NON LUOGO.NOTE SULL’ATTO DELLO SCRIVERE

NON LUOGO
(Note sull’atto dello scrivere)
di Gianni De Martino 

 

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La tomba di Dracula

“Sai dove siedo io?”, chiede l’io che scrive.
Tutti gli scrittori decisivi pongono, prima o poi, la questione del luogo della propria emergenza: da dove parlare?
Il luogo della scrittura è un territorio immensamente distante. Forse vi si entra per amore, per amore della lingua. E, come tutti gli innamorati, ci si lascia affliggere dai lampi.
Nell’atto di scrivere e di simulare un lampo, mi accorgo che qui – come esclama Amleto – “The time is out of joint”/ Il tempo è fuori dai suoi cardini”.
Potrebbe essere la bella definiziane di un passato che – tramite la malinconia e il lutto – non cessa di essere presente. Ma anche la definizione di una zona riparata, dalla quale resistere ai capricci della storia diurna e al flusso sconvolgente del tempo.
Scrivere sarebbe allora come un darsi alla macchia.
E la letteratura, per chi scrive, sarebbe un nascondiglio, anzi il nascondiglio estremo della perdita.
“Guardo le mie mani – dice Dracula. – Sono i confini del mondo…”.
Forse Vlad scrive perché non gli basta morire da lontano.


Continuo a pensare che ad aprire la strada siano stati gli scrittori del XIX secolo. A cominciare da Chateaubriand, quando libera la sua parola dalla severità del tempo installandola strategicamente nella tomba. “Preferisco parlare dal fondo della mia bara”, dice per cominciare.
Dopo di lui, Victor Hugo avverte il lettore delle Contemplations: ” Questo libro va letto come il libro di un morto”.
Vedi anche Baudelaire, eccetera…

I libri sono doni che i morti fanno ai vivi.

Ogni scrittore, nell’atto dello scrivere, fa in vita due opere: la sua opera di vivente e la sua opera di fantasma.

Lo scrittore è uno spettro. Lo scrittore-spettro. 

Uno scrittore, lo si riconosce dal fatto che non ha paura della parola “morte”.

Egli fa come la morte: riempie i buchi… 

Riempie i buchi e passa il tempo …

Lo passa nero su bianco.

Lo passa qui tra culla e bara, vale a dire fra due pulsioni.

Lo scrittore – Edipo nella sua culla, Sfinge nella sua bara – scrive fra due pulsioni.

Qui – dove non c’è dove 

– tempo e spazio non sono una risposta. 

Di più: qui tempo e morte hanno uguale durata. Ed è proprio tra i due che va ripreso tutto quello che è perso.

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