Georges Lapassade in Marocco ( 1 )

GEORGES IN MAROCCO ( 1)
Tracce di un movimento culturale ( 1969- 2008)
di Gianni De Martino
Come faremo senza il “tornado” Georges Lapassade, senza il suo amore per la verità, senza la sua inesorabile tenacia nel “misurare” i limiti kafkiani della burocrazia e svelare i “segreti” ( un “non detto” in genere legato ai soldi e al sesso ) di gruppi, organizzazioni, istituzioni che si vogliono maturi, immacolati ed autorevoli? L'aria è piena di suoi ricordi, di peripezie universitarie legate agli avvenimenti del Maggio 1968 in Francia, e di “interventi” in Tunisia, in Marocco, in Québec, in Brasile, in Germania, in Italia, con incontri, convegni, dibattiti, indagini sempre improvvisate sul campo, riflessioni su quel vero e proprio enigma che è l’ “istituzione” e feconde rimesse in causa – rintracciabili in una miriade di articoli e numerosi libri, circa quaranta, tradotti in varie lingue. A partire dal suo primo libro L’ Entrée dans la vie, il saggio sull’incompiutezza dell’uomo del 1963, un libro profetico che svelava il “mito dell’adulto” e anticipava l’irruzione sulla scena sociale e politica del “desiderio dissidente” ( come poi dirà Elvio Fachinelli, l’autore della Mente estatica, analizzando la breve e intransigente stagione della fiammata di speranze e delusioni antagoniste ). L’essenziale della tesi di Lapassade è che la maturità è una maschera. E questo è quel che sanno tutti gli amanti, gli innamorati e specialmente gli adolescenti nell’ora delle scelte decisive. Se il destino dei giovani è la rivolta, è perché la prospettiva della maturità, nella società nichilista della soddisfazione ottimale dei bisogni, è percepita al costo di una rinuncia al desiderio. La loro rivolta è un rifiuto d’ “integrarsi” passando per lo stampino della normalizzazione. La reale maturità consisterebbe infatti nella consapevolezza della propria incompiutezza e nell’assumerla. Da qui il rifiuto della “follia della normalità” e l’ interesse del “professore della transe” per i fenomeni di passaggio, apparentemente marginali o rifiutati, come la transe, appunto, la “dissociazione adolescente”, la cosiddetta devianza e le sottoculture e controculture giovanili. 
Lapassade convocava biologia, psicologia, filosofia per mostrare che il piccolo d’uomo è segnato fin dalla nascita dalla sua incompiutezza e che la pretesa maturità dell’età adulta non è mai completa. E così l’autore del Mito dell’adulto ( come da noi in Italia fu intitolato L’Entré dans la vie, uscito nel 1971 per Guaraldi ) si lavorava lavorando. Affermava, al seguito di Bolk, Freud, Marx e Nietzsche, che l’intera vita è il continuo tentativo di nascere a se stessi, un processo che ci porterà a una nascita piena quando moriremo.  Era l’annuncio della morte della Cultura ( borghese ) e l’emergenza di un desiderio e di uno strano bisogno di sconvolgimento non più dissimulato o congelato nei corpi e nelle istituzioni.
I corpi sottratti alla Famiglia, al Partito, all’Oratorio dilagavano ovunque, come un inconscio sociale portatore della ricchezza corrosiva della vita. Vivere, solo vivere fuori dai coglioni di Padri, Madri, Professori, Preti, Poliziotti, Sociologi, insomma “dissociarsi” e vivere fuori dal grigiore dei cosiddetti “adulti” e dei guardiani del terreno dei bisogni, allora sembrava non esistere altro sogno più bello e più crudele di questo. Nello stesso tempo, però, Lapassade non aveva i capelli lunghi, e anche se indossava maglioni esistenzialisti e andava in facoltà a Vincennes senza cravatta guadagnandosi la fama di un outsider restava pur sempre un professore universitario che agiva dentro l’istituzione universitaria cercando di cambiarla. Cosa che mandava in transe i situazionisti, giovani intellettuali all’inseguimento di un marxismo eretico, affettivo, una specie d’irriducibile sete di distruzione diretta criticamente contro ogni forma di organizzazione politica “all’Ovest come all’Est” e tutti quelli che cercavano di cambiarle: i capi, i burocrati, i tecnocrati, i dirigenti sindacali, gli urbanisti, i direttori, i leninisti, gli artisti, i castristi, i surrealisti, i provo, i professori, compreso Lapassade con la sua analisi istituzionale e la proposta di autogestione pedagogica. E così nell’ “Internazionale Situazionista” n. 9 dell’agosto 1964 apparve a piena pagina una sentenza espressa nel linguaggio settario e irridente dell’epoca: “ Monsieur Lapassade est un con” . Era il periodo in cui i giovani , non solo i situazionisti, gli hippies e i drop out, rifiutavano la società delle tre “M” ( Moglie/Marito, Mestiere, Macchina) e fallivano in massa la loro “entrata nella vita” adulta. Con il Maggio 1968 accadeva proprio quello che Lapassade aveva previsto, e L’ Entrée dans la vie fu considerato, insieme a Eros e civiltà di Marcuse, come uno dei testi di riferimento della contestazione e della critica al “socialismo reale” e alla civiltà industriale. Non a caso Henri Lefebvre – come ha ricordato recentemente Remi Hess – lo riteneva “uno dei più grandi libri del xx secolo”.
E lui, Georges Lapassade , dov'è? In transito nel punto, intenso e feroce, in cui la vita va al di là. La perdita è infinita. Forse è giunto da sempre, per sempre, all’Energia che è vita d’intensità prodigiosa, prima del Tempo e dello Spazio, che comunque non sono una risposta. Anche perché sono innumerevoli i tempi, gli spazi e le storie possibili, o anche impossibili. Georges Lapassade è passato ormai alla sua piena maturità, ed ora riposa nella grande pace del cielo degli autori. Il primo ricordo che mi viene in mente, mentre la memoria diviene densa, agglutinante, com’è forse la memoria di tutti gli esseri incompiuti, è dei giorni favolosi che abbiamo passato a Essaouira, sulla costa atlantica del Marocco, quando lui aveva 45 anni, capelli neri sui grandi occhi color nocciola, corpulento come un montanaro del Béarn, di Arbus, il suo paese natale nei Pirenei, dove era stato istitutore e da dove era sicuro di essere stato cacciato quando i giovani del villaggio, una sera, gli avevano chiesto spiegazioni sui rumori che correvano su di lui, strane voci sulla sua vita sessuale. Bisognava mentire, negare, partire in esilio come un Gourmanché d’Africa per aver trasgredito la legge del proprio gruppo. Accettereste voi nel vostro gruppo un beduino del Delta, un cammello con due gobbe o un insegnante che come Socrate mette tutto l’ovvio che ci costituisce in discussione e cerca l’amore dei ragazzi ? Nessuno è perfetto o davvero “maturo”. Occorre molto coraggio per diventare “adulti” ed affrontare un matrimonio. Meglio, pare, starsene tra ragazzi, i propri simili, invece di svegliarsi, la notte, e scoprire con un brivido un corpo di donna che dorme, o magari finge di dormire, nel vostro letto. Chissà perché poi nei villaggi, nei gruppi attraversati dall’istituzione “si fanno un sacco di storie per ogni minima deviazione”, come diceva anche Michel Foucault.
Così Georges si era “esiliato” prima a Montpellier, poi a Parigi dove arriva nel 1950. Negli anni 1950 frequenta il quartiere latino e si confronta con gli intellettuali parigini dell’epoca e con la scrittura. Merleau-Ponty gli propone di scrivere per «  les Temps modernes ». Prima assistente universitario, diventa dottore in lettere nel 1962 e insegna sociologia come cooperante all’università di Sidi-Bou-Said presso Tunisi, dove scopre lo « stambeli », un rito di transe la cui musica africana gli sembra all’origine del blues e del jazz. Al seguito di uno sciopero di studenti da lui appoggiato, mentre Foucault, che pure insegnava nella stessa università si tiene in disparte, viene espulso dal governo tunisino con una lettera che mette fine alla sua cooperazione. Arriva a Tours nel 1966 e vive il Maggio 1968 a Parigi ( celebre la sua insistenza, contro il parere dei gruppi maoisti che ritenevano « poco serio » quell’intervento, di portare un pianoforte e fare musica nella Sorbona occupata, circondata dai poliziotti in assetto di guerra). Nel 1971 diventa professore in scienze dell’educazione all’Università di Parigi VIII, vivendo la vita di un intellettuale parigino, con i suoi intrighi universitari, le sue psicoanalisi, di cui una, interrotta, con Jacques Lacan, i suoi incontri, le sue amicizie. Nel marzo del 1971 anima un numero memorabile della rivista “Recherche – Grande Encyclopédie des Homosexualités”, con – per citare solo alcuni amici , di cui molti in memoriam: Catherine Bernheim, Gilles Chatelet, Michel Cressole, Gilles Deleuze, Laurant Dispot, Michel Foucault, Jean Genet, Felix Guattari, Daniel Guérin, Pierre Hahn, Guy Hocquenghem, Jean-Jacques Lebel, Georges Marbeck, Anne Querrien, Alex Sandra, Jean-Paul Sartre, Josy Thibaut, Xavier… Sulla copertina, a grandi lettere: “Ça branle ! Lâchez les pédales”.  Oppure, a scelta: “- Trois milliards de pervers. – Marie-France. -. Vives nos amants de Berbérie”. ( continua…)
Nella foto in alto : Georges Lapassade a Essaouira, foto di Luigi di Cristo 
( altre foto , nel sito dell’ Università Paris 8)
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