, che egli deve rassegnarsi al proprio inconscio, al desiderio come lo chiama lui. Il desiderio – désir – a sua volta è una traduzione francese che Lacan fa del termine freudiano di "libido", che denota un desiderio fondamentalmente sessuale, ma non solo; la libido o desiderio è la stoffa, la materia prima del nostro inconscio. La fedeltà al desiderio è dunque la sola via di superamento del sintomo, non si tratta certamente di un adattamento a imperativi sociali esteriori.

Ecco, questa è la specificità dell’etica di Lacan che noi, a nostra volta, possiamo mettere in rapporto alla formazione culturale di Lacan. Essa, come ho detto prima, risale agli anni trenta, subisce l’influsso di una interpretazione “modernista” del pensiero di Hegel attraverso l’insegnamento di Kojève, ed è sensibile alla protesta surrealista. Il surrealismo era un movimento soprattutto artistico, ma anche politico ed ideologico che si richiamava a Freud, e che tendeva a rivendicare una spontaneità fondamentale dell’inconscio. Si poteva agire cioè artisticamente, si poteva fondare una società nuova, non reprimendo o in qualche modo indirizzando l’inconscio secondo le vie utili per sopravvivere, ma bisognava invece lasciare parola libera all’inconscio. Credo che questa formazione originale del giovane Lacan abbia improntato anche tutta la sua etica successiva: non quindi l’analista come qualcuno che rappresenta l’ideale razionale dell’Io scientifico e saggio, ma come qualcuno che lascia parlare l’inconscio, che fa sì che il soggetto accetti il desiderio e si rassegni ai costi che esso impone.

CHE COSA HA VERAMENTE DETTO LACAN

Conversazione con SERGIO BENVENUTO ( 3)

Più si procede nella descrizione del pensiero di Lacan, più ci accorgiamo che il Ritorno a Freud è una sorta di eufemismo. Già abbiamo visto nel pensiero filosofico questa differenza tra il positivista Freud e l’idealista Lacan. Ma anche sul piano dello stile, si può ricordare che Freud ebbe, credo, un unico premio in vita sua e fu un premio letterario, il premio Goethe per la letteratura, per la sua scrittura chiara ed evidente. Invece la scrittura di Lacan era barocca e astrusa. Allora come la mettiamo con questo Ritorno a Freud?

 Si potrebbe rispondere in modo clinico, si potrebbe eliminare cioè il problema dicendo che Lacan aveva dei problemi a scrivere, delle difficoltà personali, e quindi gli scritti che ne risultavano – egli non ha scritto molto – effettivamente risultano difficili. Non c’è niente di male, abbiamo una tradizione intellettuale illustre, da Socrate fino a molti moderni, di pensatori, scienziati, filosofi che avevano delle grandi difficoltà a scrivere; a cominciare da uno dei maestri di Lacan, Ferdinand de Saussure, il fondatore della linguistica strutturale: egli non ha scritto praticamente mai niente. Quello che noi sappiamo dei pensieri di Saussure lo sappiamo attraverso gli appunti dei suoi allievi. Un altro maestro di Lacan, Kojève, ha lasciato una grande impronta nella cultura, ma i suoi libri su Hegel sono in realtà delle trascrizioni degli appunti presi da altri. Possiamo dire che gran parte del pensiero di Lacan è un pensiero insegnato, raccolto da Jacques-Alain Miller, il quale era anche suo genero. Quindi possiamo dire che come per Socrate, Saussure, Kojève e altri, anche quello di Lacan è soprattutto un pensiero che si è trasmesso attraverso l’insegnamento.

  Però sarebbe un modo troppo facile di eliminare il problema, anche perché in realtà non possiamo affatto dire che Lacan fosse un cattivo scrittore, tutt’altro. Sono convinto che alcune pagine degli Ecrits, gli Scritti, resteranno nelle letteratura francese di questo secolo. Alcune pagine sono particolarmente brillanti, quindi possiamo dire che era anche un eccellente scrittore, come del resto lo era anche Freud. Anche in questo caso c’è un certo influsso del surrealismo e di George Bataille. Ma soprattutto credo che la scelta stilistica di Lacan dipenda proprio dalla sua etica, che ha a che fare con quello che si è detto or ora. Lacan non crede cioè in una scissione fra il linguaggio e l’oggetto, non crede che si possa parlare dell’inconscio con un linguaggio razionale o puramente razionalizzatore. Egli cerca una scrittura che sia adatta ad esprimere l’inconscio, che non lo rappresenti e lo congeli dall’esterno. Questa è una critica che si può fare persino ai surrealisti i quali, quando scrivono le poesie surrealiste, si lasciano andare al loro inconscio, però quando teorizzano sul surrealismo usano la sintassi normale e usano al limite un linguaggio accademico. In un certo senso Lacan è voluto andare oltre gli stessi surrealisti, ha voluto creare un linguaggio teorico che fosse adatto al suo tipo di oggetto, e questo non dovrebbe stupirci. Effettivamente, quando Galileo incominciò a descrivere il mondo fisico, compreso il mondo delle stelle o delle masse e delle accelerazioni con linguaggio matematico, egli risultò, a quell’epoca, assolutamente incomprensibile. Infatti, prima di Galileo la tradizione aristotelica distingueva, scindeva in modo netto il mondo fisico e il mondo della matematica. Fino a Galileo, per la tradizione occidentale la matematica si occupava delle cose immutabili, dei concetti puri, dei numeri, mentre il mondo fisico sublunare era costituito dal mondo delle cose che mutano continuamente. L’impresa scandalosa di Galileo fu di scommettere sul fatto che il linguaggio delle cose eterne e la matematica erano adatti a descrivere il mondo fisico dove tutte le cose mutano, quindi trovò questo linguaggio adatto. Lacan cerca di fare oggi, tenendo conto degli ambiti diversi, un po’ la stessa cosa: egli scommette sul fatto che il barocchismo sia un modo per descrivere scientificamente l’inconscio.

Negli ultimi anni Lacan ha lavorato molto sulla scrittura di James Joyce, di cui si è occupato anche come caso clinico, in quando James Joyce certamente aveva un inconscio abbastanza particolare, psicotico potremmo dire. Ma Joyce era anche un grande scrittore, e Lacan era convinto che Joyce fosse riuscito, attraverso la propria scrittura, a descrivere il mondo attraverso uno strumento freudiano, potremmo dire una scrittura del lapsus, sfruttando al massimo giochi di parole, allusioni, ecc. Il fatto di usare un linguaggio gongorista, normalmente ambiguo, per Lacan era un modo per parlare veramente dell’inconscio, non per aggirarlo – ovvero per far parlare l’inconscio nella teoria. Se l’inconscio procede per associazioni, per metonimie e metafore, le due figure retoriche fondamentali che, secondo gli strutturalisti, regolano il flusso del linguaggio, allora – pensava – bisognava scrivere anche sull’inconscio in questo modo. Altrimenti si tradiva l’inconscio: parlare dell’inconscio con il linguaggio delle scienze positive equivaleva per lui ad una rimozione. Quindi, dietro l’apparente confusione della sua scrittura, c’è un’esigenza etica di trovare un tipo di scrittura adatta al proprio oggetto.

 – Per concludere, in uno degli scritti di Lacan, vi sono due pagine dedicate al concetto della verità: c’è la verità che parla. Ecco, è strano ritrovare questo concetto di verità all’interno di una discussione psicoanalitica. Che cos’era la verità per Lacan?

 Lacan si è occupato spesso della verità, egli ha scritto anche un saggio intitolato "La scienza e la verità". Ovviamente Lacan cerca di ridefinire il concetto di verità in senso freudiano. Lacan è convinto che Freud non sia semplicemente uno specialista degli affetti come molti post-freudiani pensano che sia. Lacan in un certo senso ha idealizzato Freud: egli pensa che Freud abbia creato una vera spaccatura nel pensiero occidentale, e che le altre scienze debbano avere a che fare con la psicoanalisi. Questo è molto importante perché, negli ultimi anni soprattutto, anche in Italia si è diffuso un dibattito molto vivace, in cui ci si chiede se la psicoanalisi, quella freudiana in particolare, sia una scienza o no. Possiamo dire che Lacan si è occupato di questa questione della scientificità e quindi della verità scientifica della psicoanalisi, però ribaltando dialetticamente la questione. Egli ha detto: "Cosa potrebbero essere le scienze, tutte le scienze, fisica compresa, se tenessero conto del contributo di Freud?" Il problema non è tanto di verificare fino a che punto il pensiero di Freud sia scientifico, cioè se si adatti al modello ideale della fisica – la scienza ideale che oggi abbiamo – ma cosa potrebbe essere la stessa fisica se tenesse conto delle verità di Freud. Quindi allora il concetto di verità di cui egli si occupa non è la verità di una lunga tradizione metafisica che nasce da Platone o da Aristotele, e che tende a vedere la verità come "adeguatio rei et intellectus", cioè adeguazione o adeguatezza del pensiero alla cosa. Lacan, quando parla di verità, parla sostanzialmente della verità del desiderio o del godimento.

 Facciamo un esempio molto semplice: noi continuamente nella nostra vita cerchiamo degli oggetti, per esempio quando ci innamoriamo abbiamo l’impressione che la donna di cui ci innamoriamo, dell’uomo per una donna, sia l’oggetto che noi andavamo cercando da sempre, sin da quando eravamo bambini. E a un certo punto ci possiamo rendere conto, anche grazie all’aiuto del nostro analista, che in realtà questo oggetto non era il vero oggetto. In questo senso Lacan parla di verità, in un senso non meno concreto di quello della scienza. Noi abbiamo spesso la sensazione che il nostro oggetto, le nostre scelte di quell’oggetto, non siano autentiche, non siano il nostro vero oggetto. Lacan si interessa della verità soprattutto sul versante della autenticità e non tanto dell’adeguazione di una rappresentazione alla cosa reale. Che cosa noi intendiamo quando ci rendiamo conto che per esempio la donna che amavamo non era il nostro vero oggetto, ma era uno schermo del nostro vero oggetto? Questo vuol dire che la psicoanalisi dietro l’oggetto falso ci indica un oggetto più vero, la vera donna, il nostro vero oggetto. Perché lo stesso Freud ci insegna che i nostri primi oggetti sono degli oggetti infantili, ma, proprio in quanto sono degli oggetti infantili, sono oggetti che non ritroveremo mai più. Compiere l’autentica scelta dell’oggetto non significa tornare al vero oggetto originario – che sarebbe in un certo senso la madre o il seno della madre – semplicemente perché la madre ormai è vecchia oppure è morta, o anche semplicemente c’è stato il tabù dell’incesto, siamo passati per il complesso edipico e sappiamo che non possiamo tornare più al nostro oggetto originario. Quindi in realtà l’etica e la funzione dell’analista non sono certamente quelle di indicarci praticamente il vero oggetto originario, ma quello di mostrarci che esistono degli oggetti più veri degli altri: ci sono degli oggetti-maschera, degli oggetti che la tradizione analitica chiama narcisistici, e degli oggetti più veri. 

 Henri Cartier-Bresson che si ritrae allo specchio, ripreso da Martine Frank (1992).

Che cos’è l’oggetto narcisistico? Lacan ha dato un contributo importante, accettato universalmente anche dagli analisti freudiani non lacaniani, proprio sul narcisismo. Uno dei suoi primi contributi è sulla teoria del narcisismo: propone quella che lui chiama la fase dello specchio. Lacan mise in evidenza il fatto che il bambino a pochi mesi, sei, sette, otto mesi, passa per una fase in cui lui si innamora della propria immagine allo specchio. Il bambino scopre lo specchio, cioè si rende conto che il bambino che vede nello specchio non è un altro bambino, ma è lui stesso, e incomincia a flirtare un po’ come un innamorato, comincia a corteggiare questa immagine di cui è estremamente contento. Per Lacan questo è molto importante perché è alla base di quello che poi lui chiamerà il registro immaginario: cioè è sostanzialmente l’idea che il nostro rapporto con gli altri passi attraverso l’immagine speculare, che il nostro primo "altro" è la nostra stessa immagine. Ma il fatto che percepiamo tutti gli altri per differenza o identità rispetto a questa immagine con cui noi da bambini abbiamo fatto l’amore, non significa che essa sia il vero oggetto del desiderio inconscio. Ora, non possiamo dire che cosa sia questo vero oggetto, perché è un oggetto che nella realtà non ritroveremo mai; ma se lo ritroviamo nella realtà, nel senso che ha un nome e un cognome, possiamo capirne la struttura: che l’oggetto immaginario perimetra un punto vuoto. Ora, se ritroviamo questo punto vuoto, questo ci permette di sfuggire alle illusioni del narcisismo.

 

Che cosa si intende per illusione del narcisismo? Questo è qualcosa su cui Lacan, ma anche tutti gli analisti, sarebbero d’accordo: è l’idea che si ama l’altro, ma in realtà si ama soltanto la propria immagine. Ecco, questo è un altro punto fondamentale dell’etica della psicoanalisi che Lacan mette in rilevo. Ci sono degli esseri umani che confondono radicalmente gli altri e se stessi, che li amano come fossero la propria immagine: in psicologia clinica costoro vengono chiamati paranoici, pazienti di cui Lacan si è occupato soprattutto quando era giovane. I paranoici sono persone che entrano in un rapporto di rivalità e di amore con gli altri solamente nella misura in cui questi altri sono delle proprie immagini. L’etica dell’analisi ci mette in rapporto con questo oggetto che non potrà mai essere trovato. Ma, proprio perché non può mai essere trovato, occorre che restiamo sempre fedeli ad esso.

Osservazione. Mi chiedo come restare fedele a qualcosa che non c’è, e rispondo a me stesso con un’altra domanda, che però è una constatazione : " Avendo cura nel menar Lacan per l’aia ? ". Ecco una prova dell”originalità del pensiero di Elvio Fachinelli quando, come aveva previsto, l’inconscio é ormai dilagato ovunque, oggi lo si trova anche in rete, nel web… e scrivendo non lo si sa, si va.

AGGIORNAMENTO:

 Max Ernst

Via Herakleitos apprendo, ad esempio, che un recente articolo su Liberazione sul rapportò analità-accumulazione capitalista – tesi sostenuta dal compianto filosofo Luciano Parinetto e dalle ex braghette rosse degli anni Settanta – , sta dando luogo a un acceso dibattito fra i lettori del giornale comunista, che il cronista divide fra entusiasti ( presumibilmente verranno considerati imbecilli, dal momento che credono di trovare nel marxismo critico la giustificazione teorica di un’ars amandi che esiste da che mondo è mondo e che non tutti disprezzano) e scandalizzati (presumibilmente verranno definiti “omofobi”). Invece di trarre insegnamenti e qualche fragile piacere dall’aspetto vivente della questione, che può essere facilmente risolta alla pecorina, di sponda, o alla cosacca, ci si accalca, prudenti ed informati, in locali fumosi per discuterne animatamente, secondo l’Ordine del Giorno. Segue dibattito. E’ ancora necessario che i compagni mostrino il culo per la Rivoluzione? Variante: perché occorre farsi un culo così per guadagnare duramente la propria diversità e sconfiggere il Capitale? O anche: è vero che ci portiamo dietro il diritto umano come una specie di prurito e che le più avanzate conquiste civili e democratiche sono alle nostre spalle ? Insomma, i soliti talk show da asilo d’infanzia attraverso cui un semi-inconscio sanculotto e psicosessualmente immaturo dilaga in pubblico ( ops! stavo per scrivere “in pubico”; probabilmente non esistono solo dibattiti ma ancora problemi che affiorano nella consapevolezza pubblica e nello spettacolo in forma di veri e propri rodimenti di culo post-surrealista, post-moderno, post-mortem e post-tutto ). Viene allora irresistibilmente alla memoria il sottile reazionario, il Nicolás Gómez Dávila di In margine a un testo implicito (Adelphi) quando osserva che “dopo aver screditato la virtù, questo secolo è riuscito a screditare anche i vizi. Le perversioni sono diventate parchi suburbani frequentati in famiglia dalle moltitudini domenicali”.

 NO SEX

dalla rete:

FREUD-LACAN.COM
Le site de l’Association lacanienne internationale.

Lacan Online
"Das Ding se situe ailleurs." "Il ya autre chose dans
das Ding." "Das Ding est tout à fait autre chose." (Le Seminaire VII)


le Séminaire de LACAN
Ecrits + Autres-écrits ) par Jacques LACAN.

Jacques Lacan’s Diagrams
Jacques Lacan’s Diagrams. Here are the diagrams used by Jacques Lacan in Les Écrits.

Il seminario. Libro XX. Ancora (1972-1973) – Lacan Jacques – Einaudi
Ancora (1972-1973); Autore: Lacan Jacques; Traduttori: Benvenuto S., Contri M.
Editore: Einaudi; Data di Pubblicazione: 1983; Collana: Einaudi Paperbacks

Tutto su Jacques Lacan ‘EMSF

Jacques Lacan – Biografia – Biografieonline.it

Jacques Lacan, la biografia completa

UNO SOLO È L’AMORE
L’imputabilità nel pensiero di Giacomo Bernardino Contri.

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