Giorno della memoria: una testimonianza

 

Le SS ci guardavano per loro eravamo come gli scarafaggi

da La Stampa del 20 Gennaio 2005

di Massimo Numa

Sessant’anni dopo Auschwitz. Nedo Fiano, 80 anni, fiorentino residente a Milano, è uno dei pochi ebrei italiani sopravvissuti al campo di sterminio («Non sono rimaste più di quindici persone, oggi»,dice commosso). In questi giorni è impegnato ovunque in una serie innumerevole di incontri:scuole, centri culturali, varie associazioni. Ogni volta racconta l’Olocausto vissuto sulla pelle, ripetendo – spiega – le stesse parole, gli stessi accenti. Ripercorrendo come in trance lo stesso dolore. Un modo estenuante di mantenere viva la memoria.

Ma, invece di sentirsi rassicurato, il dottor Fiano – che è un combattente nato – è in preda a un crescente senso di inquietudine. Come se i decenni passati, nella coscienza di molti, specie nei più giovani, avessero lentamente dilavato il segno unico e profondo dell’Olocausto.

«La ritualità, ecco. Il pericolo di trasmettere alla società di oggi quasi il senso di una “memoria obbligata”, mentre attorno a noi sembrano riemergere, in tutta Europa, le antiche ombre dell’antisemitismo», dice. Le vicende medio-orientali hanno trascinato Israele nel vortice di un odio che unisce le due estreme, destra e sinistra. Il newswire di Indymedia, il sito degli antagonisti, vomita ogni giorno post carichi di un odio che va ben oltre alle critiche (legittime) allo Stato di Israele. Il termine «nazisionisti», per esempio, è condiviso, martellante, ripetuto sino alla nausea. Fiano: «E’ una situazione che ci rattrista immensamente; fa riflettere anche sul significato del “giorno della memoria” qui, nel cuore dell’Occidente. Ma non importa. Continueremo a raccontare Auschwitz, a ripetere con le stesse parole ogni minuto particolare del lager».

Difficile aprire varchi nuovi nella sensibilità collettiva per spiegare Auschwitz, che è il «non luogo» per eccellenza, dove – nella parte delle SS – recitano i «non uomini». Il pensiero deve partire da questo punto». Nel suo lungo racconto, lui che parla perfettamente il tedesco, ama sottolineare le sfumature che solo chi era in grado di conoscere la lingua dei «non uomini» era in grado di cogliere subito, appena sceso sulla banchina della stazione del campo.

Aveva 19 anni, erano i primi di giugno 1944: «…I nazisti ci guardavano come fossimo stati degli scarafaggi. E come per gliscarafaggi, nessuno prova ritegno a schiacciarli, così era per noi. Il nazista disse che aveva bisogno di qualche interprete. "Chi parla tedesco?" chiese. Ero impietrito, immobile. E proprio quando pensavo che questo esame fosse finito, ho sentito una spinta sulla schiena, una mano che mimandava avanti a offrire la mia disponibilità d’interprete. Eravamo dei privilegiati, lavoravamo sulla banchina d’arrivo della stazione di Auschwitz-Birkenau».

Il «non luogo», sessant’anni dopo,va raccontato in ogni dettaglio. Il distacco, l’analisi storica, Fiano li ha dentro di sé. Ma è di nuovo sulla banchina di Birkenau-Auschwitz, mentre fa il suo lavoro. Cioè, accogliere i deportati che arrivano da tutta Europa. «Avevamo lavorato duro per trasferire sui camion centinaia di valigie,mentre i nostri occhi vagavano con partecipazione tra quella povera gente impaurita, che sarebbestata gassata e cremata nel giro di poche ore. “Dove siamo? Dove ci portano? Cosa ci faranno?”,erano le domande angosciate di ognuno. “Non vi accadrà niente. State tranquilli, andrete a fare una doccia. Coraggio!”. Malgrado cercassimo di tranquillizzarli, potevamo forse dir loro la verità? A cosa sarebbe servito?». Ad accogliere queste persone sulla soglia della camera a gas c’era fra gli altri Shlomo Venezia, ebreo originario di Salonicco, in Italia dal ‘45, casa a Roma. Oggi ha 81 anni. Fece parte del Sonderkommando di Auschwitz, un gruppo di prigionieri obbligati a rimuovere i cadaveri dopo le gassazioni di massa. In tutto il mondo sono sopravvissuti in «quattro o cinque, nondi più», dice. L’ultimo Sonderkommando si va estinguendo. Shlomo, nel lager, ha perso la mamma e le sorelline.

Ricordi lucidissimi: «Il tedesco che ci comandava si chiamava Moll, l’hanno giustiziato i polacchi. E poi un mio amico, Leone C. che faceva il bancario ad Atene, incaricato distrappare i denti d’oro ai morti, anche lui non c’è più». L’orrore si muta in nuove lacrime:«…Quando hanno aperto la porta di una camera a gas, non era come la prima sera, allora era il sotterraneo, la sala dove la gente si svestiva. Quando veniva la gente, la prima cosa che diceva il tedesco era: “Achtung, achtung”, con quella voce che ti entrava dentro le ossa.

C’erano in quella stanza degli attaccapanni e ognuno di questi aveva un numero. Il tedesco diceva a tutti di appendere la loro roba e di ricordarsi il numero del proprio attaccapanni così da ritrovarla all’uscita dalla doccia. La gente era convinta di andare a fare la doccia e, infatti, c’era una grande stanza con tante docce finte. Alcuni cercavano di andare per primi, per esempio le donne con i bambini piccoli…Chiudevano la porta, simile a quella dei frigoriferi dei macellai, una doppia porta con al centro lo spioncino per vedere l’interno… Il tedesco apriva la botola che era camuffata dall’erba quando non c’era la neve e metteva dentro questo gas velenoso che si chiama Ziklon B.

Dopo dieci minuti tutti quelli che stavano dentro erano asfissiati. Allora entrava il Sonderkommando. Io dovevo tagliare i capelli». E Goti Bauer, milanese che fu schiava nel campo di lavoro di Birkenau: «In lontananza vedevamo una bianca casetta di contadini. Sembrava un miraggio, gente vi entrava, gente ne usciva: era la vita. Dal camino saliva un filo di fumo: immaginavi la pentola sulla stufa, la famiglia intorno al desco. Ricordo quella casa come il più grande desiderio che io abbia mai avuto: potervi arrivare, scaldarmi al tepore di quella stufa, passarvi il resto dei miei giorni».

Giuliana Tedeschi, 91 anni, torinese, mamma di due figlie, per molto tempo dopo il ritorno non ha mai parlato di Auschwitz: «Una questione mia, una forma di ritegno. Ma una volta, andando a scuola, vedendo da lontano una ciminiera, precipitai nello sgomento. Mi ricordava il crematorio, che per noi era l’ossessione di ogni minuto, un incubo che per anni ho cercato di spiegare a tutti. Potevamo finire in cenere per nulla, anche quando non te lo aspettavi…

E’ sempre più difficile far capire alle nuove generazioni cos’è l’Olocausto. I ragazzi leggono poco, e non per colpa loro. Andrebbero indirizzati dai professori, e questo accade raramente; alcuni non lo sanno fare. Ed è forte il rischio di commemorazioni rituali, che non incidono più nelle coscienze». E non si possono non ricordare le parole di  Rudolph Höss, il comandante di Auschwitz, impiccato il 16 aprile 1947 proprio davanti al Krematorium 1 del «non luogo»: «Non potevo permettermi di giudicare se questo sterminio in massa degli ebrei fosse o nonecessario, la mia mente non arrivava tanto in là. Se il Führer in persona aveva ordinato la “soluzione finale della questione ebraica”, un vecchio nazionalsocialista, e tanto più un ufficialedelle SS, non poteva neppure pensare di entrare nel merito».


Dalla rete

– “Shoah.net. Per non dimenticare. Documentazione e approfondimenti.


– http://www.conceptwizard.com/itl/pipe_itl.html

Sul nuovo antisemitismo: I canali dell’odio

2007 I MOSTRI RITORNANO

ESUMAZIONE

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©  Cox & Forkum

 Presidente iraniano Ahmadinejad nel corso di una conferenza intitolata ‘Il mondo senza il sionismo’ : “ L’imam Khomeini disse: ‘Il regime che sta occupando Gerusalemme deve essere cancellato dalle pagine della storia’ (questa frase è stata tradotta in inglese sulla stampa mondiale con ‘cancellato dalla carta geografica’, ndr). Sono parole sagge. (…). E’ possibile che un paese islamico permetta a un paese non islamico di crescere nel suo seno? Questo significa sconfitta, e chi accetta l’esistenza di questo regime (Israele, ndr) firma la sconfitta del mondo islamico. Non ho il minimo dubbio sul fatto che la nuova ondata che si è formata in Palestina e che oggi vediamo formarsi anche in altri paesi islamici, sia un’ondata di moralità destinata a diffondersi in tutto il mondo islamico. Molto presto, questa disgraziata macchia (Israele, ndr) sparirà dal centro del mondo islamico” ( Teheran, 26 ottobre 2005).

 Ahmadinejad minaccia, ancora una volta, Gerusalemme:« Presto la fine di Israele».

Il discorso in occasione della festa religiosa dell’ashura in cui gli sciiti ricordano il martirio del loro terzo imam Hossein, nipote del profeta Maometto, ucciso nella pianura di Kerbala (nell’ attuale Iraq ) con 72 altri “martiri – guerrieri di Allah”. «Con questo nostro amore per l’imam Hossein, grazie ai nostri cuori puri e alla resistenza – ha affermato il presidente del lugubre regime espansionista e martiropatico degli ayatollah – con la benedizione di Allah vedremo presto la fine del regime sionista (Israele, ndr) e il crollo degli Stati Uniti» ( Teheran, 27 gennaio 2007).

Attenti all’ Iran: nucleare, iniziata installazione di 3mila centrifughe
Corriere della Sera – Milano, Italy, 27 gennaio 2007

 "Anti-Semitism and Islamic Expansionism"Un’ analisi del processo in corso di islamizzazione dell’antisemitismo : qui ( in italiano )

George Steiner – NOI VENIAMO DOPO

Estratto da “Linguaggio e silenzio. Saggi sul linguaggio, la letteratura e l’inumano

"Noi veniamo dopo. Adesso sappiamo che un uomo può leggere Goethe o Rilke la sera, può suonare Bach e Schubert, e quindi, il mattino dopo, recarsi al proprio lavoro ad Auschwitz. Dire che egli ha letto questi autori senza comprenderli o che il suo orecchio è rozzo, è un discorso banale e ipocrita.

In che modo questa conoscenza pesa sulla letteratura e la società, sulla speranza, divenuta quasi assiomatica dai tempi di Platone a quelli di Matthew Arnold, che la cultura sia una forza umanizzatrice, che le energie dello spirito siano trasferibili a quelle del comportamento?

Per giunta, non si tratta soltanto del fatto che gli strumenti tradizionali della civiltà – le università, le arti, il mondo librario – non sono riusciti a opporre una resistenza adeguata alla bestialità politica: spesso anzi essi si levarono ad accoglierla, a celebrarla, a difenderla. Perché? Quali sono i legami, per ora assai poco compresi, tra gli schemi mentali e psicologici della cultura superiore e le tentazioni del disumano?

Matura forse nella civiltà letterata un gran senso di noia e di sazietà che la predispone allo sfogo della barbarie?" (George Steiner, dalla Prefazione a «Linguaggio e silenzio», Garzanti, Saggi blu , traduzione di Ruggero Bianchi, 1967).

 

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