Libertà d'espressione / Per un avvenire democratico condiviso

 LIBERTA’ D’ESPRESSIONE

PER UN AVVENIRE DEMOCRATICO CONDIVISO

Cette remise en cause de la liberté d’expression, orchestrée quatre mois après les faits, vise à empêcher toute liberté de pensée d’artistes, d’intellectuels, toute critique de la religion – questa rimessa in causa della libertà d’espressione, orchestrata dopo i fatti, mira a impedire ogni libertà di pensieri di artisti e di intellettuali, ogni critica della religione”. E’ quanto osserva Tewfik Allal nella presa di posizione dell’Association du Manifeste des liberté a proposito dell’affare delle caricature danesi ( il testo, anticipatomi via mail, sarà pubblicato in Francia da Charlie-Hebdo, che apparirà in edicola mercoledì 8 febbraio). Riassumendo, si osserva che “ queste manifestazioni e questi disordini apparentemente provocati dai caricaturisti danesi sono, in realtà, un richiamo all’ordine rivolto a tutti coloro che si riconoscono provenire dalla civilizzazione musulmana, cittadini d’Europa e d’altrove, soprattutto d’altrove: Voi non avete il diritto di essere Europei, non avete il diritto di pensare ‘come gli Europei’. E l’attuale progetto dell’Organizzazione della conferenza islamica della Lega araba di chiedere all’Onu d’adottare una risoluzione che proibisca la critica delle religioni ( cosa che non potrà che incontrare, a colpo sicuro, la più grande simpatia di taluni gruppi cristiani ed ebrei ) è una rimessa in causa di un’acquisizione europea di cui noi abbiamo più che mai bisogno: l’acquisizione della libertà di pensiero, indissociabile dalla libertà di coscienza, dal diritto all’ateismo, e al blasfema. Altre cosiddette ‘comunità’ – ebree, cristiane – si sono, anch’esse, sentite insultate da questo o quel testo, disegno, discorso, ma hanno reagito davanti ai tribunali.”

Al Manifesto delle libertà, associazione formata da un folto gruppo di intellettuali, giornalisti, cittadini europei originari da paesi musulmani, è mantenuta viva una doppia esigenza: “ la condanna dell’integralismo e di coloro che lo alimentano, e la necessità di ridare speranza a un avvenire democratico condiviso, a partire da una pluralità di provenienze culturali. Una speranza – aggiunge Tewfik – della quale non vogliono né i partiti di estrema destra né gli islamisti radicali, che si rinviano la palla a meraviglia – e noi dobbiamo cogliere questa palla al balzo. Pertanto, è importante far conoscere tutte le contraddizioni che sono esistite e che esistono nel mondo musulmano, tutte le esperienze di libertà tentate in questo mondo, oggi come ieri.” A tale proposito Tewfik ricorda “quell’esperienza di libertà d’ampiezza storica e sociale ineguagliabile, per cui Baghdad è diventata un centro di sapere nel mondo ( (Dimitri Gutas, Pensée grecque, culture arabe, Aubier)”, osservando che è anche vero che però il desiderio di civilizzazione che allora era intenso, “non era schiacciato dall’appetito di petrodollari”. Può darsi che qui ci sia una semplificazione di quanto accade, con un duplice richiamo che si vorrebbe esplicativo al petrolio ( l ‘ “oro nero”) e alla leggenda dorata, cara agli orientalisti, delle splendide Baghdad e delle Andalusie perdute. E’ un bellissimo sogno dal quale siamo stati risvegliati dalle lugubri urla dei mullah, il crollo delle torri e Sheerazade saltata in aria, al grido di “Al-lah Akbar”, in un autobus a Tel Aviv, così come in una metropolitana di Londra o di Madrid. E’ comunque facendo appello alla memoria della propria storia anche musulmana e alle esperienze di libertà che da essa si sprigionano che, come dice Salman Rushdie, si finirà con “abbattere un giorno la porta di questa prigione”.

Nella presa di posizione in merito all’affare delle vignette danesi, c’è anche un accenno, di passaggio, a manifestazioni e disordini organizzati ad oltranza, “sullo sfondo della vittoria elettorale di Hamas in Palestina, e le posizioni del governo iraniano”. Certo, dal momento che l’appoggio al terrorismo di matrice islamica che ruota attorno a al Qaeda e ad altre basi non può essere esplicito, Teheran e Damasco hanno visto nella vittoria di Hamas in Palestina un’occasione di rilancio della loro abituale e tradizionale politica filoterrorista; cogliendo il pretesto delle vignette umoristiche dei danesi per mobilitare la piazza attorno all’altrettanto abituale e tradizionale motivo , carico di “affettività politica”, dell’ “umiliazione” e dei musulmani.

 

IBN WARRAQ, LA VOCE DI UN DISSIDENTE MUSULMANO

" La mia è una di quelle voci che non hanno ancora trovato posto nelle colonne dei quotidiani. È la voce di coloro che sono nati musulmani ma che desiderano abiurare una volta adulti, e a cui comunque non è permesso loro di farlo sotto pena di morte. Colui che non vive in una società islamica non riesce a immaginare le sanzioni auto-inflitte o esterne, che impediscono la libera espressione…"Io non credo in Dio" è una asserzione impossibile da pronunciare in pubblico, e perfino nella cerchia familiare e degli amici. (…)”

Ibn Warraq a Spiegel magazine : Democracy in a Cartoon (via Jihad Watch)"

Ibn Warraq è autore di Why I Am Not A Muslim ( Trad. it., Perché non sono Musulmano, Edizioni Ariele ).

Gli scrittori non graditi agli islamisti vengono da sempre uccisi. Decine e decine di giornalisti hanno perso la vita in Algeria, come pure scrittori di spicco in Egitto e in Turchia. Taslima Nasrin è dovuta fuggire dal Bangladesh, suo Paese natio, per questo motivo. Un silenzio glaciale è sceso sul mondo musulmano, in maniera tale che questo libro di Ibn Warraq – nonostante le pressioni e i ricatti per introdurre la sharia’h anche in Europa – può essere forse ancora per poco pubblicato solo in Occidente. ( Non condivido del tutto le tesi di Ibn Warraq – e per niente quelle contenute negli altri titoli del catalogo di questo editore Ariele, come per esempio "Storia criminale del cristianesimo", che è un po’ come darsi la zappa sui piedi, rispolverando le solite leggende nere per negare alla nostra Chiesa e alle  istituzioni del cristianesimo ogni sapere sul bene ), – però, quello di Ibn Warraq  è un libro coraggioso, un libro che merita di essere  più conosciuto e letto).

Aggiornamento

Magdi Allam al Corriere della Sera del 7 febbraio : Musulmani in difesa della libertà di espressione ( via: informazione corretta )

 Aggiornamento

SOLIDALI CON LA DANIMARCA

L’oppositore siriano Malek Hassan in un intervento sul sito www.metransparent.com lancia un appello: «Difendiamo la Danimarca e i valori e i Paesi occidentali che ci hanno offerto l’opportunità di emanciparci dalla schiavitù dei Fratelli Musulmani, dei takfiriyin (gli islamici che condannano di apostasia i musulmani) e di tutti gli ayatollah».

 IO COMPRO DANESE  e aderisco alla campagna pro Danimarca su Camillo perché la Danimarca, ingiustamente aggredita dalle pretese assurde degli islamisti di censurare giornalisti danesi, ha difeso ( ancora una volta, come fece durante l’ascesa del nazismo ) la libertà dei propri cittadini e di quelli Europei; ed anche perché – con le parole dello scrittore Omran Silman del Bahrain, sul sito liberale Middle East Transparent ( www.metransparent.com) : «Noi dovremmo ringraziare il quotidiano danese e gli altri quotidiani europei che hanno pubblicato le vignette su Mohammad perché hanno infranto un tabù tra i musulmani facendo fare un passo in avanti al processo di riforma religiosa dell’Islam».

I popoli che vogliono rimanere liberi e non sottomettersi all’imperialismo islamista del terrore e della forza devono sostenere senza riserve la Danimarca.

Su Camillo adesioni pro Danimarca:
http://buydanish.home.comcast.net/products.htm
Sosteniamo l’iniziativa.

 Anche su Daw e su  Le Guerre Civili

IL SORRISO ALL’ESAME DEI GIURISTI ISLAMICI

E’ una notizia di due anni fa, quando nel luglio del 2004 le massime autorita’ religiose iraniane furono convocate dal governo della Repubblica islamica per pronunciarsi sulla legittimita’ del sorriso. La ricordo perché mi pare possa contribuire, tra altri fattori in gioco, alla comprensione della facilità con la quale le masse islamiste possono, se opportunamente manipolate, uscire fuori di testa per delle vignette blandamente umoristiche, che vorrebbero irridere l’islam politico e fanno appena sorridere.

A mettere sotto l’esame della sharia’h il sorriso, fu Imad Forough, presidente della Commissione Cultura del Parlamento iraniano (allora già dominato dai radicali e dai conservatori), che propose un seminario per discutere gli aspetti giuridico-teologici della gioia e del sorriso.

”Non si puo’ sorridere, ridere o essere gioiosi – dichiarava Forough – senza sapere cosa hanno detto di queste manifestazioni gli imam del passato e i saggi dell’islam”. Secondo il presidente della Commissione Cultura del Majlis iraniano ”una vita sregolata” avrebbe aperto “la strada all’invasione culturale occidentale”. Ovvero a qualcosa di terribile ( “satanico”) per il proprio di una “identità islamica” pura, dura, seria, matura, garantita dalla parola divina e sempre vittoriosa. Il “sentirsi invasi”, o anche "infiltrati",  è tipico della paranoia ed ha implicazioni psicosessuali evidenti. Il “complotto”, ad esempio, opera sempre dal di fuori, dall’esterno, ed è ritenuto opera di entità “potentissime”, in grado di produrre – operando alle spalle – chissà quali seducenti devastazioni. Per costoro, gli adepti della teoria del complotto da parte del "mondo dell’arroganza" ( come si esprime Amhedinejad ) l’unica certezza che rimane è la morte. “ Perché sorridi ?”.

Nel passato diversi ayatollah e religiosi-giuristi  avevano condannato il sorriso, definendolo a volte un’espressione ‘satanica’ e altre ”una chiara dimostrazione di inquinamento occidentale”. Proprio per questa ragione Mohammad Khatami, che si era espresso durante la campagna elettorale a favore della gioia, era stato soprannominato ”il presidente con il sorriso”. Il furbacchione appariva quindi, soprattutto agli occhi dei giovani, come “progressista”, una speranza di apertura di quel lugubre regime caratterizzato, tra l’altro, dall’esagitato gestire dei moralisti a capo della polizia religiosa e il grido che fa : “ Ma dove andremo a finire?”.

E’ questo, come si sa, il caratteristico grido dal quale subito si risconosce lo stronzo identitario puro e duro, come fuso in un sol blocco, in una maschera fissa e contratta, all’ombra delle forche dell’Iran.

I pochi giornali semi-indipendenti di Teheran in questi ultimi anni hanno pubblicato, oltre alle notizie di esecuzioni esemplari, decine di lettere di giovani, ragazzi e ragazze, fermate dai ‘basiji’, la milizia islamica cittadina, perche’ sorpresi a ridere in luoghi pubblici.

Tutte le dittature dominate dagli stronzi, soprattutto se religiosi ad oltranza, hanno paura del sorriso. Ovvero dello schiudersi di quella quasi impercettibile e radiosa apertura che sembra volerli mandare a fare in c…., insomma a quel paese. “ Dove andremo a finire?”.

E in Iran e altrove, oggi bastonano e addirittura uccidono “nel nome dell’islam” chi osa sorridere. E’, questo, un aspetto sintomatico, mi pare, di una regressione più generale verso una vera e propria “disperazione di massa”, alimentata da un contatto di moltitudini con la modernità che è avvenuto senza ponti ermeneutici e culturali. E’ come un ritorno dell’islam al deserto delle origini mitizzate, una regressione all’epoca animalesca della paura e del terrore “sacralizzati”, per l’incapacità di gestire culturalmente, politicamente e psicologicamente l’incertezza in merito al proprio della propria identità. E’ allora che, come osservamo più sopra, l’unica certezza diventa la morte. E quindi il tentativo, animato da un vero e proprio odio genocidario, di spossessare l’altro di quello che gli è proprio : la capacità di poter ridere di sé e delle tante assurdità a cui i barbuti e gli islamisti “puri e duri” vorrebbero – in nome di un’ Idea “divina”, dai tratti astratti e violenti – ridurre l’universo mondo. E’ un peccato, perché mi sembra un movimento con poco senso dell’umorismo… di una noia mortale. Oltre che mortifera. Sarà un risotto che li seppellirà ? Rida chi può.

Purtroppo – scrive d’altra parte al Corriere un giovane occidentale impaurito, come per effetto del terrorismo maligno non pochi giovani europei , oggi – sappiamo molto bene che chi ride dell’ islam, viene condannato a morte e di conseguenza anche tutti coloro che ne sono inconsapevolmente coinvolti. Mi chiedo: Visto che siamo in un periodo in cui è meglio non svegliare il cane che dorme, perché andare ad alimentare l’ira dei mussulmani che sappiamo essere teste calde. Forse ci vuole un po’ di buon senso e di ragione, quest’ultima di sicuro è stata l’ultima cosa che l’individuo si è accertato fosse in funzione. Invito alla tolleranza ed a sedare ogni qualsivoglia istinto animalesco che secerni odio in strette di mani in segno di scuse e pace… Vedremo tra qualche giorno se l’ira dei mussulmani si sarà allentata lasciando spazio alla comprensione…”.

Il “can che dorme” ? “ Teste calde?”. Introdurre il tabù dell’islam e ridurre l’Islam a un tabù ? E’ proprio vero che siamo in democrazia, e che “non c’è democrazia senza diritto alla stupidità” ( Olivier Roy ). Se fossi un musulmano mi sentirei molto più offeso dalla prudenza di chi si esime di ridere di me perché sarei “un can che dorme” o una “testa calda” , anziché dall’apertura di chi mi sorride ed è capace di prendermi garbatamente in giro insieme al mio Maometto. Lo dico perchè penso agli amici musulmani ( per quanto mi riguarda, non pochi sono di origine berbera), e so che sono anch’essi impauriti da quanto accade, anche perché sarebbe fin troppo facile farne ingiustamente le vittime designate della xenofobia strisciante. E’ quando la minaccia si fa ubiquitaria e diffusa, che nel tentativo di circoscrivere la minaccia e darle un nome proprio, si cercano schiene su cui dare salutifere bastonate, schiene di persone innocenti. E questo è indegno di un paese civile, indegno anche della Lega Nord. Accade quando si cerca il “capro espiatorio” di turno, secondo moduli arcaici e sanguinari di elaborare la minaccia, e pure quando si dimentica che l’Islam – oggi forse al suo peggio, sequestrato com’è dai barbuti e in pieno marasma – è stata anche una civiltà allegra, bonaria ed ospitale, una civiltà del sorriso e anche della risata aperta, franca e liberatoria.

Insomma, è quando si disprezza l’altro che non gli si dedicano vignette, non gli si sorride, lo si riduce a un tabù e non gli si dice la verità. Forse sarebbe meglio, più chiaro e liberatorio per tutti, dire ai musulmani quello che si pensa, è cioè che ormai incombe loro, ai loro pensatori, in tutta la loro diversità, un dovere di non sottomissione ai lugubri barbuti. E che occorre compiere uno sforzo, un “jihad” culturale, anche allegro e consapevole, per contribuire a scucire le bocche da questa specie di mutismo, che lascerebbe libero corso alla paura e al moltiplicarsi degli atti irresponsabili che si ammantano della copertura “dell’Islam” mentre ne sono la negazione.



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2 risposte a Libertà d'espressione / Per un avvenire democratico condiviso

  1. Paolo-di-Lautreamont scrive:

    Non ricordavo la storia del sorriso. Terribile.

    Perchè non stacchi il post in due-tre post? Diventa mooolto più facile linkarti su un tema specifico, i.e. il sorriso deliran (dell’Iran).

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