Note sulla pratica della taqiya

 Jhiad

NOTE SULLA PRATICA DELLA TAQIYA

 

 Celare le proprie vere intenzioni è nello stesso tempo una mentalità e una pratica abituale ai gruppi e ai regimi islamici. L’Arabia Saudita o l’Iran, per esempio, ricorrono alla dissimulazione per appoggiare le organizzazioni terroristiche e negarlo organizzando conferenze contro il terrorismo, oppure – come nel caso dell’Iran – di proseguire nella costruzione della bomba atomica islamica e negare di averne l’intenzione. Se però lo fai notare, incorri facilmente nell’accusa di praticare una retorica anti-musulmana mirante ad occultare il fatto che l’islam è una religione di pace e amore.

In realtà l’islam è plurale, ma quello che oggi prevale sulla scena è l’islam politico, derivato dalla decomposizione e ricomposizione in termini ideologici, spettacolari e nazi-teo-scientisti degli islam tradizionali. L’islam è quello che ne fanno i musulmani, ma sebbene la lingua araba e alcune credenze di base nell’unicità di Allah e la missione del profeta Maometto ne costituiscano gli elementi unificanti, nessuna versione esprime l’islam e salda tutti i musulmani in un sol blocco o in un sentire e in un volere comuni. 

 La pratica della dissimulazione è tuttavia una pratica prescritta esplicitamente dall’islam in tutte le sue versioni. Il termine giuridico per “dissimulazione” è tukya o taqiya o taqiyyah o anche taqiyah, a seconda della pronuncia locale, ed è collegato ai termini takwa e taqi, con il significato di “custodire” qualcosa nascondendolo o dissimulandolo. Tukya rileva della sfera della “mentalità”, degli “affetti” e della custodia del proprio di ciò che si è, spesso spostato e deviato dalle sue vere ragioni. Dove, in ambiente islamico, non esistono linee curve, velami, separazione degli spazi pubblici e privati in maschili e femminili, e vicoli tortuosi ? In un certo senso, si potrebbe affermare che qui il Superio sia all’esterno, nello sguardo incombente del vicino e la necessità pratica di dissimulare la propria condotta allo sguardo dei propri fratelli nell’islam. Da qui l’istituzione, nel regime wahhbita così come nel regime nomocentrico ( ovvero basato sul “diritto di Allah” ) degli ayatollah iraniani dei “guardiani della virtù islamica e repressori del vizio”.

L’autorizzazione alla tukya è data dagli imam e dagli sceicchi in accordo con la tradizione ( sunna) e in conformità con la shari’a, la legge islamica, quando palesare osservanza alla Legge del dio Allah variamente interpretata ( non esistendo nell’islam un’autorità unanimente riconosciuta ) potrebbe essere lesivo dell’incolumità personale o della propria libertà d’azione. Mentire significa, nel caso, custodire una fede che nell’islam non è generalmente un fatto spirituale o privato, ma una credenza di gruppo basata sulla visibilità dell’alal ( il lecito) e l’invisibilità e la persecuzione dell’haram ( l’illecito, l’impuro come ad esempio l’alcol, il porco, la mostrazione della donna e, in una certa misura, il non-musulmano).

La dissimulazione – come nota Giovanni Cantoni ( in : Aspetti in ombra della legge sociale dell’islam), si affianca alla possibilità, in caso di necessità, di stringere amicizia con infedeli ( i kuffar, letteralmente “ingrati verso Allah”, come si dice abitualmente con termine polemico), di fare intese con loro — «I fedeli non si alleino con i miscredenti, preferendoli ai fedeli. Chi fa ciò contraddice la religione di Allah, a meno che temiate qualche male da parte loro» (Corano, sura III, «Âl-‘Imrân» [La famiglia di Imran], 28). 

 Anche l’amicizia con un non-musulmano è quindi interessata, soggetta a riserva mentale e a dissimulazione. Dirsi "amico" di un non-musulmano significa essenzialmente "aver commercio con lui". Il commercio può giustificare e rendere lecita ( alal) un’amicizia interessata che può essere revocata unilateralmente a seconda delle convenienze e dei rapporti di forza. Persino il tradimento appare come una virtù gradita al dio Allah, che secondo l’affermazione coranica non è il padre. Non ci si salva quindi come fratelli e sorelle, figli e figlie dell’unico padre celeste, ma sottomettendosi in gruppo al Comando espresso alla lettera nel Libro da un Onnipotente che non può essere moderato e spesso finisce con l’assomigliare a una specie di Saddam Hussein cosmico. C’è un proverbio popolare arabo che illustra perfettamente questo comportamento desunto dall’insegnamento coranico di cui i musulmani sono abituati ad aver paura fin da piccoli : “ Bacia la mano che non puoi mordere”.

Oggi quello della taqiyah è un lavoro specializzato, dato che l’obiettivo strategico dell’islam politico, sia nelle versioni fondamentaliste che operano nel sociale sia in quelle jahidiste che ricorrono al terrorismo, è quello di distruggere i fondamenti e i princìpi basilari delle civilizzazioni non-musulmane, come preludio alla sconfitta di Israele, dell’India, degli Stati Uniti d’America, della Gran-Bretagna, della Germania, della Francia, dell’Italia, della Russia, dell’Egitto, dell’Afghanistan, dell’Iraq e di tutti quei soggetti che non si sottomettono all’islam politico, oppure non pagano il “pizzo” alla mafia islamista per avere un po’ di tregua ed essere lasciati relativamente in pace. 

  La dissimulazione ( taqiyah) non è un fenomeno unico nella storia. Molti strateghi provenienti dagli ambiti più diversi se ne sono serviti per conquistare il potere o per sovvertirlo. Per esempio Adolf Hitler quando nel Mein Kampf scriveva : " Il solo mezzo per vincere facilmente contro la ragione: il terrore e la forza” ( Adolf Hitler – Mein Kampf ). Accanto a diverse letture spirituali ma minoritarie del Corano, esiste anche una lettura letteralista e mafiosa del Libro. Per esempio del seguente versetto: “ Preparate, contro di loro, tutte le forze che potrete [raccogliere] e i cavalli addestrati per terrorizzare ( turhiboona ) il nemico di Allah e il vostro e altri ancora che voi non conoscete, ma che Allah conosce. Tutto quello che spenderete per la causa di Allah vi sarà restituito e non sarete danneggiati"( Corano, Al-‘Anfâl, 8:60 ). Questo versetto sembra autorizzare automaticamente la pratica del terrorismo e veniva peraltro citato anche da un imam di Milano, Al-Qassim, quando con gli occhi iniettati di sangue predicava che terrorizzare il nemico è dovere religioso .

Il versetto, se preso alla lettera, può essere messo in parallelo con il Mein Kampf di Adolf Hitler, non a caso un bestseller nei paesi arabi. Da noi in Italia, la versione del Corano più diffusa è quella dell’U.C.O.I..I. stampata da Newton Compton a cura di Hamza Piccardo che fin dalla prima sura seleziona un commento fondamentalista al testo, dando per l’interpretazione più autorevole e più corretta quella che dice che “i meritevoli di collera” ( Ghair il-Maghdubi ) di cui parlano le ultime righe della prima sura ( al Fatiha, l’Aprente) sono “gli ebrei” e gli “sviati” sono” i cristiani” ( Cfr. Corriere della Sera – Distorsioni, intolleranza, pregiudizi). Vengono selezionati e citati, per sostenere tale interpretazione, alcuni commentatori autorevoli. In effetti, oltre a al-Tirmidhi (d. 892), esiste tutta un’esegesi che ricollegandosi a una tradizione rimasta fissa al medio-evo e immuta afferma che con l’espressione Ghair il-Maghdubi l’Altissimo indica gli ebrei ( “Yahud”). Hamza Piccardo afferma che una tale esegesi “si ricollega fedelmente alla tradizione”, autorizzando così le più crudeli esazioni nei confronti di ebrei e di cristiani. Mai come in questo caso, tale metodo legato all’a-temporalità della lettera e della citazione autorevole fuori contesto e fuor di metafora, può essere paragonato – come osservava Benjamin a proposito delle citazioni fuori contesto – a “banditi di strada che derubano i viaggiatori delle loro opinioni”, più che ai più innocui e preziosi pescatori di perle.

Come la mafia l’islam parallelo si può affermare solo con i sequestri ( compreso il sequestro del Corano) e la violenza, e sentirsi forte solo grazie al consenso del "gruppo" dominato da chi fa la voce più grossa ed è in grado di intimorire di più e di usare la forza. Fondamentalmente metareligioso, l’islam parallelo non è soltanto un fenomeno capace di creare alleanze, di controllare la mentalità, il territorio e l’economia. È anzitutto un fenomeno socio-psicologico di “disperazione di massa” ubiquitario e diffuso, che – tramite un discorso fondamentalista su una presunta “purezza” originaria minacciata, l’intimidazione, l’estorsione, la dissimulazione ( tukya), la perfidia, il tradimento, la violenza, il letteralismo,  le minacce ricorrenti   e il terrore ( turhiboona ) – riesce a far coincidere cultura del vittimismo organizzato, comunità concepita come “umma” ( matria) saldata all’origine allucinata, famiglia patriarcale e individui in crisi d’identità al contatto con la modernità e le nuove ambizioni degli stati islamici o in via di islamizzazione e delle borghesie arabo-islamiche avide di rivincita contro “ebrei”, “crociati” e “musulmani tiepidi”, non disposti cioè ad aderire ad una ideologia perversa in nome dell’islam e dell’uso a fini politici di un vocabolario islamico.

Come in ogni "psichismo" adolescenziale, brigatista o mafioso, nell’islam parallelo detto fondamentalista o anche “giahilita” perché a partire da ideologi come Sayyid Qutb considera l’universo mondo non-islamico o non abbastanza islamico regredito ai “tempi pre-islamici dell’ignoranza”( خاهلية, ovvero jāhiliyya ) e quindi da punire per essersi ribellato ad Allah, non esistono mediazioni o sfumature, ma solo dicotomie nette: noi-loro, amico-nemico, alal ( lecito) – haram ( impuro, non consentito), vita-morte, tutto-niente.  «La loro causa – sostiene Blair – non si basa sulla lotta all’ingiustizia. Si basa su una fede fanatica, che non può essere resa più moderata».

Benché la dissimulazione sia stata la pratica di strateghi provenienti dagli ambiti più diversi, compreso l’ambito mafioso e quello brigatista ( “i compagni che sbagliano”, si sussurrava inizialmente) l’unicità dell’ attuale taqiyah praticata dagli islamisti è quello di essere un lavoro articolato, specializzato e ben finanziato, con il conseguente successo che ottiene presso le società democratiche avanzate ad alto livello di sviluppo.

Mentre Liberazione, quotidiano comunista, offre in allegato le vecchie opere di Marx ( “il filosofo più amato in Europa”) e apre un dibattito con la base sulla “rivoluzione proletaria che passa anche attraverso il buco del culo), una gioventù islamica verdeggiante, a un tempo esaltante e oppressiva, in pieno boom demografico e marasma paranoico-sacrificale, non chiede di meglio che trovarvi con le cinture già slacciate ( “Chinati, amico, sottomettiti al Più Grande e lascia passare se non la rivoluzione proletaria perlomeno la peste verde…”. Magari in uno sventolìo di arcobaleni tristemente penzolanti dai balconi delle braghette rosse e dalle finestre di quelli che vogliono essere lasciati in pace un attimino. L’arcobaleno, l’emblema dei pacifisti e dell’Unione, è peraltro già il segno dell’iridiscenza spettrale che accompagna la putrefazione delle loro ideologie novecentesche e del loro essere civile, politico e sociale splendidamente decomposto *) . “ Si racconta che durante una razzìa contro i Greci di Bisanzio si trovò un mujaheddin accoccolato sulla schiena di un infedele-kuffar .’ E tu ti comporti così’ gli fu rimproverato ‘ tu! un combattente nella santa e giusta causa del jihad ?’.’ La mia azione è perfettamente meritoria al cospetto di Allah’ rispose quello. ‘ Che combattimento c’è più grande di questo ?’ ”. da AHMAD AL-TÎFÂCHÎ , The Delight of Hearts , by Ahmad ibn Yusuf al-Tifashi – d. 1253/651).

Specialmente in Europa – in un’ Europa, penisoletta dell’Asia, il cui sogno è quello di essere femmina e dove il mondo letterato è talmente cinico, satollo ed annoiato da essere predisposto alla barbarie – la strategia della taqiyah si sta rivelando vincente in una maniera massiccia a causa dell’uso programmato dalle nuove ambizioni delle borghesie arabo-islamiche e la mancanza di conoscenza dell’islam fra le élites europee. Specialmente quelle di sinistra credono ingenuamente – forse sperando di essere umiliati, sottomessi e uccisi per ultimi, mentre invece saranno i primi come in Iran – che il terrorismo islamico si basi sulla lotta all’ingiustizia e non sull’odio genocidario ubiquitario e diffuso per l’altro da sè: ovvero di una vera e propria “disperazione di massa” delle moltitudini islamiche prive di ponti culturali per non virare al disastro al contatto con una modernità che distingue, da perlomeno due secoli, tra fede e stato. E quindi si oppone al disperato e fallace progetto metareligioso dei barbuti e delle velate di indicare il cammino degli individui e delle masse dettando loro – con le buone o con le cattive compresa la dissimulazione del loro progetto di essenza totalitaria – una loro versione politica della dura e radicale legge del dio Allah ridotta a poveri slogan ormai globalizzati.  

" Un tempo – scrive Mohammed Arkoun in L’Islam morale et politique – nel linguaggio coranico, si parlava di sakina, la calma interiore, lo sguardo sereno, tollerante, comprensivo portato dagli uomini sulle loro condotte poste dapprima alla luce del Giudizio di Dio. Sguardo metafisicamente potente, ma politicamente inefficace". Nell’assedio di un mondo in continua mutazione, posto sotto il segno della rivincita e della volontà di potenza politica ed economica, la sakina sembra scomparsa dalla sensibilità musulmana. Gli eccessi fanatici non hanno niente a che fare con con la coscienza, lo sguardo sereno e critico su se stessi, il discernimento e un pensiero morale e politico responsabile. L’ideologia perversa che li autorizza ricorrendo a un vocabolario religioso non ha niente a che fare neanche con la religione o con il Corano, ma con la permanenza, la forza espansiva e il rigurgito di un immaginario metareligioso comune a grandi masse di persone e scambiato come "vero islàm". Non c’è alcun islam e alcuna religione al di sopra del rispetto della vita, della verità e della decenza. Benedetto XVI, invitando a pregare per i terroristi islamici, ha ricordato che Dio ama la vita, non la morte. E il Dalai Lama, esponente della religione buddista e premio Nobel per la pace, ha scritto che "quando la religione non viene usata al servizio delle creature, ma come arma politica e strumento di potere, allora diventa un pericolo". Questa affermazione, la cui dimostrazione è terribilmente attuale, fa eco a quella del filosofo inglese David Hume quando distingue gli errori della filosofia che "sono ridicoli" da quelli della religione che "sono pericolosi".

La pratica della taqiya non conosce confini né in termini di spazio né di tempo. Tempo e spazio sono usciti fuori dai loro cardini e il terrore è mondiale. E’ verso questo squilibrio del terrore e l’ assenza di limiti al desiderio di assoluto che ci porta il sequestro sia dell’islam tradizionale in piena decomposizione sia dell’islam delle luci da parte dell’uomo-bomba e dei citrulli dalla voce dura, perché come dice al Ghazali, ricordando un hadit dell’Apostolo di Dio, “ la maggioranza degli ospiti del paradiso di Allah sono dei semplicioni ( al-buluh)”. ** 

 note

* La decomposizione (anche detta, impropriamente, putrefazione) è il processo di disfacimento dei corpi (o di parte di essi) di organismi precedentemente viventi, che si scompongono nelle forme più semplici della materia dopo la morte. La scienza che studia la decomposizione ( comprendente tra l’altro processi biostratinomici, inglobamento in detriti organici o in fluidi, così come anche processi di fossilizzazione e di carognaggio come fa Ida Dominijanni de il Manifesto) è generalmente denominata tafonomia.

** Al-Ghazali, Al-mahabba wa’l-uns wa’l shawk wa’r-rida, il Cairo, 1961; citato in “Intersignes” n.11-12. Leggi anche, di Angelo Pezzana a Libero :  Criminali, ma per fortuna stupidi. ( affermazione vera fino a un certo punto, perché l’odio può rendere estremamente intelligenti e quasi luciferini N.d.gdm).

– Tactical Deception and Strategic Surprise in al-Qai’da’s Operations
"Taqiyyaand kitman: The Role of Deception in Islamic Terrorism”

Fonte:http://meria.idc.ac.il/

 

 al-Taqiyya/Dissimulation (Part I)

Fonte: http://www.al-islam.org/encyclopedia/chapter6b/1.html

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4 risposte a Note sulla pratica della taqiya

  1. anonimo scrive:

    Grande post; da ritagliare e conservare, direbbe Bordin.

    Un solo commento, teorico: la dissimulazione risulta estranea alla concezione cavalleresca occidentale, ma è anche una delle tattiche teorizzate, predilette e consigliate al guerriero orientale, a partire dai maestri storici dell’arte della guerra cino-giapponesi (Sun Tzu, Miyamoto Misashi etc.).

    ciao, Abr

  2. ephrem scrive:

    Si grandissimo post, lo segnalo sul mio blog!

  3. anonimo scrive:

    Mah… Il suo blog è molto interessante, e in parte esprime delle considerazioni valide, ma ritengo che Lei sia in errore quando attribuisce la pratica della dissimulazione come esclusiva del mondo arabo.

    Alcuni suoi commentatori entrano, credo, addirittura in un delirio quando teorizzano un inestistente “cavalleria” occidentale a cui la dissimulazione fosse estranea… se lo lasci dire da un medievista, la “cavalleria” pura e cristiana è una pia leggenda romantica. Peraltro pare piuttosto che all’epoca delle crociate le élites musulmane e quelle cristiane fossero assai più disposte di oggi al compromesso e all’accettazione dei balletti basati su fedeltà precarie ed equilibri di forza mutevoli.

    Tornando a noi, temo che gli unici a poter scagliare la prima pietra siano gli anarchici, quanto ad uso della menzogna a fini politici. La storia ha dimostrato che il potere, ogni élite al potere, di qualunque latitudine e di qualunque estrazione religiosa, ha sempre praticato una condotta ipocrita, pur di mantenersi in auge.

    La Chiesa, fino al secolo scorso (parlo del ‘900), ha sempre predicato amore per la povertà, ma i capi religiosi sono sempre vissuti al riparo di sontuosi edifici; così fanno i musulmani e probabilmente tutti i capi religiosi; per non parlare della maggioranza dei politici. La menzogna come arma politica – come la segretezza di Stato e quindi una voluta mancanza di trasparenza – ha sempre caratterizzato il potere pubblico e la sua prassi. Da Hitler a McKinley e Polk (i presidenti USA che mossero guerra alle Filippine e al Messico, sulla base di menzogne o futili pretesti), dallo Zar a Lenin o Stalin, il potere legittima la sua forza con la menzogna e il terrore. O la balla della “guerra difensiva”.

    Tralaltro mi pare singolare ossservare che il Pakistan risulti essere la nuova base operativa dei Jihadisti. Guarda caso il Pakistan del Gen. Musharraf, buon amico e dittatore gradito agli USA (lo era anche il Sig. Hussein, a suo tempo).

    Quanto all’Iran, cito da Lei:

    «…come nel caso dell’Iran – di proseguire nella costruzione della bomba atomica islamica e negare di averne l’intenzione. Se però lo fai notare, incorri facilmente nell’accusa di praticare una retorica anti-musulmana mirante ad occultare il fatto che l’islam è una religione di pace e amore.»

    ritengo che l’Islam sia pacifico e amoroso quanto il cristianesimo, cioé molto o poco a seconda della convenienza. E quando c’è da benedir baionette, imam e preti non si son mai tirati indietro.

    Tuttavia non vedo perché l’Iran, in quanto paese indipendente e sovrano, NON debba aver diritto a sviluppare un proprio arsenale nucleare, come quello USA, Francese e quello israeliano (ci stanno arrivando, se già non si sono attrezzati). O si rinuncia tutti alle armi di distruzione di massa, o è osceno proibirle solo ad alcuni e permetterle ad altri.

    La invito comunque a visitare il mio Blog.

    http://nixlist.blogspot.com

    Cordiali saluti.

    P.S. per una lista delle guerre sante promosse dalle èlites USA:

    http://www.cdbitalia.it/SCH_07.htm

    Furio Detti

  4. giannidemartino scrive:

    Gentile Furio Detti, siamo d’accordo, non attribuisco la pratica della dissimulazione come esclusiva del mondo arabo.O meglio del cosiddetto mondo arabo, dal momento che la maggioranza dei paesi colonizzati dall’imperialismo arabo-islamico non sono arabi. L’ho anche scritto: ” La dissimulazione ( taqiyah) non è un fenomeno unico nella storia. Molti strateghi provenienti dagli ambiti più diversi se ne sono serviti per conquistare il potere o per sovvertirlo (…). Benché la dissimulazione sia stata la pratica di strateghi provenienti dagli ambiti più diversi, compreso l’ambito mafioso e quello brigatista ( “i compagni che sbagliano”, si sussurrava inizialmente) l’unicità dell’ attuale taqiyah praticata dagli islamisti è quello di essere un lavoro articolato, specializzato e ben finanziato, con il conseguente successo che ottiene presso le società democratiche avanzate ad alto livello di sviluppo”. La dissimulazione, volendo generalizzare, non è neanche prerogativa dell’uomo cosiddetto civilizzato, dal momento che si riscontra anche nel mondo vegetale e in quello animale, in funzione di difesa o di attacco.

    L’IRAN E LA BOMBA. ” Tuttavia non vedo – Ella confessa – perché l’Iran, in quanto paese indipendente e sovrano, NON debba aver diritto a sviluppare un proprio arsenale nucleare, come quello USA, Francese e quello israeliano (ci stanno arrivando, se già non si sono attrezzati). O si rinuncia tutti alle armi di distruzione di massa, o è osceno proibirle solo ad alcuni e permetterle ad altri”. La questione è cosa fanno delle armi di distruzione di massa alcuni e cosa vogliono farne altri. La lotta contro la proliferazione nucleare non data da ieri. Fin dall’indomani della seconda guerra mondiale numerose potenze tentano di ottenere l’arma atomica mentre le popolazioni entrano all’ombra di una possibile sciagura generale. Bisognerà attendere il 1970 con la messa a punto del Trattato sulla non-proliferazione nucleare (TNP) per vedere la comunità internazionale dotarsi di uno strumento concreto per limitare la disseminazione della tecnologia nucleare per uso bellico al di là dei cinque possessori ufficiali. Da allora il trattato è stato ratificato da 188 stati.

    Tuttavia la lotta contro la proliferazione nucleare resta una preoccupazione della maggioranza dei paesi della Terra. Perché da allora altre nazioni non-firmatarie del TNP hanno potuto acquisire l’arma atomica: il Pakistan, l’India e senza dubbio Israele. L’attentato dell’11 settembre 2001 e la guerra del terrore o jihad dichiarata unilateralmente da ambienti islamici transnazionali contro società occidentali o musulmane “occidentalizzate” che giudicano materialiste e infedeli, e quindi da purificare ad ogni costo, non possono che rinforzare la volontà dei paesi democratici di difendere se stessi e la civiltà umana con ragione e con forza, lottando contro la proliferazione nucleare. Si tratta di allontanare l’angoscia che il pericolo dell’iperterrorismo riccamente finanziato anche da stati canaglia come l’Iran fa pesare sulle relazioni internazionali. E’ in un tale contesto che la comunità internazionale s’inquieta della possibilità che l’Iran disponga dell’arma atomica e che gli sforzi tendenti a convincerlo a rinunciare a una tale strada si fanno particolarmente intensi negli ultimi tempi.

    Perorare la causa dell’iperterrorismo in nome di un astratto principio di uguaglianza o dell’indipendenza sovrana – in un mondo sempre più interdipendente – è un modo, mi pare, per evadere la questione e chiudere gli occhi sul pericolo incombente. E’ “osceno” voler limitare la capacità di azione distruttrice di un regime totalitario come l’Iran degli ayatollah che – a differenza degli USA, della Francia, di Israele o della Svizzera – proclama di amare la morte più di quanto noi amiamo la vita ?

    Benvenuto, caro Detti, nella terra, ahinoi!, dei non vedenti. Di quelli che di solito, nella maggior parte dei casi, sopravvissuti alle catastrofi, si dicono sorpresi dell’accaduto e restano tra i non vedenti e i non udenti, fra coloro che non sanno e che non avranno mai saputo che l’uomo potesse scendere così in basso.

    D’altra parte, dopo aver visitato il suo blog ( grazie ) credo di comprendere anche la sua preoccupazione di onesto anarca ( Junger però non era un moralista ) di non chiudere gli occhi, di non cedere alle propagande, culturali o militari.



    Grazie ad Abr ed Ephrem, ciao, gianni

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