Bomba al mercato di Palu, strage di cristiani

 L’ULTIMO DELL’ANNO

BOMBA AL MERCATO DI PALU,

 STRAGE DI CRISTIANI

 Palu , 31 dic. – (varie agenzie) – Grave attentato in Indonesia: sette persone sono morte e una cinquantina sono rimaste ferite nell’esplosione di una bomba imbottita di chiodi in un affollato mercato cristiano all’aperto di Palu, l’ unico mercato che vende maiale, cibo haram, proibito e “impuro” per i musulmani. L’attentato è avvenuto di primo mattino, dopo giorni di avvertimenti e allarmi su possibili attacchi dei terroristi islamici contro chiese cattoliche e protestanti in occasione del Natale e delle feste per il nuovo anno.

In Indonesia, il paese musulmano più popoloso del mondo ( su 220 milioni di abitanti l’85% è musulmano), la regione centrale dell’isola di Sulawesi (Celebes), dove si trova Palu, è stata teatro tra il 1998 e il 2001 di un sanguinoso conflitto religioso tra cristiani e fondamentalisti islamici, con 2000 morti perlopiù cristiani. Nonostante un accordo di pace, il 12 febbraio 2002, la violenza “nel nome dell’islam”, autentica minaccia mondiale, esplode ancora una volta barbaramente come nell’ottobre scorso quando vennero  decapitate vicino a Poso tre adolescenti cristiane mentre andavano a scuola.

 La Chiesa indonesiana oggi è duramente provata. Migliaia di cristiani sono stati uccisi ed oltre mille chiese sono state incendiate. I cristiani in Indonesia si sentono abbandonati da tutti, anche dalle nazioni amiche. Alcuni, per evitare la persecuzione, scrivono “ musulmano” sui propri negozi oppure si  "convertono" all’islam per evitare crudeli esazioni e il martirio. I responsabili delle chiese riescono faticosamente a trattenere gruppi cristiani esasperati da azioni di vendetta. Alcuni gruppi islamici in Indonesia cercano di provocare volutamente le rappresaglie dei cristiani, con lo scopo di provocare disordini e scardinare la nazione per raggiungere i loro obiettivi politici.

Pregate affinché il fondamentalismo e la jihad non dilaghino ulteriormente, sono forme estremiste e maligne dell’islam politico che fanno soffrire non soltanto i cristiani, gli ebrei, i buddhisti, gli indu e chiunque venga supposto o suggerito come "ingrato verso Al-lah", ma i musulmani sensibili e riflessivi. ( Per la verità questo sembra più una speranza e forse un augurio di fine anno, dal momento che nei fatti, concretamente, i musulmani sensibili e riflessivi, che pure esistono, non è che poi facciano molto per opporsi efficacemente o moderare con una qualche autorità le derive anche  criminali dei tanti fratelli che sbagliano).

Aggiornamento 2 gennaio 2006

In uno studio recente,  l’international Crisis Group ha definito il Sulawesi Centrale come un rifugio per gruppi radicali islamici quali il Kompak, i residui del Darul Islam – uno tra i primi gruppi islamici militanti del paese – e addirittura la Jemaah Islamiyah, un gruppo terroristico ritenuto il braccio di Al-Qaeda nel sudest asiatico dove lotta per istituire uno stato islamico.

La presenza dei mujahidin sarebbe agevolata da un’accesa rivalità – se non addirittura aperta ostilità – tra la polizia e l’esercito. Forte possibilita’ di nuovi attentati nel Sulawesi: a disegnare tale prospettiva è Mona Saroinsong, coordinatrice del Centro Crisi delle chiese per il centro-nord Sulawesi, raggiunta da AKI-ADNKRONOS INTERNATIONAL due giorni dopo l’ultimo attentato di Palu in cui otto persone sono morte.

Altrove, in Europa

Non TUTTI i musulmani sono piromani ma sono musulmani questi che bruciano una Chiesa cristiana in Kosovo nel 2005 (Video di 6 MB)

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4 risposte a Bomba al mercato di Palu, strage di cristiani

  1. anonimo scrive:

    Che vuoi che facciamo ?

    Balqis

  2. Paolo-di-Lautreamont scrive:

    Linko su La pulce di Voltaire

  3. giannidemartino scrive:

    Il primo impulso di fronte alla perfida strage di Palu è, per un cristiano, quella di “identificarsi” con le vittime cristiane, e per un musulmano quello di minimizzare il fatto che una tale crudeltà venga compiuta “nel nome dell’islam”.

    In entrambi i casi , il terrorismo che fa ricorso a un vocabolario religioso islamico riesce a farci perdere il criterio dell’amicizia.

    E’ vero che in Indonesia come altrove i cristiani subiscono atrocità e che i musulmani stanno troppo zitti, forse perché si vergognano o perché sono anch’essi spaventati. “ Immaginiamo cosa succederebbe – ha scritto Paolo de Lautreamont ( http://lapulcedivoltaire.blogosfere.it/) se in Francia bruciassero 1000 moschee, il che è avvenuto in Indonesia, a parti invertite”.

    Ma prima ancora che come statistiche o oggetti di analisi politiche, continuo a pensare che occorra anzitutto considerare le vittime cristiane e i carnefici musulmani come esseri umani che per caso sono nati cristiani o musulmani.

    Si può essere cristiani o musulmani senza cercare di convertirsi, ma anche dicendosi la verità, perché è quando non c’è amicizia e si disprezza l’altro che non gli si dice la verità. Balqis chiede “ Cosa vuoi che facciamo?”

    Pregare per la pace e la giustizia nel mondo, augurandosi un futuro di tranquillità mentale e fisica per tutti gli esseri umani.

    E schierarsi in maniera ferma e senza ambiguità contro il terrorismo di matrice islamica, e fare in modo da isolare quei fanatici che “nel nome dell’islam” si arrogano il potere assoluto di distruggere non risparmiando né la vita umana, né le istituzioni, né i testi, né l’arte, né la parola.

    In pratica occorre che donne, uomini, di cultura musulmana ­ credenti, agnostici, o atei – ritrovino la loro voce e denuncino gli atti di misoginia, di sessuofobia , di antisemitismo e di terrorismo che si rivendicano “in nome dell’islam”.

    Nonostante la crescente confusione ideologica riguardo a quale sia la “vera” versione dell’islam ( oggi in piena “crisi d’identità” e scisma, forse anche perché nell’Islam non è prevista un’istituzione che come il Vaticano moderi autorevolmente derive e superstizioni), i musulmani anti-islamisti stanno ritrovando la loro voce.

    Di questa categoria fanno parte insigni studiosi come Azar Nazisi (della Johns Hopkins), Ahmed al-Rahim, (un tempo ad Harvard) Kemal Silay (della Indiana) e Bassam Tibi (della Göttingen). Personaggi islamici del calibro di Ahmed Subhy Mansour e Muhammad Hisham Kabbani fanno sentire la loro voce.

    A livello internazionale, un’importante petizione postata un anno fa da un gruppo di arabi liberali sollecita che venga posto in essere trattato che bandisca l’incitamento religioso alla violenza e fa specifico riferimento agli “sceicchi della morte” (come Yusuf Al-Qaradawi della televisione Al-Jazeera), chiedendo che questi vengano giudicati da un tribunale internazionale.

    Questa petizione è stata prontamente firmata da oltre 2.500 intellettuali musulmani appartenenti a 23 paesi.

    Nascono associazioni. A Phoenix, in Arizona, opera l’American Islamic Forum for Democracy, diretto da Zuhdi Jasser.

    In Italia, una minuscola maggioranza di musulmane e di musulmani hanno presentato un Manifesto – osteggiato dai rappresentati dell’ucoii, Unione delle Comunità ed organizzazioni Islamiche in Italia animate da neo-conversi ideologicamente legati ai Fratelli Musulmani – in cui , tra l’altro, si legge: “Per noi – si legge nel manifesto – la sacralità della vita è il principio discriminante tra la comune civiltà dell’uomo e le barbarie di quanti predicano e perseguono la cultura della morte. Siamo consapevoli che la sacralità della vita o vale per tutti o, qualora venisse violata, si ritorce contro tutti. Solo l’abbraccio comune alla cultura della vita consente la salvezza, la pace e il benessere dell’umanità”

    ( http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2004/09_Settembre/02/documento.shtml).

    Col passare del tempo, i musulmani a livello individuale ritrovano la loro voce per condannare i legami islamisti con il terrorismo. Probabilmente ( come riferisce http://it.danielpipes.org/article/2231)

    l’opinione più clamorosa è rappresentata da un articolo di Abdel Rahman al-Rashed, un giornalista saudita che lavora a Londra: “È un fatto assodato che non tutti i musulmani siano dei terroristi,” egli scrive, “ma è allo stesso modo certo, ed in via eccezionale spiacevole, che quasi tutti i terroristi siano musulmani… Non possiamo oltraggiare i nostri nomi a meno che non ammettiamo il vergognoso fatto che il terrorismo è diventato un’impresa islamica; un monopolio quasi esclusivo, realizzato da uomini e donne musulmani”.

    Altri analisti hanno seguito l’esempio di al-Rashed. Osama El-Ghazali Harb scrive dall’Egitto che “gli intellettuali e gli opinionisti arabi e musulmani devono far fronte e opporsi a ogni tentativo di giustificare gli atti barbarici di questi gruppi (terroristici) a causa del dolore patito dai musulmani”. Dalla Virginia, Anouar Boukhars sostiene che “il terrorismo è un problema musulmano e rifiutare di ammetterlo è davvero preoccupante”.

    In Francia si è costituita l’Associazione del Manifesto delle libertà( http://www.manifeste.org/article.php3?id_article=1). L’associazione è animata, fra gli altri, dallo psicoanalista tunisino Fethi Benslama, autore del recente libro “ “ Déclaration d’insoumission : A l’usage des musulmans et de ceux qui ne le sont pas” – http://www.amazon.fr/exec/obidos/ASIN/2082105245/171-3400891-1225026 ). “ Che nel corso della Storia – scrive Benslama – altri nomi che quello dell’islam abbiano preteso d’imporre la salvezza ( cristianesimo, comunismo, nazi-fascismo, imperi coloniali, ecc.) e abbiano autorizzato e dato luogo alle più crudeli esazioni non ci è di alcuna consolazione. Quello che dobbiamo interrogare in maniera prioritaria è la breccia che ha liberato nell’area della civilizzazione e delle culture dell’Islam una tale volontà disperata di distruggere e di autodistruggersi. Quello che dobbiamo pensare e ottenere è una liberazione, senza concessioni, dai germi che hanno prodotto una tale devastazione. Un dovere di non sottomissione c’incombe, all’interno di noi stessi e verso quelle forme di servitù che hanno portato a una tale oppressione”.

    L’ardore violento dell’islam politico risulta nello stesso tempo sia da un ritardo della mentalità e delle formulazioni dottrinarie dell’islam che al contatto della modernità sembra voler virare al disastro per mancanza di ponti ermeneutici e culturali, sia da un contesto storico e geopolitico che vede l’irrompere sulla scena mondiale delle nuove ambizioni totalitarie dell’islam politico, in una situazione generale le cui fratture proiettano il peggiore dei mondi a venire.

    Tuttavia, non occorre spingere lontano le nostre analisi pazienti e ricorrere a sistemi astrusi, per sapere che se qualcosa li opprime donne e uomini non solo si ribellano , va da sé, ma sanno anche trovare e mettere in atto i modi dell’aiuto reciproco.

  4. anonimo scrive:

    Ma a chi vuoi che freghi della sorte dei cristiani dell’Indonesia (o di altrove se è per questo?).L’Europa è incapace sia di capire che di ascoltare e se si islamizzerà se lo meriterebbe.

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