Mondo Beat

Dal 1966 al 1967 il movimento beat milanese diede vita alla rivista underground “Mondo Beat”.mondo beat 0Copertina n.0, primo di una serie di sette numeri, nov. 1966

mondo beat sesto n 4Copertina n. 4, sesto di una serie di sette numeri, maggio 1967

mondobeat5Copertina n. 5, ultimo di una serie di sette numeri, luglio 1967. A cura di Gianni De Martino aka Gianni Ohm redattore-capo e Giangiacomo Feltrinelli aka Gigi Effe

Nelle sue pagine si ritrovano alcuni temi portanti delle future proteste sessantottine e degli anni seguenti quali il pacifismo, l’antimilitarismo, l’obiezione di coscienza, il libero amore, il diritto al divorzio, all’aborto, alla pillola in un contesto di generale critica alla politica tradizionale – anche quella dei partiti di sinistra – ed una esaltazione della vita in comune per superare definitivamente gli stereotipi della famiglia, della società, della buona educazione tradizionalmente intesi. Inoltre inizia già ad emergere quella passione per l’Oriente, in particolare per il Buddhadharma, che influenzerà le scelte esistenziali di una parte non trascurabile della gioventù del decennio successivo.

All’alba del 12 giugno 1967 la polizia sgomberò il campeggio beat sorto in via Ripamonti sorto su iniziativa della rivista “Mondo beat”; il blitz delle forze dell’ordine era stato da tempo richiesto da parte dell’opinione pubblica moderata milanese, “Corriere della sera” in testa la battezzò elegantemente “Nuova Barbonia”.***

Come scriverà Sandro Bellassai: “La violenza contro i capelloni può essere interpretata come una forma di punizione simbolica per avere oltrepassato la divisione tra i generi con l’appropriazione di un attributo di seduzione tradizionalmente considerato femminile. Inoltre, tali atti possono essere letti sia come una strategia per riaffermare l’ideale di mascolinità italiana in un periodo di ‘declino del virilismo’”. (Bellassai, S. 2011. L’invenzione della virilità: politica e immaginario maschile nell’Italia contemporanea. Roma: Carocci Editore; V. anche: Cecilia Brioni, Shorn capelloni: hair and young masculinities in the Italian media, 1965–1967 Published online by Cambridge University Press: 17 June 2019).

Poco servì il fatto che i beat milanesi – «capelloni» e «sbarbine» secondo una certa stampa[6] – avessero regolarmente affittato quel terreno per un periodo che andava dal 1° maggio al 31 agosto ’67; l’azione della polizia fu inesorabile, quanto spettacolare: 79 arresti, circa 200 fogli di via e soprattutto per disinfestare la zona furono usati, secondo le cronache del tempo, 500 litri di DDT. Con l’uscita di lì a poco del 5° numero (ma in realtà il 7° dato che i primi due furono il numero 0 e il 00) della rivista “Mondo beat” curato dal redattore-capo Gianni De Martino per l’editore Feltrinelli si può dire che terminò anche l’esperienza beat milanese. E molti ragazzi iniziarono a viaggiare in India, Nepal, Marocco o Sudamerica.crepax casilio 5 31 lug 67 mb

[Vignetta datami da Guido Crepax per illustrare il num. 5 di “Mondo beat”, (ultimo di una serie di sette) luglio 1967]

I sette numeri della rivista “Mondo beat” sono stati ripubblicati in: Gianni De Martino, Marco Grispigni, I capelloni. Mondo beat, 1966-1967. Storia, immagini, documenti, Roma, DeriveApprodi, 1997, pp. 59-240; e successivamente in forma anastatica in un CD allegato a Capelloni & ninfette: Mondo beat, 1966-1967: storia, immagini, documenti, a cura di Gianni De Martino, Milano, Costa & Nolan, 2008.

*** «La si potrebbe chiamare, tanto per usare quel loro gergo infarcito di americanismi, “New Barbonia”: è una tendopoli che sorge in fondo a via Ripamonti, al Vigentino […] È un vero e proprio villaggio beat con una trentina di tende e una popolazione fluttuante di capelloni», Un villaggio di capelloni sulle rive del Vettabbia, in “Il Corriere della Sera”, 17 maggio 1967, p. 8; e ancora qualche giorno dopo, «“New Barbonia”, la tendopoli beat […] non è soltanto un villaggio di anonimi vagabondi, di zazzeruti filosofi dell’ultima anarchia, di neo barboni che hanno fatto dell’ozio un’abulica forma di religione. È anche un ricetto per quei giovanissimi sbandati che, scappando di casa, inseguono le chimeriche visioni di vita facile, con conseguenze quasi sempre amarissime», Incursione di genitori disperati tra i capelloni di “Nuova Barbonia”, in “Il Corriere della Sera”, 24 maggio 1967, p. 8; in un altro articolo, il giorno prima dello sgombero in occasione di un primo scontro con la polizia si riportava come fosse frequentato da «capelloni, neoninfette, provos e diseredati del genere», e si paragonava la reazione dei beat milanesi alla perquisizione delle forze dell’ordine a quella «brutale e pericolosa dei mods e dei rockers inglesi», Furibonda battaglia tra polizia e capelloni stanati dal villaggio beat di Nuova Barbonia, in “Corriere della Sera”, 11 giugno 1967, p. 8.

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I sette numeri della rivista “Mondo beat” sono stati ripubblicati in: Gianni De Martino, Marco Grispigni, I capelloni. Mondo beat, 1966-1967. Storia, immagini, documenti, Roma, DeriveApprodi, 1997, pp. 59-240; e successivamente in forma anastatica in un CD allegato a Capelloni & ninfette: Mondo beat, 1966-1967: storia, immagini, documenti, a cura di Gianni De Martino, Milano, Costa & Nolan, 2008.

4 mondo beat n 4 sesto della serie di 73 mondo beat n 4 sesto della serie di 7

gianni e mondo beat

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Gianni De Martino, Capelloni & Ninfette: Mondo Beat 1966-1967 – Storia, immagini, documenti, Prefazione di Matteo Guarnaccia, Introduzione di Marco Grispigni, Costa & Nolan, coll. Riscontri, Milano, 2008. ISBN 978-88-7437-087-0

capelloni   capelloni                                     I Capelloni. Mondo Beat 1966-1967, “in collaborazione con Marco Grispigni”, coll. “Derive e approdi”,Castelvecchi, Roma, 1997.

 

In ritardo rispetto agli USA, il movimento beat italiano sorse nella seconda metà degli anni Sessanta. Sulla contestazione controculturale dei beat si veda: Gianni De Martino e Marco Grispigni, a cura di, “I Capelloni. Mondo Beat, 1966–1967. Storia, immagini, documenti” (Roma: DeriveApprodi, 1997); Diego Giachetti, “Anni Sessanta comincia la danza. Giovani, capelloni, studenti ed estremisti negli anni della contestazione” (Pisa: BFS, 2002); Silvia Casilio, “Una generazione d’emergenza. L’Italia della controcultura£ (1965–1969) (Firenze: LeMonnier, 2013). Sui rapporti tra sinistra rivoluzionaria e beatnik si veda anche l’articolo di Gigi Effe [Giangiacomo Feltrinelli], “Lo sciopero è riuscito,” Mondo Beat 5 (luglio 1967). i capelloni feltrinelli

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“La violenza contro i capelloni può essere interpretata come una forma di punizione simbolica per avere oltrepassato la divisione tra i generi con l’appropriazione di un attributo di seduzione tradizionalmente considerato femminile. Inoltre, tali atti possono essere letti sia come una strategia per riaffermare l’ideale di mascolinità italiana in un periodo di ‘declino del virilismo’”. (Bellassai, S. 2011. L’invenzione della virilità: politica e immaginario maschile nell’Italia contemporanea. Roma: Carocci Editore).

sandro

Suggerimento di lettura: Cecilia Brioni, Shorn capelloni: hair and young masculinities in the Italian media, 1965–1967, Published online by Cambridge University Press: 17 June 2019 > Cfr. https://www.cambridge.org/…/49A6118DB9294E767DB850881E5…

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 Catalogo di Ignazio Maria Gallino


 

Gli Hippies
a Milano – leggi l’intervista di Radio Popolare

Documentario della serie Storia proibita del Sessantotto sulle trasformazioni del costume e la nascita della controcultura in Italia con la partecipazione di Marta Boneschi, Gianni Boncompagni, Maurizio Vandelli, Matteo Guarnaccia, Angelo Quattrocchi, Pablo Echaurren, Gianni Di Martino, Marcello Flores, Luigi De Marchi, Marilena Moretti, Giordano Casiraghi -regia di Daniele Ongaro programma di Davide Savelli. >Documentario della serie Storia proibita del Sessantotto sulle trasformazioni del costume e la nascita della controcultura in Italia con la partecipazione di Marta Boneschi, Gianni Boncompagni, Maurizio Vandelli, Matteo Guarnaccia, Angelo Quattrocchi, Pablo Echaurren, Gianni Di Martino, Marcello Flores, Luigi De Marchi, Marilena Moretti, Giordano Casiraghi -regia di Daniele Ongaro programma di Davide Savelli.

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Un video d’epoca su Mondo Beat, della televisione svizzera del Canton Ticino andato in onda il 22 giugno 1967 nella trasmissione «Realtà 67».
L’autore di questo servizio è ignoto, le Teche RSI riportano solo i nomi dei produttori: Marco Blaser e Grytzko Mascioni.
https://lanostrastoria.ch/entries/56DXYyNX1Nm?fbclid=IwAR350dRNucz-IoEMSKsJRCYViCbfUnx1eDp6NQmG7NV30_KR-tb6CNIWNHU

Come favolosi fuochi d’artificio:

https://www.youtube.com/watch?v=0iZwooIOaBI


IL MANIFESTO

VENERDI 1 MAGGIO 1998

 

UN LIBRO SULLA STORIA DEI CAPELLONI IN ITALIA

UN PRIMO MAGGIO BEAT IN TENDA E SACCO A PELO


 

M O N D O  B E A T  1 9 6 6 – 1 9 6 7

ANTOLOGIA DELLA RIVISTA DEI C A P E L L O N I

LA VERA STORIA DELLA PRIMA RIVOLTA DI STILE DEL DOPOGUERRA

origini immagini e documenti, a cura di Gianni De Martino e Marco Grispigni

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MONDO BEAT.CRONOLOGIA 1965-1967

U N _T E N T A T I V O _D I _A M O R E

“Le voci istruttive esiliate… L’ingenuità fisica amaramente sedata. Adagio. Ah! L’egoismo infinito dell’adolescenza, l’ottimismo studioso: com’era pieno di fiori il mondo, quell’estate!”

(RIMBAUD, da Opere, a cura di Ivos Margoni,

Feltrinelli, Milano 1964)

1. GLI ANTEFATTI

1965. Sulla stampa s’incomincia a parlare dei beats italiani nell’agosto del 1965, quando compaiono a Roma e a Firenze i primi capelloni. Sono giovani americani, olandesi, inglesi, tedeschi e scandinavi che si fermano per qualche giorno nelle città italiane e si raccolgono sulle scalinate delle piazze dei centri storici. Indossano blue jeans e magliette colorate, e viaggiano per tutta l’Europa, animati da un desiderio d’incontro, d’amore e di avventura. Il loro motto è: ” Faccio l’amore non faccio la guerra”. I giovani incominciavano a riprendersi il proprio corpo, che prima

apparteneva alla famiglia, alla scuola, all’oratorio.

Novembre 1965 ( Roma). La foggia esteriore, i capelli lunghi, le decise affermazioni di pacifismo scatenano verso questi giovani accese parole di scherno. I giornali registrano i primi scontri con gruppi di soldati di leva e l’ironia grossolana della gente. Il primo incidente avviene a Roma a Piazza di Spagna, dove si viene alle mani, interviene la polizia e numerosi capelloni vengono rispediti nei paesi d’origine con i fogli di via. Fu allora che sulla terza pagina del “Corriere della Sera” del 5 novembre, apparve un inquietante articolo di Paolo Bugialli su ” I capelloni e l’ordine pubblico”.

Scrive Bugialli: ” I capelloni, come li chiamano qui a Roma, sono quei tipi di apparente sesso maschile, che portano i capelli lunghi come le donne… secondo una moda mutuata dai Beatles… che l’Inghilterra, anziché premiare come recentemente ha fatto, avrebbe dovuto, per rispetto alla propria reputazione, esiliare in Patagonia… Essi dicono, esprimono il tormento della generazione della Bomba e bisognerebbe buttargliela… E’ qualche tempo che infestano la scalinata di Trinità dei Monti, ma solo recentemente la loro presenza è stata segnatata dai giornali… Le autorità hanno detto che d’ora in avanti verrà esercitata una stretta sorveglianza sulla scalinata, che verrà dato ordine alle frontiere perché si stia attenti a chi entra in Italia. Giusto: come non si entra in India senza farsi l’iniezione contro il colera, come non si va nel Congo senza la vaccinazione contro la febbre gialla, così non si entra in Italia con i capelli lunghi: siamo in casa nostra, abbiamo il diritto di ricevere gli ospiti che vogliamo, e questi non li vogliamo…”.

Nello stesso tempo numerosi articoli registrano la nascita della moda dei capelli lunghi anche in Italia, attribuendole un’origine soprattutto imitativa. In realtà, inizialmente, ancor prima di ritrovare nella lotta pacifista uno dei loro temi favoriti, anche una minuscola maggioranza di ragazzi italiani si lasciavano crescere i capelli solo perché gli “altri”, gli adulti, li portavano corti. In un clima abbastanza provinciale di inebriato ” boom economico”, di confuso centro-sinistra e di strutture autoritarie, era un modo per dimostrare in famiglia, a scuola, nelle fabbriche e negli uffici che tendevano a livellarli, che essi “non erano d’accordo”.

2. I FATTI

12 ottobre 1966 ( Milano). Due ragazzi minorenni tedeschi, due svizzeri, un francese e tredici fra ragazze e ragazzi italiani che si erano incontrati alla Loggia dei Mercanti a Milano, vengono arrestati dalla Buoncostume per aver scritto sui muri slogan pacifisti. Il giorno dopo il “Corriere”, nel dare la notizia del rastrellamento di “diciannove zazzeruti accampati sotto la Loggia dei Mercanti”, registra anche il fermo all’aeroporto di Linate , la sera del 12 ottobre, di altro “capelluto e barbuto personaggio”. Si tratta del trentenne Vittorio Di Russo, di Fondi in provincia di Latina, di professione scultore, che aveva vissuto in diversi paesi d’Europa ed era animatore del movimento provo di Amsterdam, espulso dalle autorità olandesi perché straniero con il visto di soggiorno scaduto. Al consolato italiano di Amsterdam, dove egli si era recato, i funzionari gli avevano detto di non poterci fare nulla, e allora, contrariato, in un momento d’ira Di Russo aveva strappato il passaporto, dichiarandosi “cittadino del mondo”. All’arrivo a Linate, accompagnato da due poliziotti olandesi, c’erano ad attenderlo due poliziotti italiani che l’avevano condotto in questura e malmenato. Il “Corriere” del 13 ottobre s’inventa la storia del passaporto stracciato “in aereo” e lo definisce, tra l’altro, il “barbuto volante”.

13 ottobre 1966 ( Milano). Vittorio Di Russo è a Piazza Duomo attorniato da decine di capelloni. Molti gli si avvicinano, gli parlano della situazione a Milano e di Umberto Tiboni, un perito industriale di 25 anni, che mette a disposizione dei ragazzi un appartamento da lui affittato a Cinisello Balsamo, la cosiddetta ” casa del Beatnik”. In piazza c’è anche Melchiorre Gerbino, un ventisettenne di Calatafimi, che aveva conosciuto Di Russo a Stoccolma cinque anni prima. Sposato con una svedese, Gunilla Unger, Gerbino era ritornato a Calatafimi a far conoscere la moglie e il figlio piccolo ai genitori, e poi si era fermato a Milano dove Gunilla aveva trovato lavoro come interprete presso uno studio legale. Gerbino incontra Di Russo, che da quel giorno diventerà suo ospite.

15 ottobre 1966 ( Milano). Di Russo, Gerbino, Tiboni, Gennaro De Miranda ( un napoletano di 33-35 anni, buddhista, che viveva a Cinisello Balsamo nella Casa del Beatnik di Tiboni), Renzo Freschi ( uno studente che frequenta la prima liceo classico), e un professore di storia e filosofia di 25 anni ( un certo S. che esce subito dal gruppo perché filosofeggia e non ha capito nulla della realtà che in pratica vivono i beats) s’incontrano in via Pontaccio, alla “Grota Piemuntesa”, dove s’incomicia a parlare della fondazione di un “Movimento pacifista”, sul modello di quello di Lord Russel in Inghilterra e del Mahatma Gandhi in India. I loro discorsi, da prima generici, evolvono probabilmente attraverso il ricordo dell’esperienza di Vittorio Di Russo tra i provos e la rievocazione del periodo svedese di Melchiorre ” Paolo” Gerbino. Ci si rivolgerà sia ai giovani non conformisti sia agli studenti, e si adotteranno le metodologie dei provo olandesi. Da questi primi dialoghi e da una verifica con la base, si è formata così l’ideologia del movimento, che però – ci tengono a sottolinearlo – viene dopo le esperiense esistenziali e le pratiche di vita, ne costituisce anzi un ripensamento. Gerbino parla di un “movimento pacifista globale” che porti – dice – ” la gioventù italiana in Europa”; e aggiunge che, a differenza degli altri gruppi che manifestano contro la guerra, ” per noi il Viet-nam è in Italia”. Intendendo, con quel “noi”, il disagio, il disadattamento e la dissidenza di sempre più numerosi giovani italiani sul punto di rivoltarsi contro il provincialismo e l’autoritarismo della società del tempo. Soprattutto Di Russo insiste nel voler dare al movimento non-violento il nome di ” Movimento Beat”. Qualcuno suggerisce ” Mondo”, e così nasce ufficialmente il ” Movimento Mondo Beat”. Si parlò anche di un ciclostilato, ” Mondo Beat”, che Tiboni avrebbe finanziato, in qualità di amministratore e tesoriere del gruppo che si formava sulla base di una comune consapevolezza della propria indignazione esistenziale, del proprio disadattamento e dissidenza, pur nella diversità delle situazioni individuali.

archivio pinelli

29 ottobre 1966 ( Milano). Vittorio Di Russo continua a frequentare Piazza del Duomo e la stazione del metrò di Cordusio, dove fra gruppi di pensionati, disoccupati, curiosi, agitatori politici, artisti, catalizza attorno a sé numerosi capelloni. Il capannello formato da Di Russo e da sempre più numerosi giovani che si spostano nelle vie del centro storico, viene tallonato dai carabinieri e la polizia segue Di Russo passo passo. Il 30 ottobre il proprietario del bar della stazione metropolitana di Cordusio si rifiuta di servire il caffè ai capelloni e polizia e fotografi intervengono a più riprese. Quel pomeriggio viene arrestato ed espulso Manfred, di 21 anni, un ragazzo viennese diretto in Spagna, che si era fermato a parlare con i capelloni nel bar della stazione della metropolitana di Cordusio.

3 novembre 1966 ( MILANO). Vittorio Di Russo viene arrestato a Piazza Duomo nella notte e, condotto in questura, dopo essere stato malmenato gli viene “contestata” una diffida dal soggiornare a Milano e un foglio di via per Fondi, in provincia di Latina. Di Russo resta invece a Milano clandestinamente ( da dove invia il testo di Ivo della Savia sull’obiezione di coscienza che apparirà nel primo numero zero di ” Mondo Beat”); e sviluppa una leggera forma di paranoia, soprattutto nei confronti di Gerbino, che nel frattempo viene assunto come telefonista dall’Alitalia, all’aeroporto di Linate, tramite l’interessamento di un avvocato siculo-americano, amico di famiglia.

12 novembre 1966 ( Milano). Gennaro De Miranda, Umberto Tiboni, Gunilla Unger, Tella, Melchiorre Gerbino e altri ragazzi e ragazze del giro dei capelloni stampano a ciclostile il primo numero zero di ” Mondo Beat”, nella sezione anarchica Sacco e Vanzetti di via Murillo, con l’assistenza di Pino Pinelli che spiega come inchiostrare le matrici e mette a disposizione risme di carta da ciclostile. Due giorni dopo le copie del giornale, circa 800, vengono date ai ragazzi del Duomo e di Cordusio, che le vendono per le vie di Milano o le diffondono, durante i loro viaggi nelle altre città, prelevando per sé 25 lire e portando le restanti 75 lire, sulle 100 del prezzo di copertina, alla redazione – che resta mobile, localizzata a Piazza Duomo, ” sotto la statua equestre di Vittorio Emanuele”, che i ragazzi chiamano: ” la statua del pirla a cavallo”.

1 Mondo Beat n 02 Mondo-Beat n 00

27 novembre 1966 ( Milano). Dopo una serie di piccole manifestazioni i capelloni scendono con cartelli e manifesti in piazza a Milano, protestando contro il militarismo. I cartelli ironicamente dicono: ” SSST! NON TURBATE L’ORDINE PUBBLICO – NON SVEGLIATE LE COSCIENZE”. Alcuni si ammanettano alle catenelle che delimitano i marciapiedi di piazza San Babila. Vengono fermati dalla polizia e denunciati venti giovani. Il giorno prima, il 26 novembre, Di Russo era stato intanto condannato dal Tribunale a un mese d’arresto per contravvenzione alla diffida e al foglio di via. Il numero 2 di “Mondo Beat”, che uscirà alla fine di dicembre, porterà in copertina l’immagine di Vittorio Di Russo incarcerato a San Vittore.

18 dicembre 1966 ( Milano). Nel frattempo, durante la “manifestazione delle manette”, si sono stabiliti contatti con i “provo” che gravitano attorno alla sezione anarchica Sacco e Vanzetti e con “Onda verde”, il gruppo costituito, fra gli altri, da Marco Maria Sigiani. Pilati, Sanguinetti e Andrea Valcarenghi circa un mese prima: un gruppo ispirato a “Green Wave”, il movimento pacifista americano che gravita attorno a Joan Baez. L’alleanza stabilita da “Mondo Beat” con questi gruppi consente di organizzare la manifestazione del pomeriggio del 18 dicembre, durante la quale centinaia di giovani, fra cui numerosi studenti, chiedono di entrare a braccia alzate in ironico segno di resa nella questura di via Fatebenefratelli, dichiarando di volere armare la polizia con un fiore. Vengono caricati dagli agenti e si registrano cinquanta fermi di ragazzi e ragazze. La gentile rivoluzione del ’66 fa sorridere i benpensanti, ma più spesso li irrita. I giornali parlano di ” capelloni contro il militarismo”, e denunciano ” una vera epidemia di fuggiaschi beat”.

1 Beat e provo sezione anarchica Sacco e Vanzetti

26 dicembre 1966 ( Milano). Dopo tre giorni di lavori si conclude al circolo “Sacchi e Vanzetti” di Milano la conferenza europea della gioventù anarchica. In serata, un corteo preceduto da alcuni giovani che portano a spalla una garrota – il barbaro strumento di morte in uso nel regime franchista – si dirige davanti al consolato spagnolo. Disperso dalla polizia il corteo si scioglie e i giovani vanno a Piazza del Duomo, qui vengono arrestati due capelloni olandesi e una ragazza svedese per “manifestazione non autorizzata”.

12 gennaio 1967 ( Milano). Umberto Tiboni e Walter Pagliero, un giornalista di “Ciao Amici” che frequenta i giovani capelloni, hanno adocchiato fin da dicembre un locale in Via Vicenza, angolo Viale Montenero 73, nei pressi di piazza Cinque Giornate. Sono due locali pian terreno con ampie vetrate e una cantina di circa 100 metri quadri, che a Gerbino ricorderà subito le “cave” di Stoccolma, dove ai primi inizi degli anni Sessanta egli ha vissuto gli ultimi sprazzi dell’esistenzialismo. Viene stipulato un contratto a nome di Umberto Tiboni, che versa 175.000 lire per tre mesi di affitto anticipato. Intanto il 22 gennaio Vittorio Di Russo lascia Milano insieme alla moglie Rosa e con il passar del tempo di lui si perderanno le tracce. Eccetto, forse, una poesia ritrovata fra quelle inviate a Fernanda Pivano, che alla fine del 1967 darà vita alla rivista “Pianeta fresco”. La poesia di Vittorio Di Russo, per come chi scrive se la ricorda, dovrebbe essere questa: ” Sono seduto ai piedi della statua equestre/ c’è un melone di fuoco/ sospeso sul Duomo/ e le pietre sudano sangue/ SANGUE di Cristo./ Tutt’intorno c’è gente che parla, grida/ e c’è chi canta e gratta la chitarra/ cataste di sacchi a pelo e cianfrusaglie varie./ Vittorio…Vittorio… Vittorio!/ Alzo gli occhi sulla guglia/ e vedo Buddha in gabbia.”

24 febbraio 1967 ( Milano). Vengono stampate le quattromila copie del terzo numero di ” Mondo Beat”, datato 1 marzo 1967. Sulla copertina figura un collage di fogli di via e diffide collezionate nel frattempo da sempre più numerosi ragazzi e ragazze che arrivano a Milano, spesso dal meridione, con zaini, chitarre e sacchi a pelo. Sarà il n. 1 della nuova serie autorizzata dal Tribunale di Milano, tramite l’iscrizione di Gerbino all’Elenco speciale. In febbraio Gerbino si dimette dal posto d’impiegato all’Alitalia che s’era procurato due mesi prima; e di fatto, mentre il “movimento” continua a crescere, ne assume la leadership, mentre Unberto Tiboni tesse i rapporti fra Mondo Beat e i ragazzi scappati di casa, i ragazzi provo e i ragazzi di Onda Verde. Il risultato è un manifesto unitario rivolto agli studenti, firmato “beat, provos e Onda verde” che esce nel numero 1 del giornale: ” NON FATE BEEEE! VESTIAMO DI BIANCO UNA CITTA’ NERA. NOI NON ABBIAMO IDEOLOGIE/ABBIAMO METODI”. Questo numero 1 verrà sequestrato a causa dell’articolo di Renzo Freschi, dal titolo ” La squola la squola la squola”, perché considerato “di contenuto contrario al buon costume”, a causa specialmente della frase: ” E io vado a casa e mi masturbo, ma l’orgasmo non viene perché sono affetto da impotenza sociale scolastica”. Il sequestro è disposto dalla Procura della Repubblica di Milano, e a darne l’annuncio è, tra gli altri giornali, ” L’Osservatore Romano” del 2 maggio 1967. Nello stesso n. 1 di “Mondo Beat”, intanto, il P.M. Antonio Scopelliti ravviserà anche un reato perseguibile penalmente, quello per “offesa alla pubblica decenza”; e il processo contro il direttore responsabile Melchiorre Gerbino e l’autore dell’articolo Renzo Freschi viene fissato per il 22 gennaio 1968.

4 marzo 1967 ( Milano). Redattori, studenti e sostenitori di ” Mondo Beat” iniziano uno sciopero della fame, nei locali di Viale Montenero, per protestare contro i fermi e gli arresti dei giovani che vendono il giornale per le vie di Milano e un po’ ovunque in Italia. I giornali del 5 marzo titolano: ” Capelloni protestano digiunando in uno scantinato”; ” Sciopero della fame dei beats milanesi chiusi in una cantina”.

6 marzo 1967 ( Milano, al mattino). Lo sciopero della fame continua. Il 7 marzo di giornali titolano: ” I beat di Milano non si arrendono”. Intanto si annunciano sfilate e manifestazioni contro il divieto di vendita del giornale e contro i fogli di via.

6 marzo 1967 ( Milano, di sera). Viene annunciata la fine dello sciopero della fame durato tre giorni, e che ha avuto grande risonanza anche all’estero. A piccoli gruppi, fin dalle sei di sera, i giovani sbucano al centro della città, si radunano e si prendono per mano, poi si dirigono a ventaglio verso via Montenapoleone, piazza del Duomo, Corso Matteotti. Qui circa duecento giovani si siedono sulla strada . E’ stata scelta l’ora del ritorno dagli uffici, per cui il traffico si blocca e gli automibilisti incominciano a suonare i clacson. Vengono inalberati cartelli e scritte come ” Basta con i fogli di via”, ” Non schedate le nostre coscienze”, ” Meno santi più preservativi”. E dalla gente che fa ala si sente gridare: ” andate a lavorare!”, ” ci vuole la frusta, barbona!”, e vola anche qualche schiaffo. Aggirati e sorpresi alle spalle, quelli che si sono sdraiati sulla strada vengono caricati improvvisamente e senza squilli di tromba dalla polizia. Alla fine, dopo la carica del “battaglione Padova” contro i capelloni stesi a terra, tre ragazzi finiscono contusi all’ospedale e quarantatrè verranno portati in questura e denunciati. “L’Unità” del giorno dopo, 7 marzo, forse memore del trattamento analogo riservato nel frattempo anche agli operai che scioperano per motivi sindacali, titola: ” Selvaggia aggressione poliziesca contro giovani beat di Milano”. Nei giorni successivi sui vetri della redazione di “Mondo Beat” in via Vicenza, apparirà lo slogan: ” Con una manganellata o un foglio di via non si uccide un’idea”.

11 marzo 1967 ( Milano). La redazione di “Mondo Beat” inizia un altro sciopero della fame, rivolto contro i metodi usati dalla polizia. E viene iniziata la fase detta della “Manifestazione permanente”. Durante tutta la seconda metà del mese di marzo si moltiplicano singolari forme di protesta, come quelle di capelloni isolati o a piccoli gruppi, che o se ne stanno sdraiati con ostentazione in mezzo alla strada, oppure percorrono la città inalberando cartelli tipo: ” ALLONTANATEVI! Sono un pericolo. La questura vuole diffidare la mia coscienza di uomo libero”. E’ così che, fra gli altri, verranno imbarcati e portati in questura, Alfio Lagosta detto ” Giuda”, Ronni, Albert, Pasticca, Cristo e Morgan. I giovani di “Onda verde”, intanto, incominciano a passeggiare per le vie di Milano con impermeabili trasparenti con scritte provocatorie, tipo ” Il presidente Moro è carino e fa abbastanza bene alla salute”, ” W la mamma” ( a Brera, commentando con alcuni giovani provo e beat gli slogan della cosiddetta Manifestazione permanente, Umberto Eco, tra un bicchiere di whisky e l’altro, suggerisce lo slogan: ” La mamma fa venire il cancro”).

15 marzo 1967 ( Milano). Esce il numero 2 ( quarto numero) di “Mondo Beat”. Stampato in settemila copia, ha sull’ultima pagina di copertina un collage di vecchie scene contadine, con un pretino che cerca di non far volar via il suo cappello ( disegnato da Giò Tavaglione) e la scritta: ” L’Italia dei nostri padri se ne va. ITALIA ADDIO !”. Nello stesso tempo, nel numero 3 de ” Il Giornalismo”, l’Organo Ufficiale dell’Associazione Lombarda Giornalisti e del Circolo della Stampa di Milano, appare il testo del discorso del presidente Carlo De Martino, all’assemblea dell’Ordine. Carlo De Martino parla di una “svista” a proposito dell’iscrizione di ” Mondo Beat” nell’elenco speciale. Viene ricordato il caso della “Zanzara” e si ammette il diritto dei giovani a farsi un giornale. Si aggiunge, con imbarazzo, che però si pensava che ” Mondo Beat” fosse un “organo studentesco”, per cui “abbiamo rilasciato un certificato”, e ” poi invece non lo era; ed era invece l’organo, diciamo così, di strani giovani capelloni che si riunivano in una strana cantina. Poi sono stati fermati, è stata fatta una retata, e allora siamo intervenuti presso quel giornale che ora sta regolarizzando la propria posizione. Questo per dirvi la delicatezza del nostro compito…”.

20 marzo 1967 ( Firenze). Gianni De Martino, 20 anni, di Castellammare di Stabia, dov’è stato fino all’anno prima segretario della FGCI, carica dalla quale si è dimesso perché in dissenso con la linea non abbastanza radicale del partito, è a piazza della Signoria dove tra i giovani capelloni circolano alcune copie del numero 2 di “Mondo Beat”. Sta per raggiungere Torino, dove si è iscritto a un corso di storia del teatro e vive con Nella in una mansarda dalle parti di piazza Gran Madre; ma improvvisamente, dopo la lettura di ” Mondo Beat”, decide di partire per Milano. Dove arriva il 21 marzo, in autostop, in compagnia di Adriano, un compagno di Trento incontrato sulla strada. Anche Adriano dice di essere uno studente “in crisi”, e durante il viaggio si parla della nausea che entrambi provano per un far politica senza interrogarsi troppo sui fini, sui bisogni personali, sui desideri sepolti sotto la routine della militanza.

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Gianni nella redazione di Mondo Beat

27 marzo 1967 ( Milano). Iniziano i primi arresti per uso di ashish portato da qualche ragazzo che intanto è stato in Marocco, in India o in Turchia. I giornali titolano: ” Anche i nostri beats si danno al consumo dell’ascisc”; e parlano di “un florido commercio di droga”. Nel “Corriere della Sera” del 28.3.1967 si legge la notizia dell’arresto di Ezio Ghidini (nato a Milano) e di Gianni Scarpelli, del gruppo hippi dei ” Palumbo”, per avere acquistato 12.OOO lire di fumo. Si parla di “un piccolo stock di narcotico”, quando si sa o si dovrebbe sapere che l’ashish non è un narcotico; e si rincara la dose di disinformazione parlando di traffico di “ascisc-beat importato da Istanbul”. Di fatto, ciò che fin da allora era intollerabile delle droghe allucinogene ( o meglio “lucidogene” o ” enteogeniche” come si dirà poi) era non la dipendenza o l’intossicazione. Molti idoli della gioventù difendevano il valore del “viaggio” e si dichiaravano favorevoli alla psichedelia. Ma come disse quell’anno Octavio Paz, in Corrente alternata ( 1967): ” Le autorità non si comportano verso di esse come se volessero sdradicare un vizio dannoso, ma come chi cerca di sdradicare una dissidenza. Ciò che sviluppano è zelo ideologico; stanno punendo un’eresia, non un crimine.”

2 aprile 1967 ( Milano). I capelloni formano un corteo, con a capo Melchiorre Gerbino che regge “una petizione”, preparata dagli avvocati Carlo Garlatti e Alessandro Invernizzi, da portare al Palazzo di Giustizia di Milano. A Gerbino fanno ala circa duecento giovani, fra i quali spiccano Ricky, Ombra, Pasticca e Zafferano, che per l’occasione vestono un po’ ” yè yè” e appaiono puliti e ben pettinati. Nel documento, presentato alla segreteria della Procura in forma di regolare “esposto”, si chiedono le garanzie di legge per l’ “integrità personale” contro “le ingiustificate incursioni della pubblica sicurezza e i ripetuti interrogatori”; e altresì ” la sospensione dei fermi e dei fogli di via a cittadini che non hanno mai commesso o hanno intenzione di commettere infrazioni alla legge”. Una copia di questa specie di “abeas corpus beat formula 1967” viene inviata anche ai ministeri di grazia e giustizia e degli interni, nonché all’assessorato di polizia urbana. Nel mese di aprile si diffonde anche la voce che Gerbino si recherà a Roma, a parlare con un ministro in carica del Partito repubblicano, al quale chiederà la testa di qualche funzionario della questura di Milano. E pare anche che ci sia stato un incontro “privato” fra Gerbino e il dottor Saccardo, della questura di Milano, che assicura, sornionamente, che non diffiderà più i ragazzi di “Mondo Beat”. Fatto sta che l’8 aprile la questura autorizza una manifestazione che, scortata da funzionari di polizia in borghese, parte da piazzale 5 Giornate e raggiunge piazza Castello dove si scioglie pacificamente. Durante il corteo, vengono portati cartelli con le scritte: ” I capelli lunghi non sono anticostituzionali”, ” Meglio un beat oggi che un soldato domani”, ” Non schedate le nostre coscienze”.

10 aprile 1967 ( Milano). La pubblicità data dai giornali e dalla televisione alle “fughe dei minorenni” e alle azioni di ” Mondo Beat” contribuisce all’afflusso in via Vicenza di numerosi giovani italiani e stranieri, che gremiscono “la cava” e sostano sul marciapede antistante con i loro zaini e i sacchi a pelo. Gianni De Martino incontra Gerbino sulle scale che portano alla “cava”, e gli parla del giornale, dice di avere avuta qualche esperienza con il giornale del liceo, suggerisce qualche miglioramento. Subito, fra la sorpresa generale, Gerbino lo nomina ” redattore-capo” sul campo, affidandogli di fatto la responsabilità di “fare il giornale”, aggiungendo: ” Sai, io adesso dovrò occuparmi della piazza!”. A Roma, intanto, Humphrey viene accolto – come già Wilson e Podgorni – dal lancio dei pomodori dei provos; e a Pinky, animatore di Roma 1, viene contestato il foglio di via per Ferrara.

20 aprile 1967 ( Milano). Esce il numero 3 ( il quinto) di “Mondo Beat”. Se ne stampano ottomila copie, con in prima pagina una foto del corteo autorizzato del 2 aprile e un articolo non firmato, ma scritto da Gerbino, contro il “Corriere della Sera”, definito ” uno degli strumenti più agghiaccianti di disinformazione, di diseducazione civica e di distorsione della verità di cui certa élite si serve per reggersi e per reggere le strutture della società amorale nella quale viviamo”.

Nel frattempo, visto l’afflusso di giovani sempre più numerosi alla cava di via Vicenza, nasce l’idea di creare un campeggio. Viene incaricato un autentico barbone milanese, Dante “Palla”, che con la sua conoscenza della città, si mette alla ricerca del posto adatto e segnala un campo nei pressi della Roggia Vettabbia, in via Ripamonti, collegato al centro con la linea del tram 24.

3 mondo beat n 4 sesto della serie di 75 Mondo beat 4 sesto serie di 7

23 aprile 1967 ( Milano). Gerbino, Tiboni, Dante detto ” Palla” e Enrico Boetti detto “Briciola”, che firmerà il contratto d’affitto, si presentano dal contadino, proprietario del terreno di via Ripamonti. Gli dicono di essere gli agenti di un certo padre Frescobaldi, interessato al terreno per installarvi una tendopoli estiva per i suoi boy scouts. Il solido contadino padano, dopo essersi consultato con i suoi due figli presenti all’incontro, accetta di stipulare un contratto per quattro mesi, con scadenza il 31 agosto, per la somma complessiva, anticipata, di lire 140.000.

26 aprile 1967 (Milano). Dimostrazione contro la dittatura dei colonnelli in Grecia. Una nota AIGA riferisce che esistono direttive del governo di centro-sinistra volti a ottenere la repressione, anche violenta, dei gruppi pacifisti.

1 Maggio 1967 ( Milano, periferia). Mentre in città si festeggia la festa dei lavoratori, una cinquantina fra ragazzi e ragazze, lontani dallo smog e dalla confusione cittadina, prendono il sole sull’erba del prato dove sorge la tendopoli che il “Corriere della Sera” chiamerà subito ” Nuova Barbonia”.

Nei giorni successivi, utilizzando il materiale raccolto da Livio Cafici, da Adriano e da Gerbino, e cestinando tutti i testi proposti dai “collaboratori esterni” Silla Ferradini e Tito Livio Ricci, un poeta che si definiva “anarchico di destra”, Gianni De Martino prepara il numero 4 di “Mondo Beat” ( il sesto) al tavolo di una latteria di via Ripamonti, nei pressi del campeggio dove occupa la piccola tenda di Adriano. Gianni De Martino suggerisce a Gerbino di scrivere sulla propria giacca a vento: ” Il Corriere della Sera dice le bugie”, e di tenere sempre bene in vista la scritta durante le interviste dei giornalisti e della televisione, che fece un servizio su ” Mondo Beat”, con interviste filmate alla “cava”, ma non lo mandò mai in onda.

13 maggio 1967 ( Milano). Contemporaneamente, nel ” Corriere della Sera”, ” La Notte” e ” Il Corriere d’Informazione” appare la notizia che un diciassettenne di nome Fabio Bertolini, definito ” capellone”, ricercato per aver abusato di due cuginette di Sesto San Giovanni, che l’avevano seguito a Roma, dove erano state violentate da “numerosi giovani”, era stato finalmente arrestato. E si aggiunge anche, falsamente, che ” il Bertolini si era rifugiato nel campeggio Vigentino, dove si riuniscono solitamente molti capelloni”.

17 maggio 1967. Il “Corriere della Sera” pubblica un articolo sul campeggio definito ” New Barbonia”, abitato da “zazzeruti e anarcoidi senza famiglia”, dove viene, fra l’altro, ripetuta la falsa notizia dell’arresto di “uno dei due capelloni che irretì le ragazze di Sesto San Giovanni portandole a Roma, con l’epilogo ben noto: le due ingenue adolescenti furono sottoposte a violenza da numerosissimi uomini”. Da allora sulle vetrine della redazione di ” Mondo Beat” in via Vicenza, vi sono slogan contro il ” Corriere della Sera”, definito ” quotidiano parto di disinformazione”: e, insieme alla scritta, campeggia un fiocco di carta igienica macchiata di cioccolata, a suggerire qualcosa di tremendo e di maleodorante come lo sono, appunto, le calunnie e le bugie diffuse dalla stampa, le cosiddette “notizie del diavolo”.

Durante il restante mese di maggio 1967, su quasi tutta la stampa italiana, tutti gli episodi di cronaca nera riguardanti individui con meno di trent’anni vengono invariabilmente ascritti ai “capelloni”. Fra i numerosissimi episodi di violenza attribuiti ai capelloni, c’è, per esempio, il ferimento con una carabina di una ragazza a Monza, da parte di un ex detenuto, definito come facente parte di una “banda di capelloni”. Sul “Corriere d’Informazione” appare la foto di costui, ma ha i capelli corti. E la didascalia dice: ” Salvatore Rosolino con i capelli corti”. Come mai ? Ebbene, si legge nell’occhiello dell’articolo: ” Lo sparatore si è tagliato i capelli ed è fuggito su un’auto rubata”.

31 Maggio 1967 ( Milano). Esce il numero 4 di “Mondo Beat”. Ne vengono stampate sedicimila copie, quasi tutte diffuse dai giovani a Milano e in altre città italiane. Il numero 4 ( sesto) di “Mondo Beat” contiene il manifesto di Giò Tavaglione, riprodotto a fascicoli alterni ( per cui alcuni esemplari della rivista hanno una parte del manifesto ed altri hanno un’altra parte). I fogli sono di diversi colori, e si aprono in due diverse direzioni.

3 giugno 1967. Al campeggio, durante l’ultima settimana di maggio, è arrivato un biondino con un sacco di plastica pieno di vestiti: è un giovanotto inviato clandestinamente dal quotidiano ” La Notte”. Va a dormire un po’ in una tenda, un po’ in un’altra. Una notte è anche ospite nella tenda di Gianni De Martino e di Adriano. Il racconto, abbastanza fantasioso, del suo soggiorno ” fra questi giovani strani e queste libere, sfrenate ragazzine scappate di casa”, viene pubblicato a puntate da ” La Notte” a partire dal 30 maggio e termina il 3 giugno. Il feuilletton tiene sospesi i lettori giorno dopo giorno, e comincia con ” I bacetti delle bambine” e finisce con ” Torno a lavorare”, passando per ” La donna facile”, “Dormire in quattro?”, “Dimenticano ogni morale”, “Noi suonavamo, lei si spogliava”, ” Un urlo straziante”.

L’ultimo servizio, quello del 3 giugno, ha per titolo: ” A Barbonia City c’è la libertà d’imparare tutti i peggiori vizi: si diventa facilmente omosessuali e ogni tanto arriva la droga”. In realtà non arrivava proprio niente, anche perché una delle regole del campeggio, proprio per evitare appigli alla polizia, era di non portare né erba né ashish, ma di fumarla fuori, lontano dal campo, in un ambiente più rilassato, a casa di amici. Quanto all’omosessualità, si era in una situazione pre-omosessuale militante. In Italia con era ancora nato il F.U.O.R.I. ( Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano), né i C.O.M. ( Comitati omosessuali milanesi), né Mario Mieli aveva ancora scritto ” La Traviata norma”. Erano i tempi del “caso Braibanti” e nessuno avrebbe mai osato mostrare il proprio culo per la Rivoluzione. Insomma, quelli non erano, perlomeno in Italia, i tempi del coming out, per cui fra i ragazzi borghesi e soprattutto piccolo borghesi la “cosa” era molto velata e gli amanti si tenevano ancora negli armadi. Mentre invece tra i giovani sottoproletari, soprattutto in quelli del Sud, era diffusa una tipica forma di bisessualità che non aveva nome. Insomma, se al buio sotto una tenda invece della mano del compagno accaldato e con la cintura slacciata s’incontrava un culo, non è che si stesse tanto a meditare sui misteri del buio ! Qualcosa del genere dovette succedere anche a Guido Pfeiffer, questo era il nome del biondino mandato dal giornale. Chi scrive, Gianni De Martino, per averlo avuto ospite suo e di Adriano nella propria tenda per una notte, può assicurare di ricordare molto bene che quella notte il biondino non disse proprio di no. A meno che non si sia sacrificato per il giornalismo, egli lo diede con semplice spontaneità. E, apparentemente, con lo stesso trasporto con il quale poi alcuni militanti con le braghette rosse lo diedero ben volentieri per la Rivoluzione ( quella sessuale, si capisce), scontrandosi con i soliti panni cacati dell’Edipo e dell’ordine sociale. Mentre l’amore, che è ben oltre il giochetto binario dell’ordine e della trasgressione, restava un continente ancora tutto da scoprire.

fauna locale10 giugno 1967. Una madre, Emma Giovannini, arriva con la polizia, chiamata nel timore che il figlio Maurizio, che già era stato ospite del campo, ma poi era rientrato a casa, ed ora vi si trovava per recuperare il sacco, si rifiutasse di seguirla. Battaglia nella tendopoli, quarantacinque fermi e quindici arresti. I giornali “indipendenti” giubilano. Ne ” Il Giorno” del 16.6.1967, sotto il titolo ” Feriti sette agenti – Sedici giovani arrestati” si legge: ” C’era da scommetterci che sarebbe successo, prima o poi. Recentemente tutta una serie di ‘sintomi’ lasciavano facilmente capire che ci sarebbe stata battaglia”.

gianni_de_martino_campeggio 12 giugno 1967 ( Milano, all’alba). La polizia fa irruzione al campeggio e lo rade letteralmente al suolo, assistita dal S.I.D. ( Servizio Immondizie domestiche del Comune di Milano). Nella foto, pubblicata dal quotidiano Il Giorno, Gianni De Martino viene fermato dalla polizia e condotto in questura, in via  Fatebenefratelli, dove gli verrà contestato il Foglio di Via… All’arrivo degli agenti gli abitanti dei vicini condomini di via Ripamonti e di piazzale Bologna gridano: ” Bravi, distruggete il porcaio!”, ” Bruciateli vivi!”. E durante tutto il giorno e nei giorni successivi si scatena la caccia al capellone in tutta la città.

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16 giugno 1966 ( Milano). Alcuni giovani di ” Onda verde” entrano nella sede del Corriere della Sera, in via Solferino, e distribuiscono il “Decalogo del Buon Giornale”.

16 giugno ( Cosenza). Andrea Valcarenghi si presenta in caserma e rifiuta la divisa ( la sua dichiarazione uscirà nel numero 5 – il settimo – di ” Mondo Beat”, curato da Gianni De Martino e da Livio Cafici, con gli auspici di Giangiacomo Feltrinelli).

5 luglio 1967 ( Roma). Alle 11 del mattino arriva Allen Ginsberg, che parteciperà il giorno dopo a Spoleto al reading di Giuseppe Ungaretti, che per l’occasione regala al poeta americano un pelo del suo pube. Ginsberg dopo aver passato il 9 luglio una serata e mezza nottata al commissariato di Spoleto ( perché un maresciallo di P.S. aveva segnalato ai superiori i versi letti dal poeta: ” all’uccello, piacere preso in bocca e in culo, piacere ricambiato fino all’ultimo respiro” ),venne poi a Milano, a casa di Fernanda Pivano in via Mamzoni e al bar Giamaica di Brera. Fu allora che, commentando i fatti di Nuova Barbonia, il poeta americano disse che i beat italiani gli facevano “molta tenerezza”.

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31 luglio 1967 ( Milano). Esce il numero 5 di “Mondo Beat”, il settimo. E anche l’ultimo, perché pochi giorni prima di partire per il Marocco ( via Tunisia e Algeria, in treno, insieme alla moglie Gunilla, al figlioletto di tre anni Nino e a Gianni De Martino), il 21 ottobre 1967 Melchiorre Gerbino vendette la testata di “Mondo Beat” per Lire 100.000 a un suo amico d’infanzia di Calatafimi, ma residente a Milano, Beppe Bica, autore di fiabe per bambini con lo pseudonimo di Lu Zu Pè ( Lo Zio Beppe, in dialetto siciliano). Nel frattempo uscivano altri giornali beat un po’ ovunque in Italia e gli studenti incominciavano ad occupare le scuole, a manifestare contro l’autoritarismo e a scendere in piazza sui temi della non violenza, della libertà sessuale e della pace, fino a quando non si politicizzarono fino all’osso, iniziando la lunga e durissima stagione della militanza risucchiata nel fascino delle ideologie e delle armi automatiche ( G.D.M).

“L’orda d’oro”, alle fonti dell’Italia in rivolta

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Nota. In “ L’orda d’oro” di Primo Moroni e di Nanni Balestrini si verificano alcune inesattezze. In realtà uscirono sette numeridella rivista e non cinque. Va inoltre precisato che “Mondo Beat” non passò mai “alle edizioni Feltrinelli”. Il giornale apparteneva di fatto al “Movimento Beat” costituito dai fondatori Vittorio Di Russo e Gennaro De Miranda, con l’apporto organizzativo di Melchiorre “Paolo” Gerbino e il finanziamento da parte di Umberto Tiboni, conosciuto come ” il ragioniere di Mondo Beat”. Non era una “proprietà privata”, sebbene formalmente, all’atto della registrazione in data 31.1.1967 presso il Tribunale di Milano al n. 32 del Registro Ufficio Stampa, al fine di conformarne la stampa e la diffusione alle leggi sulla stampa ed evitare pretesti legali per i continui sequestri a cui veniva sottoposto fin dai primi numeri, Melchiorre Gerbino figurasse come “editore e direttore responsabile”. Durante la confusione seguita alla distruzione del campeggio e alla chiusura della “cava” di via Vicenza, gli fu dunque possibile – pochi giorni prima di partire per il Marocco – vendere disinvoltamente la testata a un suo amico di Calatafimi, Beppe Bica detto ” Lu Zu Pè” ( Lo Zio Peppe), che acquistò “Mondo Beat” al prezzo di Lire 100.000, con Atto del Notaio in Milano Edoardo Fasola, in data 21 ottobre 1967 ( N.d.C.). “

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 “Volantini e documenti su ‘Mondo Beat’ ”

“FATTI RELATIVI ALLA TESTATA ‘MONDO BEAT’ ” di Umberto TIboni, “ragioniere dell’underground”:

Umberto Tiboni fatti relativi testata MB

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TRAMONTO DEL CAPELLONE

Il 3 gennaio 1968 uscì per ” Il Giorno” un articolo di Mario Zoppelli, che nel sommario così riassumeva l’intera vicenda dei capelloni a Milano:

” Il fenomeno di un anno: apparve nell’estate ’66 col turismo e lo shake, culminò nel giugno scorso col camping di New Barbonia”. Era corredato da una “finestra” o box ( intitolato: ” Cosa ne pensano gli esperti”) con le osservazioni di Maria Del Puglia, ispettrice di polizia ( ” Più irrecuperabili le ragazze”); di Franco Locatelli, redattore-capo de “L’iconoclasta”, periodico per giovani e studenti ( ” I capelloni non avevano un programma”); e di Vittorio Capecchi, sociologo ( ” Il discorso continua”).

Zoppelli ci mandò il suo articolo del 3 gennaio a Essauira, sulla costa atlantica del Marocco, dove si godeva delle ultime ventate calde ed erotiche della breve stagione dell’amore ( il venticello gentile proveniva dalla costa ovest degli Stati Uniti, insieme a giovani figli dei fiori di tutte le nazionalità, o forse di nessuna ). Successivamente, il 2 febbraio 1967, un mese dopo, Zoppelli inviò una lettera che va riprodotta perché esprime molto bene, mi pare, il clima di sospensione e quasi di attesa che invece si era creato a Milano. Un clima che segna il momento di passaggio delle tematiche esistenziali dei beat al movimento studentesco. Qui esse incontrarono esigenze organizzative e programmatiche e – facendo corto circuito con le tematiche del movimento operaio – diedero avvio alla stagione della “militanza”: e cioè al breve Maggio francese, che sarebbe scoppiato di lì a poco, oltre che al lungo 68 italiano risucchiato nei riti, i detriti e il fascino delle ideologie, dell’eroina e delle armi automatiche.

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Gianni 1968 Gianni De Martino, in esilio in Marocco

LETTERA DEL GIORNALISTA MARIO ZOPPELLI A GIANNI DE MARTINO IN MAROCCO

Milano, 2 febbraio 1968

… ” evidentemente le persone intelligenti hanno capito che noi non siamo che un campanello d’allarme, hanno capito che è risuonato e che è il momento di darsi da fare”. Caro Gianni, condivido pienamente quello che mi hai scritto. Ed è stato appunto per questo che ho scritto quell’articolo contro il quale giustamente ti sei incazzato. Giustamente dal tuo punto di vista, però.

Tu e Paolo siete partiti in ottobre, se ricordo bene. E siete partiti perché ne avevate pieni i coglioni di muovervi tra quei quattro imbecilli, arrivisti e leccaculi scampati al camping o simpatizzanti. O, almeno, anche per questo, credo.

Le cose sono cambiate da quel tempo. Veramente sarebbe più giusto dire che c’è stata una evoluzione. Forse non sai che organo ufficiale e portavoce dei capelloni attuali è “Urlo-Grido Beat”, diretto e curato da persone pronte e disponibili a qualsiasi chiamata dal mondo ufficiale, oltre che a scodinzolare coda e orecchie quando incontrano il “professor Eco”. Che Marco Maria Siggiani, quello che voleva restare fuori dal sistema e vendere il suo libro di merda in piazza protestando contro i tradizionali canali di distribuzione, ora è stato assunto per cooptazione al “Gruppo 63″ e laureato nella cultura ufficiale, secondo le sue aspirazioni di sempre. Non sai che il centro dell'” anti-cultura” è il salotto della Pivano, che pubblica ” Pianeta fresco”, in copie numerate per gli amici e tiene un cero acceso – o quasi – davanti all’immagine di Gianni Scarpelli, martire della causa ( lui sì, davvero), che sconta a San Vittore un anno e quattro mesi per aver fumato un po’ di hashish puzzolente. Che un’altra rivistina di epigoni, intitolata “B.t”, pubblica le solite seghe mentali destinate ai soliti trenta iniziati che fanno happening nel Varesotto da far colare i coglioni sotto le scarpe.

E che tutto è finito in mano alla solita stramaledetta, luridissima e impestata borghesia progressista, socialista alla Giorgio Bocca, aperta ai “problemi dei nostri tempi” come lo è il buco del culo quando caga. E’ la stessa che vi esprimeva solidarietà. Ricordi Feltrinelli che voleva venire al camping con le signore di Montenapoleone e strade affini, che poi si sarebbero fatte inculare nell’ebbrezza e brivido di aver fatto un dispetto alla polizia ( che loro poi sanno mettere a posto quando vogliono) ?

E’ rimasto questo, caro Gianni, di quel giro. Adesso non lo si può chiamare che così.

Gli studenti, intanto, stanno mettendo in crisi la scuola e il suo autoritarismo. A Firenze la polizia li ha caricati e il rettore si è dimesso. Occupazioni sono in corso a Torino, Venezia, Roma, Perugia, Genova, Milano, e forse qualche città me la dimentico. Scendono in piazza anche gli studenti delle medie superiori, che a Milano hanno occupato il Berchet. L’Università Cattolica è in pieno caos. Dovranno riformare lo statuto, come vogliono gli studenti. Ad architettura i programmi di studio li stanno facendo gli studenti.

Credo che gli studenti stiano facendo qualcosa, si stanno dando da fare, come dici tu. E non per ottenere una versione di greco meno lunga o compiti a casa meno pesanti. Questo, forse, voleva anche dire Locatelli.

L’eredità dei capelloni è stata accolta da quelli che hanno il potere, e voi non avete fatto niente per impedirlo. Adesso è diventato un fatto borghese. Se ne discute sempre con Petrus. Quello che accade nelle scuole sta diventando invece un fatto di massa. Potrei citarti qualche statistica, perché sono abbastanza preparato. Fidati della parola.

Parli della polizia. E’ vero, è stata determinante. Ma perché poteva esserlo. Nelle scuole non potrà esserlo. Del resto voi ( ma forse più Paolo che tu) dovete accettare le regole di un gioco voluto da voi. Mi riferisco, s’intende, a come la situazione si era messa. Il vostro non era più un fatto individuale. C’era un’organizzazione. Paolo l’aveva voluta. Facevate delle dimostrazioni. Volevate armare la polizia con un fiore proprio perché i poliziotti hanno il manganello. La ritorsione c’ è stata, e molto dispettosa da parte loro, come avviene nei giochi dei bambini che finiscono in lite. Non è il tuo caso: ma con ingenuità si può intendere anche confusione e ignoranza. Tu te ne sei andato, ma non credo con il risentimento del perseguitato. Dicevate spesso che rimanendo avreste corso il rischio di diventare dei buffoni. Ti assicuro che quelli che sono rimasti lo sono diventati.

Tutto questo per dire che, parlando di tramonto del capellone, avevo sotto gli occhi la situazione di oggi e non le tue intenzioni, il tuo modo di pensare, la tua sensibilità e il tuo rispetto per te stesso e per gli altri. Tutti pregi che ti riconosco e che io, forse possedendoli in minore abbondanza, posso difendere anche nell’ambiente in cui mi muovo, lavoro e vivo onestamente, perché scrivo soltanto quello che voglio. Cioè poco e raramente. Probabilmente io non arriverò a quei “gradi” con i quali Paolo ha scritto ( suppongo per scherzo) che tornerete dal Marocco.


Noi siamo il tentativo d’amore di chi alzandosi in punta di piedi ha cercato di vedere più miele e più luce oltre la curva disperante dell’epoca”, scrivi. Ti assicuro che tu esageri il numero di quel “noi” e attribuisci a degli stronzi arrivisti e leccaculi un’angoscia che è tua, mia anche e di migliaia di altri che non declinavano: professione capellone.

Scusami il casino che ho fatto, le contraddizioni, l’illogicità di quanto ti scrivo, che potrei sconfessare domani stesso. Condivido quanto mi hai scritto. Sbaglieresti se ne facessi un fatto personale. Ne riparleremo. Fammi sapere se il tuo piccolo Majid ha ancora bisogno di quel documento per il passaporto. Pigro come sono non ho ancora trovato il tempo di andare da un notaio. Devo scriverlo in francese? Salutami Paolo e Gunilla. Scriverò presto anche a loro. In Marocco mi piacerebbe venire, e non è escluso che venga. Non so come fare con i bambini. Ma voi quanto tempo rimarrete ancora laggiù ?

Cari saluti dalla Gianna. Grazie per la tua lunga lettera. Ciao. Mario

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Aggiornamento, 18 luglio 2014.

Melchiorre Gerbino condannato per diffamazione

Il giudice monocratico Ombretta Malatesta della X sezione del Tribunale penale di Milano ha condannato Melchiorre Gerbino a milleduecento euro di multa e al pagamento delle spese di giudizio per diffamazione aggravata nei confronti del giornalista Gianni De Martino, stabilendo anche il suo diritto al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede civile e una provvisionale di euro settemila.
Gerbino era stato querelato da De Martino e poi rinviato a giudizio perché – si legge nel capo d’imputazione – ‘pubblicando all’interno del sito web http://www.melchiorre-mel-gerbino.com un testo dal titolo ‘mondo beat’ contenente la ricostruzione di vicende avvenute nel 1968, offendeva la reputazione di Giovanni De Martino attribuendogli in particolare la partecipazione a un tentato omicidio nei suoi confronti, la partecipazione a logge massoniche e lo svolgimento di attività di spionaggio. Il Tribunale, nel corso dell’udienza del 18 luglio 2014, – oltre la pubblicazione per estratto della sentenza nel Corriere della Sera, a spese del condannato – ha anche ordinato il sequestro delle pagine internet del Gerbino sulle quali i messaggi diffamatori sono stati pubblicati.

NOTA. L’odio fraterno (molto chiaro su sfondo oscuro) sembra derivare dalla affinità-attrazione per quelli che vengono percepiti come il proprio alter ego rimosso. Sotto la pressione di circostanze particolarmente gravose questo impasto di amore-odio fraterno ( tinto di una fantasia di desiderio omosessuale?) può esplodere in paranoia. E l’odio paranoico non conosce compromessi. Chi ne soffre allucina di combattere per la propria stessa sopravvivenza. “Io non l’amo-io l’odio” la contraddizione, che nell’inconscio non potrebbe suonare altrimenti, non può tuttavia divenire cosciente nel paranoico in questa forma. Il meccanismo di formazione del sintomo nella paranoia implica che la percezione interna, il sentimento, siano sostituiti da una percezione proveniente dall’esterno. Cosicché la proposizione “Io l’odio” si trasforma grazie ad un meccanismo di proiezione nell’altra: “Egli mi odia (mi perseguita) e ciò mi autorizza a odiarlo”. In tal modo il sentimento inconscio propulsore si presenta come conseguenza di una percezione esterna: “Io non l’amo- Io l’odio perché egli mi perseguita”. L’osservazione non consente in proposito dubbio alcuno: il persecutore altri non è se non l’amato di un tempo (Sigmund Freud, “Un Caso di Paranoia”, in Opere, B.Boringhieri, Torino 198,vol. 6, p.384-389). .Ibidem, p.389). Saremmo inclini a sostenere che l’elemento paranoico della malattia del povero Melchiorre Gerbino sia costituito dal fatto che per difendersi da una fantasia di desiderio omosessuale egli reagisce precisamente con un delirio di persecuzione di un certo tipo.

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Da “ Volantini e documenti”

E P I C E D I O _P E R _L A _M I A _V E R G I N I T A’

LETTERA DI UNA CAPELLONA A UN REDATTORE DI ” MONDO BEAT” ( s.d )

Caro Gianni, questa lettera è un epicedio per la mia verginità, sacrificata sul cosmico altare dell’amore ( era ora!). Forse ti chiederai chi cazzo ci è riuscito e come cazzo ha fatto. Bene, è un bambino delizioso, con deliziosi occhi a mandorla, uno spirito delizioso e un corpo delizioso. Ti piacerebbe conoscerlo, ne sono sicura, anche se non vi trovereste d’accordo su molti punti. Anche lui ricerca sempre, ma per altre vie: già mi pare di averti scritto che è stato a capo di manifestazioni studentesche di sinistra in Giappone. Comunque per quanto tenti di politicizzare tutto, è tanto aperto da capire che esistono altre rivoluzioni oltre quella che vuole fare lui. In molti casi abbiamo idee simili. Per esempio per quanto concerne il problema dei ” fiorellini dei campi”. Aggiungi il fatto che è sempre dolcissimo, che si preoccupa più di me che di se stesso, che abbiamo fatto insieme esperienze meravigliose di viaggi e di situazioni, e potrai capire facilmente perché siamo finiti a letto tanto rapidamente. Il guaio è che soprattutto per lui è una cosa seria, e ogni due parole dice “per sempre” – il che mi dà i brividi, ma d’altra parte mi fa tanta tenerezza… E’ un integro, un puro di cuore. Non è capace di dire una menzogna. Posso leggergli dentro senza bisogno di occhiali, perché quando è con la sua scorza dura di uomo d’azione e di pensiero si scioglie rivelando il bambino che piange. Se adesso pensi che io stia navigando nel cosiddetto sentimento materno, stai attento: c’è anche altro, e che altro! Wow.

Volevo solo dirti una cosa: com’è che quando sono con lui mi viene di chiamarlo Gianni? Ma dopotutto lo amo, e sto benissimo con lui. E’ quello che mi hai sempre consigliato tu: ” trovati un ragazzo”. Adesso ce l’ho. WOW. La prossima volta cercherò di scriverti una lettera più intelligente ( è vero che l’amore rincretinisce?)

Shanti Shanti Shanti

Carmen

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M O N D O B E A T

1966-1967

ANTOLOGIA DELLA RIVISTA

DEI

C A P E L L O N I

LA VERA STORIA DELLA PRIMA RIVOLTA DI STILE DEL DOPOGUERRA

origini immagini e documenti

a cura di Gianni De Martino e Marco Grispigni

dalla QUARTA DI COPERTINA:

” Prossimo e distante, noto e inaspettato, ” Mondo Beat” fu il primo esempio nel nostro Paese di stampa alternativa autogestita e uscì giusto trent’anni fa a Milano. Riuscì a sopravvivere per sette numeri glissando piogge di sequestri e di denunce, resistendo al fascino delle ideologie e delle armi automatiche, inalberando lo slogan dei primi giovani liberi: ‘ SPAZIO MORALE PER UNA GENERAZIONE D’EMERGENZA. DATECI I SACCHI A PELO E TENETEVI LE BANDIERE'”.

” Di questa prima rivolta di stile del dopoguerra, culminata con l’incendio di “Capellonia City” e messa da parte o irrisa come “grande illusione degli anni sessanta” nel corso della lunga e monodica storia di quest’Italia post-politica, post-sociale e post-mortem, il libro intende rievocare le numerose storie possibili, o anche impossibili, attraverso le immagini, i documenti e i testi – ora ironici, ora critici, ora poetici e impegnati – dei protagonisti di una breve estate d’amore e di rivolta, di cui questo libro intende riprendere la memoria e disseminare altrove la pungente effervescenza” (G.D.M.).

………

«Make love, not war». Pacifism, conscientious objection and counterculture in Italy in 1960s

As George Wald would have put it «we find ourselves in front of a generation which is not at all sure of having a future»; since the future, as Spender affirms is «like a buried time bomb, but which lets its ticking be heard in the present».

To the question we have so often heard: who are those who are part of this generation?, we are tempted to reply: Those who hear the ticking.

(Hannah Arendt, On Violence. Harvest Books New York: Harcourt, Brace and World, 1970)

Introduction

Pacifism, till the second half of the Sixties, was – as Amoreno Martellini would have it – «a false question»: the political movements, associations and their leaders, never posed any real threat to the government of any country, not even to the Italian ones, and neither did they ever represent any obstacle to the military institutions.

In Italy, during the twenty years following WW II, pacifism was never able to even gather together any significant political consensus regarding the themes of its main battles, just think, for example, of educating to peace or of the expenditure for armaments[1]. All this, notwithstanding that the theme of peace was receiving great amounts of attention in those years by political parties as well as by their newspapers who used it to its fullest for their own propaganda needs. Actually, in Italy there was never any join between the political parties and the pacifist movements. In this context, the individual gestures of some nonviolent elements and conscientious objectors who brought the repudiation of war to extremes were to have a greater and more profound influence on cultural change which took place in Italy than the vast and multi-faceted world of associations and movements.

Starting from the second half of the Sixties, upon the stimulus of student revolt, and later, of the radical politicisation of the young generations, the themes of peace and nonviolence changed in substance and increased their grip on a society that was fast becoming secularized when compared to the parties forced to run after the youth on these topics.

The Vietnam War represented, as will be said later, a decisive watershed which signalled the measure of the generational sprain that had come about in society but also within the very same world of pacifism. Up to that time, the action of the pacifist movements had prevalently been inspired by the fear of nuclear catastrophe, with the Vietnam War, instead, to the fear of the bomb other themes came together, such as the crushing underfoot of the weak by the strong, the Third World, imperialism and especially the violence of war in itself, the violence of every war.

This brief journey through Italian pacifism, however, will try to read the phenomenon moving from a particular, and maybe also extravagant, observatory, that observatory of the beat generation, the Provos and capelloni (long-haired hippies), or better still, a small youth sub-culture which with its magazine “Mondo Beat”[2] contributed to a great degree to lay the foundations for that which will be the explosion of the Protest movements of 1968.

Precisely these youths, indeed, which the Italian press of the time scornfully referred to as “capelloni”, “zazzeruti” or “barbudos” and their magazines – from the already alluded “Mondo Beat” to “S”, from “Urlo Beat” to “Pianeta Fresco” – were one of the reasons for, and, at the same time, one of the multiple consequences of profound changes which took place throughout Italian civil society as well as in Italian mass culture between the start of the economic miracle and the explosion of the student revolt at the end of the Sixties. These changes radically overcame and influenced all of society and they went through the world of pacifist associationism, its power of involving, organisational methodology, its models, its reference values as well as its leadership. The first radical and most important transformation regards the generational element: it had been basically men and women who had gone over the threshold of their fiftieth year, and in some cases of their sixtieth year, to animate the pacifist movement in Italy of the 1940s and 1950s: think of Father Primo Mazzolari and the socialist, Umberto Calosso – who, together with the Christian Democrat Igino Giordani, had signed the first Bill for the legal recognition of the conscientious objector at the end of the 1940s; of Aldo Capitini who, when on 24th September 1961 organised the first Peace March between Perugia and Assisi, was 62 and of Edmondo Marcucci, his right-hand man, who at the beginning of the 1960s was 61 and so on[3]. In the period immediately following WW II, moreover, and throughout the 1950s, conscientious objection had had the main aim of reaffirming the primacy of the individual’s conscience upon the laws of the State. Throughout the course of the 1960s, the ideas of nonviolence and the culture of peace began, as already hinted at, to be declined in a very different way compared to the past: thanks to the explosion of the phenomenon of Third-Worldism and to the attention with which militants of the parliamentary or extraparliamentary left and Catholic youth began to look at the “last ones”, the struggles for conscientious objection steadfastly linked to the request for a civil service that was an alternative to military service, or to put it in the terms of those times, for a “useful period of time” opposed to the “wasted time” of military service. In Italy, the requirement for the right of conscientious objection arrogantly emerged between the years 1966 and 1967: at the centre of it all, however, there were no longer isolated cases of objectors rather some dozens of men of around twenty or thereabouts, epiphenomena of a whole generation of men and women who, at their backs supported their choices with public parades of solidarity and sensitization. Pacifism, fear of the atomic bomb as well as the struggle for the conscientious objector very soon linked up with the anti-authoritarian protests originating from groups preceding 1968 and by whom this was then fed. The most evident result of this coming together was radicalization and massification of pacifism and nonviolence, which from the thesis for an elitist sector of adults, transformed into a mass youth culture phenomenon which was capable of penetrating into fields – like the Catholic one – that up to then has shown themselves to be impermeable to this type of stimuli.

Moreover, this ethical straying and this new declination of the conscientious objector were the cause and symptom for yet another process of transformation that, during this time, was interesting a stronghold of 20th-century culture and that is, the concept of the motherland. Up till WW II, wrote Fabrizio Lilli in “Il Corriere della Sera” in 1966, «l’amore di patria non rientrava neanche nella categoria dei sentimenti, era la voce d’un decalogo morale né più né meno che l’onestà o il rispetto per la proprietà altrui» (love of the motherland didn’t even fall into the category of the feelings, it was the entry of a moral decalogue, no more and no less than honesty and respect for others’ property). Many intellectuals, according to the journalist, had made a «holy cause» out of “unlove” for the motherland: they praised, defended and understood love of the Russian motherland for Russians, of the Vietnamese motherland for the Vietnamese, of the Cuban one for the Cubans, and so on, but they seemed unable to bear the borders within which they lived. «Si direbbe» (One could say) concluded Lilli, a faithful interpreter of the climate and divisions due to the Cold War, «che anche l’amore sia soggetto agli imperativi della moda» (that even love is subject to the imperatives of fashion)[4].

Concomitantly, beat youngsters and capelloni from the pages of the “Mondo Beat” magazine, initiated their battle against the war, against all war without any distinction of a political hue, making their war cry the refusal of the uniform and the army.

I DON’T WANT A FLAG FOR MY BODY – wrote Gianni De Martino in “Mondo Beat” – I DON’T WANT TO LEARN HOW TO USE A RIFLE. I DON’T WANT TO TAKE PART IN THE LOGIC OF DESTRUCTION. Let us fill the drawers of the generals with chalk. We will exhibit them in the wax works museum as monsters of stupidity. IN SPIRITS CONSERVED ARE THEIR BRAINS AND WE FREE MEN ON THE STREETS OF THE WORLD[5].

In the common imaginary world of the young protagonists of this time, beat generation and not just them, moreover, also the still warm and live memory of the Holocaust and Auschwitz played a determining and diriment role which acted «like a powerful incitement to battle against injustices and oppressions» of the age: imperialism, colonialism and authoritarianism. The memory of the Nazi crimes, the comparison of these with the colonial violence (carried out by France in Algeria, for example, or by the U.S. in Vietnam) fed the anti-Fascism of the protest groups, at the start, and the student movement later. About gas chambers and crematorium spoke, provocatively, “Mondo Beat” in June 1967 following the evacuation of a camp site of capelloni in Milan[6]. «We are all Jews» the French youth who had come out onto the streets cried following the expulsion of their leader, Daniel Cohn-Bendit, at the behest of general Charles De Gaulle in 1968. While in Holland, the Provos were protesting against the wedding of Princess Beatrix to Claus Von Amsberg, a former Nazi, who, in 1944, had worn the uniform of the notorious Death’s Head unit of the SS[7], in Germany, even though it was not mentioned in the official speech, the memory of Auschwitz constituted an engine to student protest: a new generation, albeit with a thousand limitations and ambiguities, called for the bill of the previous generation for that which happened during Nazism and for the evident links that the new Bonn administration kept with the Third Reich. The youth revolt of the 1960s contributed, as Enzo Traverso would have said, to lay the basis for the moulding of a new historical consciousness as well as to feed the debate concerning “the past with does not want to pass”, upon which much discourse was undertaken in Germany since the 1980s[8].

That generation of the second half of the 1960s in Europe and the United States was – or else also “a generation of cosmopolitans without roots”[9] – that which did not spare itself in the fight against the war and for the recognition and enlarging of civil rights and which, even if in a contradictory way, was moved by a strong idealist stimulus and by an almost fever-like attention for social matters[10].

Let’s take things in order.

Italy and the rest of the world in the 1960s

As we have already hinted at, 1966 and 1967 represented «the educational novel» for all those youths who in a short time would have given rise to the occupation of the universities in 1968[11]. Indeed, in Italy like in the rest of the western countries, the youth affirmed themselves as political actors totally. In the great outlying areas of Italian metropolises the “beat” phenomenon made its appearance constituting one of the first forms, surely among the most original, of «collective subject on the move» and of generational rebellion in our country[12].

In January 1966, thousands of the almost four million Italian youths between sixteen and twenty-two, amidst the amazement and disapproval of their teachers and parents let their hair grow and wore beat clothes. The soundtrack to the birth of the phenomenon of our capelloni were the songs of the numerous bands which came into being at this time, based upon the Anglo-Saxon bands. It was beat music which «echo[ed], high and well distinguished from the chorus of adults» to amplify «the voice of the new generations which, without intermediaries and without apprehension any more, indicate[d] their own existential priorities»[13]: the need to live with their peers far from bourgeois respectability and from family authoritarianism and to experiment new forms of communication without having to feel trodden underfoot by taboo and traditional values. Rockes, I Corvi, I Nomadi, Francesco Guccini, L’Equipe 84, New Dada and many others, added to the musical context of Italy, besides long hair, jeans, extravagant clothing, even themes concerning social revolt: the existential unease of the youth condition, the need in believing «in a new world and in a hope that was just born», opposition to war and pacifism, – Guccini in 1965 writing “Dio è morto” (God is dead) imagined a «revolt without arms» – the youth’s intolerance of their parents and the world of adults. In beat songs, the anti-militarism dismissed love themes, pacifism, the protest against the war in Vietnam, and fear of the atomic bomb substituted the heart/love duo[14].

In this context, the slogan, coined by the philosopher, Bertrand Russel, Make love, not war, which was spreading like wildfire throughout all the West, slotted perfectly onto the Italian context. Just to make circulation of the message of the aging philosopher easier, there was the escalation of the American intervention in Vietnam which made the world fear, as Antonio Gambino wrote in “L’Espresso” that it was going Slowly but surely towards total war[15]. Throughout the course of 1967 and 1968, indeed, besides the contestations relating to teaching syllabi and private life, many marches promoted were organised to protest against the war in Vietnam[16].

This year – wrote Ferruccio Parri – Father Christmas brings the gift of ashes and coal. If we are not already at the prologue of the third, and final, world war, our peoples will ask themselves tomorrow why is it that to save democracy was it necessary to sow, with such ruthlessness, massacres and ruins: why a great people had been able to let itself be led by a short-sighted government, along a path that was so highly pernicious for the very same future of its international influence[17].

Vietnam may be viewed as the true catalyst of western youth revolt and 1967, in particular, may be considered “the year of Vietnam”[18]. In Italy, as throughout the world, many marches took place one after the other, many student assemblies, torchlight processions, factory sit-ins, protest vigils in front of US consulates, the burning of American flags to the cry of “Yankee go home” in protest of the war. While Noam Chomsky, in the magazine “New York Review of Books” wrote: «we have to take illegal measures to oppose an indecent government», and the Nobel Peace Prize winner, Martin Luther King, in the month of April of that same year in New York, openly opposed the war and defined it «the real enemy of the poor». In the Declaration of Independence form the war in Vietnam he polemically said that in that conflict there was the paradox of an entire nation: the United States said they were engaged in a war of freedom for the Vietnam people when the blacks of America, in Harlem just like as in Georgia, had absolutely no rights[19].

The war in Vietnam, moreover, contributed to opening up «the path to new, and unpredictable […] consciousness»[20] and to «ample collective rethinking» which were maturing and involving the world of youth, intertwining agitation born in “places” culturally very far-off: from post-Council Catholicism, inspired by Pacem in terris (1963) to the American underground[21].Thanks also to Vatican II – an event which it is not possible to leave out of consideration and of vital importance to understand the lift-off of the profound processes of cultural and social regeneration of the 1960s –, the opposition to that war saw, side-by-side with one another, both young people belonging to formations of the new political Left and young Catholics or conscientious objectors who fought, for example, in the Christian Movement for peace, in the international Movement for reconciliation, inspired by the experience of Aldo Capitini or Danilo Dolci, but also in the youth ranks of the Christian Democrats[22]. Many young Catholics ascribed the value of revolutionary commitment to nonviolence, to opposition to the war and to imperialism and to the struggle for conscientious objection. A revolutionary commitment which made them extraordinarily similar in language and political action with their peers grouped on diametrically opposing ideological positions, throughout Italy and the rest of the world[23]. «The communist who struggles sincerely for justice in a world that is profoundly unjust», was read in the “Rinnovamento” in January 1968, «it is also a brother, ultimately enthused by an inspiration which comes from Christ: “Blessed are the hungry and those who are thirsty for justice”»[24].

In this context, from the United States to Great Britain, from France to our own country, the cases of conscientious objectors became more and more frequent: ever more young people refused to wear the military uniform. In the US, in particular, the protest was taking on more striking proportions, day by day: according to “Mondo Beat”, a good 40,000 young Americans, in 1967, took refuge in Canada to avoid the 5-year sentence for refusing to fight in Vietnam. Among these thousands of young people-dissidents-objectors, according to the Milan “capelloni”, the case of conscientious objector, Cassius Clay, stood out, his was not the last one to do so, but certainly the most clamorous in the history of the conscientious objectors of the war in Vietnam[25].

This episode demonstrated, according to “Mondo Beat”, that in America a «revolution of consciences» was spreading which brought the young generations to condemn any type of war, «with the implicit refusal of the justification of right or holy, since war is always unjust and is never holy»[26].

At the State Central Archive, in the file dedicated precisely to this theme, there is an enormous volume of material: fliers, Police Prefect reports, posters, newspaper articles which from 1967 to 1970 testify to just how central was the struggle for achieving this right among the youth of the 1960s[27]. The first case of conscientious objector who emerged from anonymity was that of Piero Pinna, the “pacifist”. He, condemned in 1949, had decided to object after having participated in a conference of Aldo Capitini. In his objector declaration, he had affirmed that his was not a refusal to serve the motherland, rather it was simply the refusal to kill: in the case of war, indeed, Pinna had requested to be sent not to fight but to defuse mines[28]. During the 1950s are other cases of objection but the most renowned were, perhaps, those of the Catholics, Giuseppe Gozzini in 1962 and Fabrizio Fabbrini in 1964. The latter, assistant of Roman Law at the University of Rome, in order to show that the objection was anything but an act of cowardice, refused the uniform a few days before being dismissed, writing to his commander that every good Catholic has the duty to commit himself to reach peace «in every way and at all levels»[29]. He was condemned on 24th February 1966 to one year, 11 months and 10 days of custody.

Obedience is no longer a virtue

It was precisely at the objection of Fabbrini that the military chaplains of Tuscany pronounced their opinions from the pages of the “Nazione”, against whoever, advancing reasons of conscience or faith, refused to place himself at the nation’s disposal, «considering the so-called “conscientious objection” an insult to the motherland and to its fallen men which foreign to the Christian commandment of love» would represent nothing more than an «espressione di viltà expression of cowardice»[30].

The letter published in the Florentine newspaper opened up a bitter dispute between military chaplains and a parish priest, Father Lorenzo Milani, author, together with his pupils of Barbiana, of a book destined to become the manifesto of the Italian student movement Lettera ad una professoressa[31].

The priest wrote the Risposta ai cappellani militari, published on 23rd February 1965 in “Rinascita”, in an article with the meaningful title of I preti e la guerra. The article, signed by Luca Pavolini, cost the priest and the journalist a denouncement for illegal apology of crime, submitted by a group of former Florentine soldiers. Harsh and straightforward, the parish priest was with the young conscientious objectors who were paying «their heroic Christian coherence» with gaol[32].

Don Milani, in his impassioned response, sustained that the task of the chaplains should be to educate soldiers to conscientious objection and not to obedience. When faced with the horror which was but «the daily bread of every war», the parish priest, writing to the judges during the trial to justify his absence in the debate in that he was gravely ill[33], stated:

A priest who wrongs a prisoner is always wrong. So much more if he wrongs he who is in prison for an ideal. […] On a wall of our school, there are the words “I care” written in big letters. It is the indestructible motto of the best of American youth. «I do care, it is close to my heart». It is the exact opposite of the Fascist one «I do not care» […]. Obedience is no longer a virtue. To have the courage to tell the youth that they are all sovereigns, for this reason obedience is no longer a virtue, but it is the most subtle of temptations, that they shall not believe to use it as shield to cover themselves in front of men or God, that it is necessary that each one of them feels to be the only responsible for everything[34].

The case caused much stir and the whole thing, besides giving origin to a lively debate of very ardent tones in dailies between intellectuals of differing political positions, contributed to give a certain degree of visibility to the struggles for conscientious objectors[35] and to all those Italian youths who were convinced that a «capellone today is better than a general tomorrow»[36].

According to “Panorama” in 1967, Italy, one of the few western nations, together with Franco’s Spain, the Portugal of Salazar and the Greece with its generals, not to have yet solved the issue of the conscientious objector, recorded 158 youths failing to report for military service, many of whom are Jehovah’s Witnesses (generally of modest social extraction), Catholics and pacifists (mostly university graduates with a good level of personal culture), all adding up to 209 trials. The punishment for objectors was very harsh. Youth who refused to wear the uniform and to report for military service, were sentenced to prison for disobedience in keeping with article 173 of the Peace Military Penal Code and ended up in the military prison in Gaeta[37]. Notwithstanding this, for many youths, civil disobedience started to become perceived as a moral duty and transformed itself into the one tool useful for peacefully opposing laws and norms that were regarded as being unjust.

Andrea Valcarenghi, a young Provo of the Milan Onda Verde, locked up in the prison of Gaeta precisely because he was an objector «non per fede religiosa, né per spirito anarchico, ma per motivi politici e per senso morale» (not because of religious faith, nor because of an anarchical tendency, but for political reasons and out of a moral sense), in a letter published in the last issue of “Mondo Beat”, affirmed that the need to protest and struggle against a society «based upon violence and coercion» had pushed many young people to be inspired by revolutionary pacifist movements as well as making their own «pacifism active resisting the violence» which was systematically imposed upon them.

Our commitment – concluded Valcarenghi – today brings us against the law, but with the exact aim of conquering a new right: the right to conscientious objection. The day when every and any young person will be able to refuse military service, an initial step will be taken along the long pathway which our country, like others, have to go through towards the refusal of bloc politics, towards disarmament[38].

And thus while these youth “spoilsports” «took the responsibility» for their actions «upon themselves», ironizing on the difficulties they would face – «Gaeta», wrote Gianni De Martino in “Mondo Beat”; «it is a health resort in our thoughts» – many still «deal[t] with the Provos like layabouts, like wretches, without ideals and without motherland»[39]. The “Corriere della Sera”, for example, stood out for its attitude of closure towards the requests of change, proposed by many youth sectors demonstrating and mirroring the incapability of a great proportion of Italian society in understanding the radical nature of certain choices. Alfredo Todisco, a columnist on the Milan daily, in an article dedicated to youth anti-militarism offers us the possibility to, not just, concretely understand the contempt masked in gentle irony with which a certain part of public opinion regarded these youths but also the attempt to reduce everything to acts of bravado typical of listless students, for whom any excuse was a good one for a holiday. Todisco, being convinced that the slogan «Make love, not war» was clearly a symptom of mental weakness which was roaring throughout the 1960s «crossing swords with the virile ideals of their fathers», concluded his article affirming:

We are not at all in favour of war and we are great devotees of love. The ideal of pacifism, in an age where a new war might mean the end of the world, it is truly sacrosanct. […] The suspicion that it is used for squabbling torments us. […] What practical meaning can a motto like «Make love, not war» have? Well, let’s suppose that it is established here. And then, if, while we are making love, the Chinese – just for the sake of it – make war on us? We’ll end up in captivity where even the animals, as we know, lose the rut. If, to make love there needs to be two at least, to make love and not war there needs to be all of us[40].

The capelloni, among the most wary readers of that which they ironically called “Il Corriere della Serva” (TN – transl: the carrier of the ‘servant’ – my italics), imagining the satisfaction of the thinkers and the village bumpkins of half of Italy at the reading of such article, did not let the occasion slip away and responded thus from the pages of “Mondo Beat”, addressing those

Men of “virile ideals”, as Mr Todisco calls them, which with their sex believed to have astonished the world, and who, between one sexual performance and another, succeeded for good or for ill, to make war as well. And that Mr Todisco, sexually speaking, belongs to their category is evident, if it is true that at the conclusion of his article dogmatizes ‘…to make love, there needs to be two at least’. Come on, Mr Todisco, be more modest: you can also do it by yourself[41].

Even if everything was done to denigrate and ridicule those who had accepted the habitus of the anti-conformist and pacifist protestor, this youth and not only, who in November 1966 did not hesitate to rush, with their dishevelled locks and their eccentric clothes, to a Florence which had been devastated by the flood and mud, they held nothing back and committed themselves nonstop to the approval of a law on the conscientious objector. Far-sighted, Benelux reconsidering events which had characterized 1966, wrote in “Paese Sera”: «it has been the year of the young, of the capelloni, of the Provos, of the miniskirts. […] Maybe we’re mistaken, but 1967 as well as the rest of the century will have to deal with them»[42].

After a long parliamentary process as well as various ups and downs, law N° 230 given over to the New norms concerning conscientious objectors will be approved on 8th July 1998[43].

¨ This contribution represents the fruits of much wider research concerning the Italian counter culture and protest movements of the Sixties, please see, Silvia Casilio, «Avevo tanti impegni ma ho deciso di stare a casa a tingermi le sopracciglia!» Una storia della controcultura in Italia (1965-1969), doctoral thesis of 17 February 2006 at the University of Macerata, soon to be published.

NOTE

[1] Amoreno Martellini, Fiori nei cannoni. Nonviolenza e antimilitarismo nell’Italia del Novecento, Roma, Donzelli, 2006.

[2] All texts of the artiche of “Mondo Beat” have been published in Gianni De Martino, Marco Grispigni (a cura di), I capelloni. Mondo Beat 1966-1967: storia, immagini, documenti, Roma, Castelvecchi, 1997.

[3] Please consult the great work of A. Martellini, Fiori nei cannoni, op. cit., which dedicates much space to these characters.

[4] Virgilio Lilli, Disamore di patria, “Il Corriere della Sera”, 2nd November 1966, p. 3.

[5] A. OM (alias Gianni De Martino), Dateci un sacco a pelo e tenetevi le bandiere, “Mondo Beat”, N° 4, 31st May 1967 [capitals in text].

[6] Valertus, 3 proposte per la soluzione finale dei Beats, in “Mondo Beat”, N° 5, 31st July 1967.

[7] On the 10th March 1966, in an Amsterdam with a significant security presence, the Provos protested against the royal wedding, greeting the happy couple with a giant spectacle: raspberries, apple cores and laughing unleashed upon a gentry which for the occasion had done up their wigs, clothes and frills that were a bit anachronistic, to say the least. Even 200 smoke bombs were thrown, a mouse and a white hen that was able to halt the royal parade for a moment. The police intervened harshly and the clashes, that had started in the morning, went on until late in the night. Cf. Beatrice d’Olanda autorizzata alle nozze con von Amsberg, “Il Corriere della Sera”, 11th November 1965.

[8] For greater in-depth studies on these topics, see Enzo Traverso, Il passato: istruzioni per l’uso. Storia, memoria, politica, Verona, Ombre corte, 2006.

[9] Please see Silvia Casilio, Controcultura e politica nel Sessantotto italiano. Una generazione di cosmopoliti senza radici, “Storicamente”, 5, 2009, http://www.storicamente.org/07_dossier/sessantotto-casilio.htm; Ead., «Una “Internazionale” di uomini di 20 anni». I giovani e la contestazione in un mondo senza frontiere: linguaggi, immagini e azioni del movimento del ’68, in Patrizia Dogliani (a cura di), Giovani e generazioni nel mondo contemporaneo. La ricerca storica in Italia, Bologna, Clueb, 2009, pp. 59-72.

[10] Cf., for example, Daniela Saresella, Dal concilio alla contestazione. Riviste cattoliche negli anni del cambiamento (1958- 1968), Brescia, Morcelliana, 2005; Per non dimenticare. 1968. La realtà manicomiale di “Morire di classe” di Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1998.

[11] Paola Ghione, Marco Grispigni, Giovani prima della rivolta, Roma, Manifestolibri, 1998, p. 9.

[12] Marcello Flores, Alberto De Bernardi, Il Sessantotto, Bologna, Il Mulino, 1998, p. 165. See, too, Roberto De Angelis, Il beat italiano, in P. Ghione, M. Grispigni, Giovani prima della rivolta, op. cit., pp. 77-76.

[13] Alberto Cavalli, Carmen Leccardi, Le culture giovanili, in Storia dell’Italia repubblicana, vol. III, L’Italia nella crisi mondiale. L’ultimo ventennio, II, Istituzioni, politiche, culture, Torino, Einaudi, 1997, p. 749.

[14] See, Stefano Pivato, La storia leggera. L’uso pubblico della storia nella canzone italiana, Bologna, Il Mulino, 2002 and Id., Bella ciao. Canto e politica nella storia d’Italia, Roma-Bari, Laterza, 2005.

[15] Antonio Gambino, A piccoli passi verso la guerra totale, “L’Espresso”, 14th August 1966, p. 4. Cf. too, Michele Tito, La bomba in libertà, “Panorama”, N° 44, May 1966, pp. 54-57.

[16] Geneviève Dreyfus-Armand, Jacques Portes, Les interactions internationales de la guerre du Viêt-nam et Mai ’68, in Geneviève Dreyfus-Armand, Robert Frank, Marie-Françoise Lévy, Michelle Zancarini-Fournel (sous la direction de), Les Années 68. Le temps de la contestation, Éditions Complexe, 2000, p. 63.

[17] Ferruccio Parri, Involuzione antidemocratica, “L’Astrolabio”, N° 1, 2nd January 1966, p. 3.

[18] Cf. Aldo Ricci, I giovani non sono piante. Da Trento 1968 a Bologna 1977: inchiesta sul protagonismo delle “giovani generazioni”, Milano, SugarCo Edizioni, 1978, pp. 86-87. See, also, Geneviève Dreyfus-Armand, Porte Jacques, Les interactions internationales de la guerre du Viêt-nam et Maai ’68, in G. Dreyfus-Armand, R. Frank, M.-F. Lévy, M. Zancarini-Fournel (sous la direction de), Les Années 68, op. cit., pp. 49-68, David Culbert, La televisione e l’offesa del Tet nel 1968: la svolta nella guerra del Vietnam, “Passato e Presente”, N° 16, January-April 1988, pp. 135-150, Patrizia Dogliani, La memoria collettiva della guerra del Vietnam nella società americana oggi, ivi, N° 14-15, May-December 1987, pp. 171-194.

[19] Alberto Arbasino, Nel rogo della bandiera “bruciano la guerra”, “Il Giorno”, 26th July 1967.

[20] Mario Spinella, Vietnam, caso di coscienza, “Rinascita”, 5th February 1966.

[21] Cf. Guido Crainz, Il paese mancato, Roma, Donzelli, 2006, p. 113.

[22] Cf. State Central Archive (hereafter, the ACS), Ministero dell’interno Gabinetto (hereafter Mi Gab.), 1967-70, b. 103, fasc. 12010/93, s. f. 3. Regarding the commitments of the Catholics, see, for example, Vietnam. Aggravamento del conflitto militare, “La Civiltà Cattolica”, 15th January 1966, pp. 199-208; G. Rulli, Impressioni di un viaggio nel sud Vietnam, “La Civiltà Cattolica”, 16th September 1967, pp. 449-460; Il Vietnam. Dichiarazione del gruppo Citoyens, “Il Momento”, N° 11-12, 1967, pp. 59-62; Editoriale. Caso di coscienza per la guerra nel Vietnam, “Il Regno”, 15th January 1966, pp. 8-9.

[23] Cf. ACS, Mi Gab., 1967-’70, b. 52.

[24] Oreste Tappi, Cattolicesimo anni ’60, “Rinnovamento”, single issue, January 1968 in the Archivio dell’Istituto romano per la storia d’Italia dal fascismo alla Resistenza (hereafter, IRSIFAR), fondo Massimo Pasquini, b. 2.

[25] Gian Luigi, Il campione e il morto, “Mondo Beat”, N°. 4, 31st May 1967.

[26] Ibidem.

[27] See the material kept in the ACS, Mi Gab., 1967-’70, b. 279, f 15076/96.

[28] Pinna refused the Amnesty and in order to close the case, the military authorities dismissed him for reasons of health, diagnosing a «cardiac neurosis». Cf. Pàstena Pietro, Breve storia del pacifismo in Italia, Roma, Bonanno, 2005, pp. 129-130.

[29] Rodolfo Brancoli, Servizio civile per gli obiettori di coscienza, “Panorama”, N° 85, 30th November 1967, pp. 25-26; P. Longo, Cattolico obiettore di coscienza rinchiuso al Forte Boccea. Meno di dieci giorni prima del congedo, “Il Giorno”, 8th December 1965. See also Giorgio Rochat, L’antimilitarismo oggi in Italia, Torino, Claudiana, 1973, p. 101.

[30] Comunicato dei cappellani militari in congedo, “La Nazione di Firenze”, 12th February 1965 now in Carlo Galeotti (a cura di), Don Lorenzo Milani. L’obbedienza non e più una virtù e gli altri scritti pubblici, Roma, Stampa Alternativa, 1998, p. 11.

[31] Cf. Scuola di Barbiana, Lettera ad una professoressa, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1967.

[32] Cf. Don Milani, Risposta ai cappellani militari, “Rinascita”, 23rd February 1965.

[33] Cf. Rinviato il processo al prete che difende l’obiezione di coscienza. Don Lorenzo Milani, ammalato, non si è potuto presentare in tribunale – Ha inviato un memoriale ai giudici, per ribadire le sue idee, “Corriere della Sera”, 31st October 1965. The debate ended on 28th October 1967 with the conviction of the priest: the 2nd penal section of the Rome Courts of Appeal, declared Father Milani and the journalist, Luca Pavolini guilty. The paradox was that the conviction came following the death of the parish priest. The death of Don Milani struck home to a great part of public opinion, both Catholic and otherwise. Cf. for example, Il parroco di Barbiana, “Rinascita”, N° 26, 30th June 1967, p. 40 and Pier Carlo Masini, Un fiore rosso per don Milani, “Critica sociale”, N° 23, 5th December 1967, pp. 645-646.

[34] Lettera ai giudici. 18 ottobre 1965, in C. Galeotti (a cura di), Don Lorenzo Milani, op. cit., pp. 25-26; 40.

[35] See, for example, the article of Pietro A. Buttitta, Cappellani e militari, published in the first issue of the “L’Astrolabio”, on 2nd January 1966.

[36] See, for example, Renzo Freschi, ‘La guerra la guerra e sempre la guerra’, “Mondo Beat”, N° 3, 30th April 1967.

[37] Rodolfo Brancoli, Servizio civile per gli obiettori di coscienza, “Panorama”, N° 85, 30th November 1967, pp. 25-26.

[38] Andrea Valcarenghi, Ich Bin Obiettore di coscienza, “Mondo Beat”, 31st July 1967. Cf. Id., Underground a pugno chiuso, Roma, Arcana, 1973, pp. 41-45, new edition edited by Silvia Casilio, Rimini, NdA Press, 2007. The Milan Provo, who in the 1970s will give life to the magazine of counterculture “Re Nudo”, had actually already jumped on the first pages of the newspapers due to a curious anti-military incursion of 2nd June during the Republic Day celebrations in Rome and for having distributed a flyer supporting the objection of conscience: «Long live the army/ Long live the army/In Vietnam soldiers/Massacre the Vietnamese people/Long live the army/In Greece the soldiers/Imprison thousands of citizens/Long live the army/And therefore and always/LONG LIVE THE ARMY». Cf. Andrea Valcarenghi, Underground a pugno chiuso!, op. cit., p. 40.

[39] As for the quotations, see respectively: Benelux, L’anno dei giovani, “Paese Sera”, 21st December 1966; A. OM (alias Gianni De Martino), Dateci un sacco a pelo e tenetevi le bandiere, “Mondo Beat”, op. cit.; Giorgio Bocca, La provocazione dei provos, “Il Giorno”, 20th December 1966.

[40] Alfredo Todisco, I capelloni hanno trovato il loro grido di battaglia, “Il Corriere della Sera”, 2nd November 1966. The film referred to in the article was Non faccio la guerra faccio l’amore, by Franco Rossi, 1966. Among the actors, besides Catherine Spaak, there was also Philippe Leroy.

[41] M.P.G., Il signor Todisco e l’amore, “Mondo Beat”, N° 0, 15th November 1966.

[42] Benelux, L’anno dei giovani, “Paese Sera”, op. cit. Benelux was the pen name with which first Gianni Rodari, then Furio Sampoli and finally Luigi Silori signed forehand the first page of “Paese Sera” dedicated to themes of politics, of newsworthy events and common behaviour.

[43] On 15th December 1972, the first Italian law regarding conscientious objectors was approved: law N° 772 which, over the course of time, was to be modified substantially by various sentences of the Constitutional Court. Besides, the norms governing the enactment of this law were issued only in 1977, with the Presidential decree (N° 1139 of 28/11/77). The law of ’98 was published in the “Gazzetta ufficiale”, N° 163 of 15th July 1998. For greater details regarding the parliamentary events and the history of the conscientious objectors in Italy, Cf. Diego Cipriani, Guglielmo Minervini (a cura di), L’antologia dell’obiettore, Molfetta, La meridiana, 1992; Diego Cipriani, In difesa della patria. Quasi una storia dell’obiezione di coscienza in Italia, Molfetta, La meridiana 1999.

The article was translated into English by Mr Aaron Mary Greenwood

How to cite: Silvia Casilio, «Make love, not war». Conscientious objection and counterculture in Italy in 1960s, in S. Casilio, A. Cegna, L. Guerrieri (eds), Paradigma lager. Vecchi e nuovi conflitti nel mondo contemporaneo, Bologna, Clueb, 2010 also in Before and Beyond Auschwitz Project – Digital Brochure,

http://www.odg-isrec.com/index.php?option=com_content&view=article&id=157%3Almake-love-not-warr-conscientious-objection-and-counterculture-in-italy-in-1960s&catid=19%3Aparadigma-lager-whole-essays&Itemid=39〈=it

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Cecilia Brioni, Shorn capelloni: hair and young masculinities in the Italian media, 1965–1967 Published online by Cambridge University Press: 17 June 2019

Prendendo in esame articoli di giornale, riviste giovanili e il film Il mostro della domenica (Steno 1968), l’articolo analizza la rappresentazione di una serie di atti di violenza compiuti dal 1965 al 1967 contro i capelloni, che comprendevano un tentato o effettivo taglio dei capelli di questi giovani. L’analisi confronta la rappresentazione mediatica di queste aggressioni con i tagli di capelli inflitti alle donne italiane e francesi incolpate di collaborazionismo nel secondo dopoguerra (Virgili 2002). La violenza contro i capelloni può essere interpretata come una forma di punizione simbolica per avere oltrepassato la divisione tra i generi con l’appropriazione di un attributo di seduzione tradizionalmente considerato femminile. Inoltre, tali atti possono essere letti sia come una strategia per riaffermare l’ideale di mascolinità italiana in un periodo di ‘declino del virilismo’ (Bellassai 2011), sia come un tentativo di contrastare l’emergere di nuovi standard di bellezza maschili nella società italiana.

In the period between 1965 and 1967, a series of acts of violence took place against Italian capelloni (young men with long hair). These attacks frequently ended with an attempted or actual cutting of these young men’s hair. This article analyses how these incidents were represented in newspapers, teen magazines, and in the short film Il mostro della domenica by Steno (Stefano Vanzina, 1968) featuring Totò. Drawing on literature about the shaving of French and Italian collaborationist women in the aftermath of the Second World War (Virgili 2002), it explores the potential gender anxieties caused by young men’s long hairstyles, as represented by the media. The attacks on the capelloni are interpreted as a punishment for the male appropriation of a traditionally feminine attribute of seduction: the cutting of young men’s hair symbolically reaffirmed an ideal of virile masculinity in a moment of ‘decline of virilism’ (Bellassai 2011) in Italian society.

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Cfr. https://www.cambridge.org/core/journals/modern-italy/article/abs/shorn-capelloni-hair-and-young-masculinities-in-the-italian-media-19651967/49A6118DB9294E767DB850881E5A55CD

 

 

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