Incidenti e pregiudizi / Dolore ? No, grazie !

 DOLORE ? NO, GRAZIE !

Parabola del Buon Samaritano. Particolare della Tavola XII del Codex Purpureus Rossanensis.

Parabola del Buon Samaritano.Tavola XII del Codex Purpureus Rossanensis.
Fine del V – inizio del VI secolo –Museo Diocesano di Arte Sacra (Rossano)

Un incidente ti porta di corsa in ospedale ( e, tra l’altro, a sospendere per alcuni giorni questo blog)…


Sofferenza, inquietudine, disagio, entrare in un luogo infelice, tra medici infermieri burocrati oberati dal lavoro di routine, e malati che proprio come me e te sembrano doversi trasformare come per improvvisa amnesia in povera carne prudente, impaurita : persone ridotte da forti dolori quasi a tanti mucchietti d’immondizia dolorante, piagnucolante.

Varcare la miserabile soglia dell’ospedale è tuttavia una buona occasione per riflettere, ancora una volta, sulla fragilità del nostro esistere.

Nello zainetto, insieme al pigiama e senza dimenticare le pantofole, hai messo una copia dell’ I King. Vi leggi:


Tutto ciò che è terreno è caduco. Ma guai a chi si lascia scuotere da questo destino.

Occorre saper dimostrare che la forza interiore è più forte di qualsiasi destino.

La forza interiore è accettazione”.


Una volta arrivati in questo luogo di confine, che ironicamente chiami “Hotel Terminus”, è giocoforza accettare la fine, o perlomeno – come speri nel raccomandarti al Padre celeste e alla Madonna – accettare la temporanea sospensione del benessere, della tranquillità, della pace, e la perdita del senso dell’immunità fisica, della salute a tutta prova.

Accetti tutto questo, d’accordo, anche l’essere designato e trattato come “paziente”, ma non il dolore. Il dolore non solo instupidisce ed è inutile allorché continua ad insistere anche dopo aver esaurito la sua funzione di campanello d’allarme, ma qui , all’Hotel Terminus, i medici hanno la tendenza a sottovalutarlo un po’ – come se fosse nient’altro che un fattore secondario rispetto alla patologia di base sulla quale concentrarsi.

Questa tendenza, probabilmente di origine culturale, porta nella maggior parte dei casi a non alleviare il dolore dei “pazienti” nella maniera più attenta, efficace e tempestiva possibile.

In pratica, ti viene dato un analgesico comune, che non fa diminuire il dolore; e alla richiesta di oppioidi per sconfiggere i forti dolori, il dottore – un medico po’ anziano, al quale ti sei rivolto – esordisce dicendo bruscamente che “ il dolore è un fatto molto soggettivo”; e ti nega gli oppioidi osservando che “ danno a-s-s-u-e-f-a-z-i-o-n-e…”. Subito poi passa oltre allontanandosi in un lungo  corridoio d’ospedale simile a un sogno…

Oltre ad esordire con una frase alla Woody Allen ( “il dolore è un fatto… molto soggettivo”) che non prometteva niente di buono, il vecchio dottore, quel concentrato di trascuratezza, di arroganza e di impunità, ti lascia senza versare né olio né vino sulle ferite – ferite anche narcisistiche, volendo, e tuttavia davvero fortemente doloranti. Di un dolore fitto e severo, insopportabile, continuo – vale a dire senza misericordia. E nessun Buon Samaritano all’orizzonte…


CHI HA PAURA DELLA MORFINA ?


Per trattare e alleviare il dolore occorrono anche buone parole. L’amore, insomma, che è certamente un potente anestetico, e che tuttavia da solo non basta quando servono farmaci adatti antinfiammatori, oppioidi (dal 2001 prescrivibili anche in dolore non oncologico e dall’anno scorso gratuiti). Questi ultimi comprendono la morfina o l’ossicodone a rilascio controllato, fentanil e buprenorfina transdermici a rilascio continuo (cerotti), metadone, codeina, tramadolo.

Il dolore non è necessario e si può evitare. Tuttavia, come ha scritto recentemente Maurizio Imperiali nel sito http://www.dolorenograzie.com/ , “ in Italia la terapia del dolore resta trascurata.

Ma se il punto – dopo che nel 2001 sono state cambiate le regole per la prescrizione di questi farmaci (legge numero 12/2001) – non è la burocrazia che circonda la prescrizione della morfina, perché la situazione non pare modificata sostanzialmente ? Quanto pesa la burocrazia?

Per il dottor Lora Aprile – citato nell’articolo di Maurizio Imperiali – il punto non è la burocrazia. “In questa situazione pesano diversi aspetti. Per molti medici, soprattutto quelli con i capelli grigi, la morfina evoca l’assuefazione, la dipendenza, la depressione respiratoria: una visione smentita dagli studi condotti, ma che ancora resiste. Poi c’è la resistenza e il timore da parte dei pazienti: è più facile prescrivere un farmaco che si chiama tramadolo, per il quale difficilmente sorgono paure e vengono richieste spiegazioni, che non uno che ha chiaramente scritto sulla scatola la parola morfina. In quel caso è inevitabile dover dedicare tempo al paziente (…) . Quindi, anche se come nel resto del mondo sarebbe opportuno che gli oppioidi fossero prescritti con le stesse procedure degli altri farmaci, potrebbe non bastare”. Insomma il farmaco non è tutto, occorre anche un’opera che richiede tempo e una vicinanza al paziente e alla sua famiglia che è difficile possa essere raggiunta da qualcuno che non sia il medico di fiducia. Però – aggiunge l’articolista – “Nella prescrizione degli oppioidi maggiori nel dolore non oncologico effettivamente il medico di medicina generale è molto cauto e, direi, a ragione. Infatti non esistono linee guida precise, indicazioni chiare. Esistono pazienti per i quali volta per volta specialista e curante devono decidere il da farsi”.

D’altra parte, come riferisce un recente articolo di Claudia Boselli su Panorama “ sono ancora pochi gli studi epidemiologici sulla presenza e il controllo del dolore negli ospedali italiani. L’anno scorso è stato pubblicato sul Journal of pain and symptom management il progetto Eolo (End of life in ospedale), che ha coinvolto 40 strutture italiane. ‘Il 75 per cento dei malati che muoiono in ospedale ha dolore, di varia intensità, e solo il 51 per cento riceve una terapia.Il 42 per cento prova dolore forte, di questi il 48 per cento non è trattato‘ riferisce Franco Toscani dell’Istituto di ricerca in medicina palliativa Maestroni.

‘I bisogni espressi dai malati terminali di cancro sono oggi ben descritti, non altrettanto quelli di chi ha altre patologie: il diffondersi delle cure palliative non ha avuto ricadute sull’ospedale per acuti’ sottolinea.


CittadinanzAttiva ha redatto la Carta dei diritti sul dolore inutile: il punto di vista dei cittadini e degli operatori sul «diritto fondamentale di ogni individuo a vedere alleviata la propria sofferenza nella maniera più efficace e tempestiva possibile»

http://www.panorama.it/scienze/medicina/articolo/ix1-A020001035970


Contro il dolore non necessario

Il dolore è nei suoi aspetti morali e fisici intrinseco all’esperienza dell’uomo. Ma, concentrandoci sulla sofferenza del corpo, non possiamo non recriminare quanta parte di essa sia dovuta a incuria, inesperienza, poco amore per il malato. Il dolore può arrivare al punto di rendere desiderabile la morte.

I suoi confini sono indifesi e aperti ad ogni estrema soluzione. Perché il dolore insostenibile logora insieme con il corpo l’equilibrio morale e psichico di chi ne è colpito, degrada il suo contegno, annienta la sua dignità.

Questo dolore iniquo vogliamo combattere; esso è puramente distruttivo. I suoi effetti sono spesso atroci, le premure solidali e affettuose non bastano ad alleviarli. Si rende pertanto necessario e doveroso adottare provvedimenti terapeutici per controllare e ridurre la sofferenza fisica in modo da evitare che la persona nella sua totalità sia miseramente avvilita e degradata.

Occorre dunque una svolta culturale nel campo della nostra medicina, che trasformi l’opera del medico da “curare” in “prendersi cura” nel rispetto di due fondamentali diritti del malato: non soffrire dolori inutili e mantenere la propria dignità e un tenore decoroso di vita durante la malattia."

Manifesto Etico sul Dolore

Adesioni al Manifesto Etico sul Dolore

Van Gogh, Il buon samaritano (da Delacroix)
(Saint-Rémy, maggio 1890; Otterlo, Museo Kroeller-Muller)

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6 risposte a Incidenti e pregiudizi / Dolore ? No, grazie !

  1. astime scrive:

    Beh, spero stia meglio :))

    E’ un argomento che mi interessa molto e di cui ho commentato sul mio blog.

    Anche io credo sia culturale l’approccio al dolore e alla sua cura.

    Sarei interessata ad una sua analisi sull’argomento.

    Cordiali auguri

  2. SHONAGON scrive:

    mi dispiace che sei stato male. eppure una visita in ospedale non farebbe male ai più. ci ricorda CHI SIAMO. i bambini in ospedale sono la cosa più terrifica e più “bella”, loro sopportano in maniera meravigliosa e struggente, e che dire di quelli che sono “di casa” lì, i terminali o quelli che hanno bisogno di cure continue. Sono quelli che incoraggiano “noi” che capitiamo sporadicamente.

    ciao, bacio.

  3. fabry2005 scrive:

    ciao, Gianni, spero in una tua pronta guarigione. ci manchi!

    un abbraccio

    fabry

  4. giannidemartino scrive:

    I bambini , certo, Shonagon. E anche i malati detti terminali. Ma che dire dei malati ping pong ?

    Nella maggior parte dei casi sono soprattutto anziani con scompenso cardiaco, cirrosi epatica, insufficienza respiratoria. Finiscono in ospedale, vengono curati, dimessi, tornano a casa ma spesso trovano scarsa assistenza e soffrono la solitudine. E così le condizioni si aggravano e tornano in ospedale, all’Hotel Terminus. Un ricovero dietro l’altro.

    Davvero inquietante. Come in “Finale di partita” di Beckett:

    “ Speriamo che sia una morte veloce. Non lo è”. Sindrome da ‘ping pong’ .

  5. SHONAGON scrive:

    purtroppo non ho diretta conoscenza dei malati ping pong. forse perchè vivo in un luogo in cui ancora si assiste ai malati…però la solitudine la conosco eccome se la conosco……

  6. cyrano56 scrive:

    è capitato anche a me l’anno scorso: un ricovero d’urgenza e non ero mai stata in ospedale. E’ un’esperienza devastante ma che ti fa conoscere un po’ di più te stesso e porta con se’ davvero tante riflessioni. La cosa peggiore è forse il non riconoscimento -da parte di medici e paramedici- della dignità umana del malato; io non l’ho accettato e ho lottato perchè fosse riconosciuta, anche ai compagni di quella disavventura. Penso che tutti noi dovremmo fare qualcosa per cambiare questo atteggiamento intollerabile.

    Quanto alla morfina, ho vissuto l’esperienza indirettamente: la nonna malata terminale; purtroppo ci siamo scontrati con questo tabù assurdo, che perdura nonostante le nuove direttive; si tratta di ignoranza, stupidità, insensibilità nei migliori dei casi, nei peggiori invece, ritengo che possa trattarsi di abuso di potere, così tristemente comune in molte altre situazioni, oltre a quella sanitaria.

    C’è solo da sperare che l’essere umano evolva più rapidamente di quanto abbia fatto sino ad oggi.

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