LA SVOLTA AD ORIENTE

LA SVOLTA AD ORIENTE

Negli anni Sessanta, quando la cultura occidentale fu scossa fino alle fondamenta dall’ondata generata dalla «controcultura», contemporaneamente ci fu un risveglio generale di interesse per le filosofie orientali, che sembravano conservare le mappe dell’esperienza estatica innescata dall’uso delle sostanze psichedeliche a fini conoscitivi. Oltre a una specie di mistica dei veleni sacri e delle ebbrezze divine, dionisiache, anche l’occultismo, in ambiente underground, coinvolgeva un numero crescente di individui.

A cominciare dagli anni Settanta e poi nella prima metà degli anni Ottanta, per alcuni ex militanti sessantottini in crisi, delusi dal crollo delle utopie rivoluzionarie, l’incontro con l’Oriente poteva significare o una fase di chiarimento interiore, o una reazione contro la sopravvalutazione della dimensione sociale vissuta come assoluta, oppure un “riflusso”, o “reflusso” come scrivevano i giornali di regime con metafora mestruale, verso l’imbuto del privato. Per me e pochi altri amici e compagni , invece, l’interesse per l’Oriente costituiva un ampliamento dell’esperienza di ricerca, che si espandeva dalla sfera unicamente sociale a quella paradossalmente chiamata interiore. Ci si “accendeva” e si volava in alto (hig mind) per vivere, riprendendo, tramite un uso eccessivo del corpo, stati di grazia originaria.

Fu in tale contesto che iniziai una corrispondenza con alcuni studiosi di esoterismo: Alain Daniélou, Lama Sakya Trizin, Mauro Bergonzi, il Dalai Lama, Albert Hoffmann e anche l’Ing. Francesco Siniscalchi del Grande Oriente d’Italia, del quale ritrovo una lettera inviatami il 19 febbraio 1982. Allora dirigevo a Milano la rivista “Mandala. Quaderni d’Oriente e d’Occidente”, mentre l’Ingegner Francesco Siniscalchi, nel tentativo di recuperare integralmente l’espressione iniziatica dell’Istituzione massonica, combatteva a Roma contro la “P2”, una loggia massonica golpista e fascista annidatasi all’interno del Grande Oriente di Palazzo Giustiniani. Gli scrissi , su suggerimento dell’amico Mario Mieli, che eravamo “entronauti”, di ritorno dall’esperienza psichedelica e che, dopo l’incontro con i Lama esuli dal Tibet, volevamo travasare la nostra esperienza in “Mandala. Quaderni d’Oriente e d’Occidente”. Francesco Siniscalchi così rispose:

“ Egregio Dott. De Martino , ho ricevuto la Sua del 9 febbraio scorso, che ho molto apprezzato, e della quale devo dire che sono ben pochi i passi che io non possa condividere. Ho apprezzato persino il francobollo che Ella ha usato per affrancare la lettera: è quello da Lire 300, di color rosa con una punta di lilla, dedicato al ‘lavoro dell’Italia nel mondo. Esso rappresenta una diga, opera che serve a creare un invaso che sia atto a raccogliere le acque, affinché non si disperdano, per poi meglio e più utilmente distribuirle secondo le necessità . Qui emerge un linguaggio che non fa riferimento esclusivamente all’opera d’ingegneria che viene rappresentata, ma che è anche un linguaggio simbolico. Si tratta infatti – e glielo posso garantire – di quella che, nella scuola alchemica, è di fatto la seconda “operazione”. Ovvero proprio la costruzione di quella “diga” che ciascuno di noi, in sé, dovrebbe essere in grado di realizzare per raccogliere le proprie acque nel dovuto invaso, per poi distribuirle nei modi e nei tempi più opportuni.

E vorrei anche pensare che il francobollo volesse essere di buon auspicio per il nostro paese, che pur avrebbe, sol che lo si volesse, le potenzialità e le capacità per suggerire agli altri paesi del mondo, e per concorrere con loro alla realizzazione di quelle “dighe” ( non solo certamente per invasi idrici) oggi tanto necessarie nel mondo ‘profano’ per impedire che l’opera, ormai spesso solo distruggitrice, delle acque di qualsiasi genere portino all’estremo degrado le civiltà della comunione umana.

Ma c’è di più. L’immagine raffigurata nel francobollo ha un’altra e peculiare caratteristica: rovesciando l’immagine della “diga”, questa sparisce e sembra emergere ben in evidenza l’immagine di un ponte. Ed è proprio così! Non basta infatti imparare a trattenere e a raccogliere le “acque”, per poi saperle ben distribuire: occorre anche, direbbero gli antichi, ‘ imparare a camminare sulle acque’, ovvero saper costruire quel ‘ponte’ che congiungendo le opposte rive, ci consenta perciò di metterci in grado anche di superare il piano stesso delle ‘acque’. E giungiamo, con questo, già ad una terza ‘operazione’: realizzabile solo dal costruttore di ponti – ovvero il pontifex, appunto – tra l’ ‘interno’ e l’ ‘esterno’, tra il ‘sacro’ e il ‘profano’, tra l’ ‘imperituro’ e il ‘contingente’, poiché tutti i vari ed apparentemente opposti aspetti sono proprio le variegate manifestazioni di un unico fenomeno: la VITA”.

L’Ingegner Siniscalchi, si scusava per la lunga digressione sulle dighe e sui ponti, forse dovuta – suggeriva ironicamente – alla sua “inevitabile deformazione professionale”. E così continuava:

“ Mi trova d’accordo con la Sua felice espressione, a proposito di esoterismo, di ‘ scienza delle invariabili universali’. Ma non mi sento di condividere in pieno la Sua ipotesi che la ‘scienza dell’uomo’, sia, in ogni caso, ‘scienza interiore’. Lo è per alcune scuole ( sostanzialmente impegnate in una ‘operatività’ esclusivamente individuale), ma non per altre ( come ad esempio la scuola ‘ costruttivistica’ della Libera Muratoria) per le quali il lavoro individuale non va mai disgiunto da un lavoro di verifica operativa collegiale, da cui trae origine la ‘Loggia’ dei fratelli muratori. Quanto Ella scrive è vero, esatto e valido per quanto riguarda la scuola alchemica, non per quella della Rosa-Croce ( intendo quella vera, e per la quale non mi sento di condividere l’opinione di C.G. Jung, che tale argomento non aveva punto approfondito). Al limite, non è esclusivamente pratica di ‘scienza interiore’ neanche la scuola della Kabalistica, né quella genuinamente ermetica dei Misteri, né – in Oriente – la scuola tantrica originaria”.

Il Libero Muratore ingegner Francesco Siniscalschi, affrontava poi un argomento che stava particolarmente a cuore , ovvero l’esistenza in Occidente di un’autentica trasmissione iniziatica, adatta a quegli “uomini di desiderio” che alcuni di noi si sentivano di essere. Dopo aver fornito alcune indicazioni, anche a proposito di un lavoro “molto lento, poiché solo così può essere solido e durare”, la lettera terminava, prima dei saluti cordiali, con una garbata correzione a una mia affermazione:

“ Ella parla di ‘un’evoluzione che presuppone la libertà e l’uso responsabile di questa libertà’. Non può che trovarmi d’accordo. Ma dice anche che ‘ ciò che importa è il fiore vivo’, e che esso ‘ affiora sul terreno concreto, costituito – a vari livelli – dal singolo nella sua fattispecie individuale, molecolarmente’; e, trattandosi di molecole, io aggiungo: ‘ nell’armonico concerto del lavoro collegiale’.”

Giusta osservazione. Dopo un viaggio psichedelico, così come dopo un’orgia, ci si sente più soli, più abbandonati. Lo diceva anche Baudelaire. D’altra parte, dal momento che non abbiamo ancora imparato a camminare da soli sulle acque, occorre continuare a costruire insieme dighe e ponti, persino in sogno. Le dighe e i ponti, così come anche la responsabilità, cominciano dai sogni. Anche a partire da qui forse si possono costruire ponti per incamminarsi verso nuovi paradigmi, che nascono dall’esperienza di tutte le cose spirituali e naturali intese come unità significative. Non siamo forse ognuno-a e tutti molecole nell’oceano della vita e della morte?

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