Il vescovo e la virilità

IL VESCOVO E LA VIRILITA’
Monsignor Simone Scatizzi Dove sono più i bei maschi italiani di una volta ? Tempo fa, nel  2005, l’allora vescovo di Pistoia, Simone Scatizzi, autore di un delicato libro di poesie intitolato Foglie d’Autunno, prese carta e penna e scrisse una lettera al consiglio comunale della cittadina toscana nella quale criticava una  mozione che preludeva all’approvazione delle unioni civili. Tutto è discutibile, perlomeno in democrazia.
 
Quello che colpì i consiglieri fu il tono accorato della lettera, nella quale monsignor Scatizzi lamentava lo  “svilimento della mascolinità in una società che si va sempre più femminilizzando”.
 
Molto preoccupato della perdita della virilità del maschio, nella sua lettera Scatizzi scriveva che la prova di questo fatto sarebbe che gli uomini spendono sempre più in cosmetici vari, parrucchieri e chirurgia estetica.
 
 In pratica, il porporato – avvolte le sue rotondità in una gonna di pizzo bianco su sottoveste fucsia –  lamentava l’accentuazione della femminilità innaturale negli uomini che spesso fanno perdere loro la caratteristica della virilità.
 
E confondendo sesso e virilità, additava gli “omosessuali”segnalandoli come i colpevoli della scomparsa dell’afrore del maschio, spingendosi sino a paragonarli alle femminucce, ai pedofili, ai mafiosi e ai terroristi. Perché tanto risentimento ?
 
Così facendo, il vescovo dava l’impressione – come notarono i più – “di essere non fuori dal mondo, ma contro il mondo, ricostruito e rappresentato a partire dai propri pregiudizi “.
 
D’altra parte, è anche vero che da consumo segreto e da sofferenza-piacere individuale, le piccole e grandi omosessualità  diventano fenomeno diffuso, spettacolare e di largo consumo.
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A differenza, per esempio, dei paesi islamici, dove le omosessualità sono sommerse e diffuse, nei paesi occidentali risultano visibili, con una tendenza a concentrarsi ;in una “zona”, più che in una vera comunità, che riguarda il cosiddetto “essere gay”.
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 Più in generale, come notava lo  psicanalista Elvio Fachinelli fin dagli anni Ottanta, a produrre l’accettazione o il rifiuto delle omosessualità maschili  è un mutamento più profondo e complesso del senso della virilità nei paesi occidentali .
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 Se al fondo della paura di perdere la propria virilità a fronte dell’ “omosessuale” c’è la presenza di una figura inquietante, castrante e sdifferenziante, che spesso rimanda più alla madre che al padre, si può supporre che il mutamento della posizione della donna-madre, più autonoma e meno bisognosa di trovare nei figli una giustificazione di se stessa, recuperando in loro un potere da cui è esclusa ( il Fallo, che dopotutto non è il cazzo ) sia decisivo sotto l’aspetto  di una maggiore accettazione delle omosessualità”.

 Diminuita virilità, quindi, nel senso tradizionale, maschilista, dei maschi, per la ridotta capacità di identificazioni decisive col padre; dall’altra parte, però  “ minore drammaticità e, si direbbe, maggiore facilità e sicurezza nell’assunzione di un ruolo maschile meno impegnativo, per la maggiore autonomia della madre”. Di conseguenza, “accresciuta tolleranza delle omosessualità manifeste e di quelle tendenzialmente esistenti in ciascun maschio”.

Passano gli anni, monsignor Scatizzi va in pensione, ma il mistero della presunta perdita, negli altri, della virilità, non cessa di ossessionarlo.  Così oggi il vescovo in pensione dà un’intervista al sito ultra-conservatore  Pontifex, per dire che i preti dovrebbero rifiutarsi di somministrare la comunione ai gay, in quanto  “L’ostentata e praticata omosessualità è un peccato che esclude la possibilità della comunione», come peraltro esclude anche i divorziati. ( Ex vescovo: «Niente comunione ai gay» , Corriere della Sera ). Insomma, niente comunione con il Signore e fuori dal Paradiso, a meno che non ci si penta, confessandosi a don Scatizzi & C.

 

 

 

 Le dichiarazioni dell’ex vescovo vengono subito raccolte da altri luogotenenti di Dio ( le cui dichiarazioni – simili a una fitta sassaiola seguita dal lancio della prima pietra – potete leggere qui).
 
Le dichiarazioni risentite di monsignor Scatizzi nascono da una pretesa di gestione politica e ideologica della sessualità ( comune a tutte le religioni , in modo particolarmente virulento alle religioni monoteiste e all’islàm con l’imposizione del velo, l’impiccagione  di presunti o suggeriti « gay », accusati di « mohareb », « nemici di Dio » ecc.). E vengono subito raccolte, tra gli altri,  dal vescovo emerito di Lucera-Troia, monsignor Francesco Zerrillo che, sullo stesso sito dei lefebvriani Pontifex  dice che bisognerebbe invitare il gay credente a non chiedere la comunione, “per non alimentare lo scandalo”.
 
Sembra che  anziani porporati  al tramonto e sempre più simili a certi mullah islamici siano eccessivamente interessati al tema della sessualità, fino ad esserne quasi ossessionati. Al punto da sentirsi in dovere di additare i presunti « colpevoli » al ludibrio generale – con il rischio di offrire alibi religiosi a qualche « purificatore » tipo « sciabola dell’islàm »  o « giustiziere » illuminato  tipo Svastichella, insomma a qualche squilibrato in preda alla sindrome della « perdita della virilità » e del « differenziale simbolico »…
 
E’ quel che pare essere capitato a monsignor Giacomo Babini, l’ottantunenne vescovo emerito  di Grosseto, che dal convento in cui si è ritirato per motivi di salute, definisce  la pratica omosessuale un « orribile difetto » : “Mi fa ribrezzo parlare di queste cose e trovo la pratica omosessuale aberrante, come la legge sulla omofobia che di fatto incoraggia questo vizio contro natura”.
 
Non c’è dubbio che un touche-pipì o un imperfetto abbraccio alla pecorina, di sponda o alla cosacco costituisca una modesta deviazione dalla vecchia Idea di « natura ». E che scambiare, per distrazione o intenzionalmente, un buco con un altro può sembrare un mancare il  « sacro » bersaglio « naturale » e quindi lo si potrebbe definire un  « peccato ». Tuttavia, nel tentativo di circoscrivere una oscura e « orribile » minaccia ubiquitaria e diffusa, di darle un nome proprio, monsignor Babini come scagliando un sassolino si lascia scappare: “…io non darei mai la comunione ad uno come Nichi Vendola”. Tirando fuori, alle soglie delle elezioni regionali, la vecchia storia del Governatore “pubblico peccatore”, pare si voglia ancora arruolare Dio in politica, con tutti i Sacramenti. ( L’intervista integrale che ha scatenato le reazioni indignate del popolo del web, forum, blog e social network  è leggibile qui, al canto dell’ “Ave Maria” e di non pochi schizzi di veleno ).
 
Salvo a dirsi poi « addolorato per le accuse di omofobia », attivando quel tipico circuito vittimario che unisce nelle menzogne e nell’odio reciproco alcuni vescovi cattolici e gran parte della popolazione italiana, non solo quella parte che si definisce « gay » ( Cfr.  Se monsignore è omofobo – Libero Blog – Libero News).
 
Anche a costo di sembrare politicamente scorretto, è giocoforza ammettere che forse è proprio vero: non solo non esistono più le mezze stagioni, come spesso ci si lamenta tra pensionati, ma neanche i bei pezzi di figa di una volta – oltre che, naturalmente, l’afrore dei bei maschi italiani sempre più “instabili”, se non simili, perlomeno così pare a don Scatizzi, a… foglie d’ Autunno.
 
 
P.S. Il sito dei lefebvriani Pontifex, oltre a sparare a zero su gay, ebrei,  musulmani e altri “peccatori”, contiene una dichiarazione di Enzo Bianchi sulla bontà dell’uso del cilicio e di “ una sana pratica dell’autoflagellazione”.  
 
Naturalmente, a fronte delle dichiarazioni dei vescovi lefebvriani e cripto- lefebvriani,  il popolo s’indigna e sembra dividersi tra farisei e libertini, cavalcando il desiderio “scandaloso” la notte e quello “sacro” di giorno, in pieno sole. Non per rincarare la dose, ma questo fotomontaggio trovato in rete e che potrebbe intitolarsi “scatizzi suoi”  mi sembra il più carino:
 
 
                     
Ma dove ve ne andate,
 
povere foglie gialle
 
come farfalle
 
spensierate?
 
Venite da lontano o da vicino
 
da un bosco o da un giardino?
 
E non sentite la malinconia
 
del vento stesso che vi porta via?
 (Trilussa)
 
Le tentazioni del dottor Antonio
 
 Antonio Mazzuolo (Peppino De Filippo) è un moralista intransigente,  ossessionato da una biondona che propaganda il latte su un cartellone. Satira surreale e onirica del moralismo e del puritanesimo nell’Italia degli anni sessanta, periodo di boom economico e di cambiamenti culturali (da Boccaccio ’70, dirige Fellini

 

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4 risposte a Il vescovo e la virilità

  1. anonimo scrive:

    Qui si discutono toni, vesti, vestiti, mascolinita’… evvabbe’.
    Ma la questione rimane.
    La Bibbia, i Padri, il Magistero sono univoci nel definire gli atti omosessuali come "atti oggettivamente disordinati".
    E’ facile far ridere sul rocchetto di pizzo indossato sulla veste talare viola.
    Ma la dottrina quella e’.
    E’ possibile cambiarla? Pare proprio di no.
    Che la cultura sia in via di cambiamento e’ un fatto. Ma chi vuol sentirsi dire che lo stile di vita omosessuale e’ pacificamente accettato forse sbaglia indirizzo quando va in parrocchia.
    Stefano

  2. giannidemartino scrive:

    Su quella che oggi definiamo « sessualità » esiste certamente una dottrina consolidata, che però non è detto che sia assolutamente la verità. Non voglio scandalizzare nessuno, ma Gesù ha detto « Io sono la Verità », non ha detto : «  Io sono quello che una tradizione consolidata dice essere la verità ».
    La questione è, a un tempo, molto semplice e molto complessa, perché ha a che fare, oltre che con i blocchi mentali di chi crede di possedere la verità,  con il problema più generale della verità e del suo possesso esclusivo.
     Non si può negare che  nel nome della verità consolidata da questa o quella tradizione – considerata sacra, fissa e immutabile perché un dio monocratico l’avrebbe rivelata – si commettano crimini spaventosi e si trovino giustificazioni orribili per mortificare se stessi, il prossimo e la comunità dei cristiani divisi dall’odio reciproco ( com’è accaduto, persino nei sacri palazzi, con il recente caso Boffo…).  
    Mah, chissà perché gli amori degli altri appaiono sempre ignobili…Se mi fosse possibile essere ancora più esplicito, direi che se sento dire che l’altro è divorziato o divorziata, oppure lo vedo entrare in un bar gay, non l’invidio proprio per niente – magari credendo, a torto o a ragione, che egli goda più e meglio – e non farei la spia al parroco affinché SBLAM ! gli chiuda la porta in faccia, dicendogli che ha sbagliato indirizzo.

    Penso che questo modo di pensare e di fare non sia cristiano, perché nel cristianesimo la verità è relazione, è sempre un essere con l’altro, altrimenti  evvabbe’ non è verità. Perlomeno così mi pare.

  3. anonimo scrive:

     … e’ relazione si, ma con Cristo. 
    Si parla della verita’ del cristianesimo no?
    Allora occorre essere chiari su una questione di metodo. 
    Come fa uno oggi – duemila anni dopo che Cristo, verita’ incarnata, ha camminato fra gli uomini – ad essere in relazione con lui? Il metodo scelto dal fondatore e’ "chi incontra voi incontra me", "dove due o tre… io sono presente", "fate questo in memoria di me", "su questa pietra", ecc.
    Insomma, piaccia o meno, la Chiesa. Persino quando ci dispiace nel suo incarnarsi in monsignori paciocconi in rocchetto, o – cito uno che mi sta istintivamente sulle palle, anche se sicuramente andra’ in paradiso prima di me – un Enzo Bianchi.
    Anch’io non farei la spia. Soprattutto perche’ so che comunque i nostri peccati – ma per fortuna anche le cose buone – il Signore li vede. E li perdona persino, se uno raggranella il coraggio di andare a confessarsi. Magari dal monsignore in rocchetto…
    Stefano

  4. giannidemartino scrive:

    D’accordo, Stefano, amiamo la Chiesa, « casta meretrix » ! Quanto alla necessità del sacramento della  confessione, è quanto dice con nettezza anche Giovanni Paolo II, invitando tutti a un serio esame di coscienza,  nella Lettera apostolica Tertio Millennio adveniente, pubblicata il 10 novembre 1994 :  «La Chiesa – scrive il Papa – si faccia carico con più viva consapevolezza del peccato dei suoi figli […]. È necessario farne ammenda, invocando con forza il perdono di Cristo». In fondo, neanche tanto in fondo, siamo tutti, con rocchetto o senza rocchetto, un po’ instabili. Così forse un domani Madre Chiesa chiederà perdono dei suoi peccati verso i divorziati e le persone che non credono – se mi è permessa una battuta per sdrammatizzare la questione – che Dio abbia creato il cocomero apposta per essere consumato solo e unicamente  in famiglia ! Anche se la famiglia è importante. Auguriamoci misericordia sempre !
     
    P.S. Non ho mai pensato che Stefano fosse una spia o uno scaccino. Parola di Lupetto ! 🙂
     

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