Pier Paolo Pasolini, trent'anni dopo

  PIER PAOLO PASOLINI

( 5 marzo 1922 – 2 novembre 1975)

TRENT’ANNI DOPO

Piero della Francesca (1423-1492). Angeli cantori , 1470 (dettaglio della Natività). National Gallery, Londra

A trent’ anni dalla morte barbara, avvenuta all’idroscalo di Ostia nella notte tra il primo e il due novembre del 1975, l’Italia rende omaggio in maniera corale e torrenziale a Pier Paolo Pasolini, poeta, scrittore e regista incompreso da molti dei suoi contemporanei.

A volte criticato e offeso per le sue idee controcorrente , scomode e aggressive, ma anche come uomo, per la sua vita, il cocco dei padroni del Corsera ci spiegava – con prosa legnosa, a tratti fosca e visionaria – come dovevamo fare la Rivoluzione.

Come quando fra pronunciamenti e abiure profetava che con gli “ Alì dagli occhi azzurri”, i giovani del Terzo o Quarto Mondo avrebbero invaso il vecchio Occidente, e ne avrebbero distrutto la storia con la violenza. Sembrava di leggere il Bateau ivre di un Rimbaud in una lingua memore però del Manzoni e del Leopardi “… Distruggeranno Roma / e sulle sue rovine / deporranno il germe della Storia Antica. / Poi col Papa e ogni sacramento / andranno come zingari / su verso l’Ovest e il Nord/ con le bandiere rosse/ di Trotzskij al vento .”.

Era una certezza disperata e insieme allegra poi rinnegata. Al seguito degli eventi del ’68 che scolorivano su piazze rosso sangue, infatti scrisse: “Perché rinnego questa profezia? Perché allora ero solo e ridicolo a farla, oggi è diventata merce comune...”.

Ricordate Il PCI ai giovani! la poesia scritta dopo gli scontri di Valle Giulia, nel marzo del 1968 ? Gettò nello sconcerto il Movimento studentesco ( formato da tanti piccoli Rimbaud e Trotzkij in sedicesimo con molti occhiali) e fece arrabbiare i partiti della sinistra ( che in vita non  hanno mai amato Pasolini ) perché vi scrisse "… Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte / coi poliziotti, / io simpatizzavo coi poliziotti! /Perché i poliziotti sono figli di poveri. / Vengono da periferie, contadine o urbane che siano ”.

I contestatori dei gruppuscoli settari della nuova sinistra erano invece figli di papà che avevano scambiato la Rivoluzione per la guerra civile, mentre i giornalisti , i professori impauriti e i padri dimissionari erano pronti a leccar loro il culo. “ Io no, amici. Avete facce di figli di papà. Buona razza non mente. Avete lo stesso occhio cattivo. Siete paurosi, incerti, disperati ( benissimo) ma sapete anche come essere prepotenti, ricattatori e sicuri: prerogative piccoloborghesi, amici”.

Prerogative piccoloborghesi e occhio cattivo come in Valcarenghi, ad esempio, l’emblematico direttore di “Re nudo”  con la foto di Mao in bella vista,  che poi  nell’epoca del Riflusso ( come si disse con metafora mestruale ) sarebbe finito a Poona tra gli arancioni. Mentre i più stupidi finivano con l’ago nella pancia in cessi insanguinati rischiarati d’irrealtà, oppure cedevano al fascino delle armi automatiche,  altri, più furbi, gettato alle ortiche il colletto alla Mao si sarebbero seduti su poltroncine girevoli, un sigaro in bocca, un sorriso brillante come un getto di napalm, e sarebbero diventati la classe che oggi ci dirige nelle industrie, le banche, i giornali e le televisioni. …

Ma sì, il vecchio Andrea Valcarenghi del quale quando uscì il suo Underground a pugno chiuso, nel 1973 , Pasolini il corsaro scrisse : “ Il suo entusiamo per la ‘lotta contro il sistema’ non conosceva limiti. Annetteva tutto quanto gli capitava davanti, movimento studentesco e comunità ‘beats’, ‘Lotta continua’ o ‘provos’, purché ci fossero degli slogans rivoluzionari e, soprattutto, degli scherzi in grande contro il sistema. Che Guevara e i pacifisti, Notarnicola e Pannella, stalinisti e antistalinisti coesistevano tranquillamente: l’importante era che tutto fosse luogo comune.”( Tempo, 4 novembre 1973 ).

Pasolini morì esattamente due anni dopo. Era il giorno dei Morti del 1975 e la notizia giungeva improvvisa nelle case degli Italiani come un corto circuito, con forti cariche simboliche. “Hanno fatto tacere Pierpaolo, hanno impedito di parlare a Pierpaolo, una decisione di farlo tacere per sempre ! ”, disse subito dopo l’omicidio il regista Bernardo Bertolucci. “ La storia di come è morto – ha osservato recentemente  Alberto Arbasino – somiglia molto a un filmaccio di terz’ordine fatto da dei pessimi imitatori di Pasolini.”

OPERAZIONE NOTTE BUIA”

Chi fu il regista quasi pasoliniano di una morte ben strana, che in quell’Italia in bianco e nero anni Settanta scandalizzò tanti perbenisti e moralisti piccoloborghesi non ancora politicamente corretti, vale a dire non ancora abituati all’hard, al porno in formato famiglia e ai trilli e agli strilli dei “Magnifici cinque” in tv-color, ma che accettavano solo i sagrestani e i campanari con “il vizietto” senza nome e ben nascosto? E che poi si videro entrare in casa, tramite l’Espresso che ne pubblicò le foto, quel corpo straziato? Insomma, fu una morte spettacolare ed atroce di cui è ricorrente parlare come di uno dei tanti episodi misteriosi che accadono in Italia. E quanto a chi fu il regista del filmaccio, lo sa il Diavolo, ecco !

Pasolini morì ucciso per le sue scelte private per mano di un ragazzo di tipo popolare o contadinesco in via d’estinzione : un assassino che apparteneva alla sua tipologia erotica e che nell’abbaglio – in quel crepuscolo romano di una sera di novembre del 1975 – doveva apparirgli come una specie di Aurora, forse perché quel giovane marchettone riccetto somigliava al suo amore .

Faccia d’angelo”, così viene chiamato in criminologia questo tipo d’assassino. Jean Genet lo adorava, lo cercava tra i Palestinesi, forse perché vi riconosceva le famose tre virtù tanto celebrate nella sua letteratura: il furto, il tradimento e la sodomia. E Gide ne ha scritto con emozione, come quando ne L’immoraliste descrive il delizioso brivido provato negli Aurès nello spiare un soave arabetto che gli rubava un paio di forbicine dalla trousse da cucito. “In ogni caso – mi scrive a parte Massimo Consoli in una mail arrivatami quest’oggi, – Pasolini è morto perchè era gay. Fosse stato etero, neanche si sarebbe trovato all’Idroscalo di Ostia, un posto pericoloso ed equivoco abbandonato da dio e dagli uomini, a quell’ora di notte, in quella circostanza. E a me non sembra giusto che uno debba morire perché è gay, come non mi sembra giusto che nessuno debba morire, o soffrire, o essere discriminato perchè è trans, è donna, è lesbica, è nero di pelle o professa una fede che non piace a chi comanda, o a chi ha in mano gli strumenti culturali adatti, o a chi cerca di scaricare sugli altri i propri problemi”.

Segue una lunga e insistente sfilza di “Pasolini è morto perchè era gay… Pasolini è morto perchè era gay…Pasolini è morto perché era gay ” e l’invito a un un incontro il 2 novembre all’Idroscalo di Ostia, “ la’ dove Pasolini ha subito il martirio, e magari canteremo insieme, un’altra volta, la sua ormai famosa ‘Ballata’ … E, per chi non potrà venire, ci sarà sempre la possibilità di partecipare all’ormai tradizionale (dal 1992) ‘ Operazione Notte Buia’, insieme ai vari locali pubblici e privati: bar, discoteche, saune, circoli, cinema, associazioni, teatri, redazioni di giornali, singoli individui… alla mezzanotte in punto tra il 1 ed il 2 novembre, spegneranno le luci per un minuto, per ricordare la tragica morte di un uomo che ci ha dato così tanto e con il quale saremo sempre in debito”.

Pasolini è morto perché gay. Chissà perché la stupidità insiste sempre. Ma scusa, Massimo, se vuoi spingere la cosiddetta “comunità gay” a dedicarsi al culto dei martiri, perché invece che in una dark room non la porti in una bella chiesa? Credo che in una chiesa a nessun barista palestrato verrebbe in mente di soffiare sulle lampade vacillanti, spegnere le luci e lasciarci tutti al buio.… come invece pare debba accadere in qualche locale dove per brancolare in maniera politicamente corretta, studiare martirologia e prendere qualche piattola occorre pure pagare tessera arcigay e pizzo ai protettori della fantomatica “comunità gay”, vale a dire ai sinistri guardiani dei bisogni. Naturalmente non intendo partecipare a nessuna di queste iniziative credo sponsorizzate dal sindaco Veltroni o da altri sponsor politici del vittimismo organizzato. Davvero sarei disposto a rileggermi tutto Petrolio, il voluminoso libro postumo di PPP, pur di non dover partecipare all’ “Operazione Notte Buia”.

Anche perché Pasolini avrebbe certamente rifiutato di essere omologato d’ufficio alla categoria spettacolare dei “gay” e avrebbe certamente criticato questa nuova merce, insieme a tutto il piagnisteo che l’accompagna e all’illusione ( che è anche povera ideologia) di trasformare i ragazzi che si amano in vittime del vittimismo organizzato e la sessualità in gestione ottimale e veltronesca dei bisogni.

UN TENTATIVO D’AMORE

San Pasolini martire non è morto perché era gay o perché la società non gli permetteva di soddisfare i suoi bisogni sessuali, come afferma Massimo Consoli. E’ morto perché era impaziente e dimenticava di essere modesto, ecco tutto.

Insomma, non era disposto ai sacrifici, alle attese. Proprio come Cappuccetto rosso, via di corsa tra le zampe di qualche caro Lupo! I bambini credono di azzeccarla sempre, a loro piace molto la favola di Cappuccetto rosso e del Lupo nel letto. E Pasolini avrebbe tenuto una lezione persino alla sua mamma, o alla nonna, se gli avessero raccomandato di non dare confidenza agli sconosciuti, specialmente se incontrati a piazza della Repubblica… Avrebbe irriso persino gli amici, con irritazione o stanchezza, tacciandoli di essere dei piccoloborghesi se questi gli avessero detto, che so: “ Né ragazzo né quadro al lume di candela”, o meglio di lucciola…

San Pasolini non era più impaziente o colpevole di altri, ma forse si credeva innocente, talmente innocente da pensare che tutto fosse possibile per lui, il che supponeva impossibile che una marchetta da lui prescelta non fosse innocente. Ma qualcosa dev’essere andato storto quella notte , all’idroscalo così come nell’universo.

Forse perché l’innocenza è qualcosa di terribile, e di ancor più antico e criminale della colpa. No, Pasolini non era più innocente o più colpevole degli altri. Pasolini ci amava troppo, al punto da volerci tutti innocenti, liberi e felici come zingari.

Per un reale più largo, che per lui, il Corvo, non era il rimpianto per l’Italietta, come gli rimproverava Calvino, bensì il Paradiso: questa enormità cercata alla periferia dei mondi conosciuti e delle virtù comuni. Ed era la tentazione di andare sui limiti impunemente, aggrappandosi al riccetto verdeggiante con dita incerte, e combinando il proprio desiderio con Dio sa cosa – come se l’amore per gli uomini potesse andare al di là dell’amore.

Ma non vi trovava il Paradiso, né Alì dagli occhi azzurri né le Mille e una notte; e qualcosa doveva essere andato davvero storto in quel giardino o vicolo cieco piantato in noi da prima che cominciasse la storia.

E la storia è quella di un personaggio che si crede intrepido, capace di prendere su di sé il rimpianto del cosmo contadino e cattolico a pezzi, in pezzi, al contatto dissolvitore della modernità; prendere su di sé i dolori e le contraddizioni della nostra epoca , andando al di là del tempo.

Ma il punto in cui il tempo va al di là è intenso e feroce, come lo è il tempo del mito dell’innocenza perduta, e quello in cui la vita va aldilà.

E’ per questo che in qualche modo Pasolini è diventato un simbolo vivente della creatività poetica. E ancora oggi, per tre giovani su quattro Pasolini rappresenta ‘un punto di riferimento importante del ‘900 italiano’ ( lo rivela un sondaggio commissionato da   ‘Panorama’). Perché era artista fino in fondo, molto in fondo: in contatto con qualcosa di molto primordiale e primario in opposizione alla omologazione di una società che consumava (e consuma) banalmente perfino quello che oggi resta dell’umano e della realtà creaturale, che nondimeno – pur nella torsione dei soliti panni cacati di Edipo – resta sacra e comunque in mutamento.

Era un tentativo d’amore. Oltre la curva disperata dell’epoca: più luce ! più miele! E ancora, ancora! In una logica d’iperconsumo. Donde i disastri.

Non sto sostenendo, freudianamente, lo zoccolo duro dell’Edipo. E neanche dicendo, moralisticamente, che non ci si può innamorare e fare l’amore con un ragazzo, ma che non avrebbe dovuto rimorchiare uno sconosciuto per soldi a piazza della Repubblica; e, soprattutto, che non lo avrebbe dovuto portare in quel posto e forse pretendere di metterglielo in quel posto solo perché lo aveva pagato. Chissà cosa aveva in testa quella notte… Forse il peccatore incallito ( per amore, per troppo amore) sopravvalutava le sue povere forze umane, troppo umane, e si fidava ciecamente di “ Faccia d’angelo”. Quello che è certo resta che non occorre essere gay, trans, donna, lesbica, nero di pelle o di “una fede che non piace a chi comanda” (!) per essere così impazienti, noncuranti e sfigati da restare vittima di “Faccia d’angelo”. Insomma, caro Massimo, omosessuale o eterosessuale si può fare una fine balorda comunque.

A RISCHIO DELLA VITA

Di “Faccia d’angelo” fece peraltro le spese anche Trotzkji. Fu infatti ucciso il 20 agosto 1940 in un sobborgo di Città del Messico, a Coyoacán, dall’infame e bellissimo Ramón Mercader: un agente di Stalin che entrato nella casa e nelle grazie del pur sospettoso teorico della “rivoluzione permanente” proprio a causa della sua giovane aria innocente, riuscì a sfondargli il cranio usando una piccozza da ghiaccio dal manico opportunamente accorciato, estratta dal suo impermeabile lasciato sul tavolo .

Faccia d’angelo” fa parte della serie abbastanza decadente “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, inaugurata da noi dal celeberrimo Pavese, ma riscattata, nella fine di Trotzkji, dall’episodio toccante nel quale il vecchio rivoluzionario, ormai alla fine dell’agonia, dice alla moglie quella pudicissima frase: «Non voglio che mi spoglino, fallo tu ».

Anche Pasolini fu uomo dalla vita corta per non essere stato capace di difendersi dalla bellezza ; e neanche da se stesso. Amava fin troppo e totalmente la vita ( Oh straziante meravigliosa bellezza del creato” ), cercata fuori di lui negli incontri la sera o la notte con i cosiddetti “ragazzi di vita”. A rischio della vita, come un anno dopo scrisse Giovanni Testori ( cfr. L’Espresso del 9 novembre 1976 – I ricordi) superando tutte le infinite supposizioni, una più stupida dell’altra, che in quell’anno tristissimo alimentavano sinistramente voci di un complotto politico-fascista-mafioso di Stato.

« Sull’atroce morte di Pasolini s’è scritto tutto – notava Testori; – ma sulle ragioni per cui egli non ha potuto non andarle incontro, penso quasi nulla. Cosa lo spingeva, la sera o la notte, a volere e a cercare quegli incontri? La risposta è complessa, ma può agglomerarsi, credo, in un solo nodo e in un solo nome: la coscienza e l’ angoscia dell’essere diviso, dell’ essere soltanto una parte di un’ unità che, dal momento del concepimento, non è più esistita; insomma, la coscienza e l’angoscia dell’ essere nati e della solitudine che fatalmente ne deriva

E qui Testori, come se non sapessimo tutti cosa questa parola significa, definisce la solitudine come “ questa cagna orrenda e famelica che ci portiamo addosso da quando diventiamo cellula individua e vivente e che pare privilegiare coloro che, con un aggettivo turpe e razzista, si ha l’abitudine di chiamare ‘diversi’.

Subito poi così continua: “ Allora, quando Il lavoro è finito ( e, magari, sembra averci ammazzati per non lasciarci più spazio altro che per il sonno e magari neppure per quello); quando ci si alza dai tavoli delle cene perché gli amici non bastano più; quando non basta più nemmeno la figura della madre (con cui, magari, s’è ingaggiata, scientemente o incoscientemente, una silenziosa lotta o intrico d’odio e d’amore) e si resta lì, soli, prigionieri senza scampo, dentro la notte che è negra come il grembo da cui veniamo e come il nulla verso cui andiamo, comincia a crescere dentro di noi un bisogno infinito e disperante di trovare un appoggio, un riscontro; di trovare un ‘qualcuno’; quel ‘qualcuno’ che ci illuda, fosse pure per un solo momento, dl poter distruggere e annientare quella solitudine; di poter ricomporre quell’ unità lacerata e perduta (...) ”.

Allora – continua Testorisi parte; e non si sa dove s’arrivaPer sere e sere, una volta avvenuto l’incontro, l’illusione riprecipita in se stessa. Ma nella liberazione fisica s’è ottenuta una sorta di momentanea requie; o pausa; o riposo. La sera seguente tutto riprende; giusto come riprende il buio della notte. E così gli anni passano. La distanza dal punto in cui l’unità perduta è diventata coscienza si fa sempre maggiore, mentre sempre minore diventa quella che ci separa dal reingresso finale nella ‘nientità’ della morte; e dalle sue implacabili interrogazioni. Le ombre, allora, s’allungano; più difficile si rende la possibilità che quell’incontro infinite volte cercato, finalmente si verifichi; più difficile, ma non meno febbricitante e divorante. La vicinanza della morte chiama ancora più vita; e questo più o troppo di vita che cerchiamo fuori di noi, in quegli incontri, in quegli occhi, in quelle labbra, non fa altro che avvicinare ulteriormente la fine. Così chi ha voluto veramente e totalmente la vita può trovarsi più presto degli altri dentro le mani stesse della morte che ne farà strazio e ludibrio. A meno che il dolore non insegni la ‘via crucis’ della pazienza. Ma è una cosa che il nostro tempo concede? (…)”.

IL FUTURO SENZA PASOLINI

Pare proprio di no, perché la teoria del «delitto di Stato», quasi suffragata dal pasoliniano "Io so", il famoso atto d’accusa contro la Democrazia cristiana ( pubblicato dal Corriere della Sera il 14 novembre 1974, un anno prima del delitto di Ostia) rispunta fitto di “io, io, io” in una rimembranza, vergata per Micromega da Lidia Ravera, tutta puntini di sospensione, vibrante di richieste di giustizia, d’ emozione e di pia compunzione – come se i copertoni, la sabbia e il vento del lido di Ostia fossero l’ostia.

Ecco una triste ricorrenza fatta d’incontri convegni, proiezioni cinematografiche, spettacoli teatrali e recital poetici segnati dalla necrofagia dell’industria culturale italiana e dalle solite lamentazioni sull’ Italia “marcia e golpista”. Non mancano le riedizioni delle polemichette tra “Rinascita” e “Paese sera; e, tanto per cambiare, le rinnovate accuse delle tante care “vedove” del Poeta & Martire. Accuse sostenute da sane e patriottiche schiere di “pasoliniani doc” e dalle nuove rivelazioni (!) annunciate dall’assessore Borgna: “rivelazioni” che promettono poco di buono sulle modalità del trentennale.

Meglio lasciare il gossip e tornare ai libri – a questi doni che i morti fanno ai vivi – e alle parole di Pasolini. Non per restare prigionieri di un debito verso il passato, che si finirebbe con il pagare con il lutto interminabile o con la nostalgia per ciò che è scomparso, ma per aprire un credito al futuro.

Paese, vado sotto terra
per un sentiero senza viole
e lascio ai cuori dei ragazzi
le primavere nuove.”

Senza il Pasolini dell’ impazienza ma con la memoria – densa e agglutinante, come pare sia la memoria di tutti gli esseri incompiuti – di tutte quelle lucciole …

Tra le illuminazioni e gli abbagli di una delle coscienze critiche più alte del Novecento andato, completamente andato, chissà se le lucciole torneranno…

In ogni caso, spero che i ragazzi nuovi che verranno dopo, non corrano anche loro il pericolo, come il Poeta di Casarsa tra culla e bara, vale a dire come tutti fra due pulsioni, di prendere lucciole per lanterne. E di appoggiarsi per impazienza, per non volere attendere, tra la polvere roteante della modernità e la fossa, ora al riccetto assassino e ora al "giunco flessuoso" *che, ahimè, si piega.

* Proust

Dalla rete

Pagine corsare – Vita e opere di Pier Paolo Pasolini AGGIORNAMENTI
Oltre a ripercorrere le tappe della sua vita, il sito propone un viaggio attraverso
il patrimonio di intelligenza e creatività che ha lasciato.

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2 risposte a Pier Paolo Pasolini, trent'anni dopo

  1. anonimo scrive:

    Cosa ne pensa dell’interpretazione di Giuseppe Zigaina?

    luigipuddu

  2. giannidemartino scrive:

    L’ipotesi di Zigaina ( presentata nel 1983 all’Università di Berkeley e in questi giorni in un libro dal titolo “Pasolini e la morte” ) è che sia stato lo stesso poeta e regista a progettare e organizzare la propria morte.

    Penso che possa essere plausibile, ma solo se per “lo stesso poeta” non s’intende un soggetto responsabile o una coscienza libera, ma ciò che potremmo per tranquillità chiamare un inconscio – Freud ne ha scritto come di una “costrizione da destino”.

    Nel progetto/percorso di una vita , la “costrizione da destino” porta a un punto, a un tempo noto e inaspettato, di fusione catastrofica, quasi a corto circuito e con forti cariche simboliche. A tal punto che si dice: “ Quella morte gli rassomiglia”. Oppure, con Bataille, “l’agnello sacrificale sente l’aglio, è andato egli stesso a disporsi sull’ara sacrificale…”.

    Si tratta di un partecipare in maniera variamente consapevole al “montaggio” della propria morte, in modo che essa ci somigli: come posseduti o “fatti” ( come si dice nel gergo dei drogati) da una “forza” compulsiva che sembra appartenere e non appartenere al soggetto.

    Potremmo chiamare tale “forza” demoniaca Satana, con un termine religioso che mi pare adeguato per esprimere l’ampiezza e la profondità delle devastazioni interne ed esterne a cui vanno incontro, loro malgrado, in preda alla naturale ambiguità di psiche, i ricercatori di emozioni “forti”, in una logica compulsiva d’iperconsumo, spesso portatori di poesia oltre che di un destino tragico.

    E’ in tal senso, mi pare, che si può dire che Pasolini abbia contribuito al “montaggio” della propria morte: non alla sua organizzazione, ma quasi al suo pro-getto : in modo da fare assomigliare la propria morte a ciò che egli aveva già concepito e anche preannunciato per metafore, dubbi, timori, profezie, invettive, intuizioni poetiche…

    Insomma, non credo né al complotto politico né che la vittima abbia progettato e organizzato la propria morte liberamente. E non escludo che al delitto abbiano partecipato più persone. Altre persone, presumibilmente del giro dei marchettari di piazza della Repubblica, avrebbero potuto concordare in precedenza un agguato e aver seguito Pasolini e Pelosi fino all’idroscalo di Ostia, con l’intento malvagio di dare, banalmente, una lezione a Pasolini: “Damole na lezione, menamo al frocio, levamogli i sordi”.

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