MORSI DI ECCELLENTI AUTORI

MORSI DI ECCELLENTI AUTORI CHE POSSONO SERVIRE DI CHIAVE A QUESTA LETTERA DI DRACULA

(Uno spuntino veloce, con tagli di prima scelta, tentacoli che spuntano dagli interstizi di altri libri e si agitano come tentacoli appena recisi).

“Quomodo infidelis Dracul, vaivoda partium transalpinarum praetactarum, a fidelitate serenissimi principis praefati et eius regno declinasset subdidissetque se sevissimo domino Turcarum, ut operis per effectum heu manifeste demonstrasset, maligno spiritu concepto, singulos mercatores de dicta Brascho et terra Burcza et nuntios de eadem, qui intrassent, cepisset, diris vinculis mancipando, singula bona et res ipsorum circa se habita et inventas ab eis plene auferendo, rabiem suae infidelitatis crudeliter ostendens, in bonis ablatis non contentus ad eosdem mercatores et nuntios crudeli et miserabili nece sin suis demeritis et culpis ullis exigentibus interfecisset in palos trahendo, de quo furor suae crudelitatis adhuc maiore ardore accensus, singulos mercatores et iuvenes qui pro ydeomate adipiscendo in praefata terra transalpina constituti fuissent, numero trecentos vel plures, igne combussisset”. 

Passo di una lettera di Feldioara del 2 aprile 1459, in cui Dan, ex voivoda di Valacchia, relata alcuni misfatti di Vlad III detto Dracul contro i sassoni della Transilvania. Apud. Ioan Bogdan, Vlad Tepes si nauratiunile germane si rusesti asupra lui, Bucarest, 1896, p.61.

” XV. Morto quel voivoda, il re mandò a dirgli in prigione che se desidera tornare voivoda in Valacchia come prima allora deve accettare la fede latina. // Se no, allora morirà in prigione. A Dracula è piaciuto di più la dolcezza del mondo effimero che quella eterna ed ha abiurato l’ortodossia e si è allontanato dalla verità ed ha lasciato la luce ed ha accettato le tenebre. Ahimè, non ha potuto sopportare il peso temporaneo della prigione e si è preparato per le torture senza fine ed ha abbandonato la nostra fede ortodossa ed ha accettato l’inganno latino. Il re non solo gli ha dato il regno in Valacchia, ma anche sua sorella // gliela ha data in moglie. Da questa ha avuto due figli. E’ vissuto ancora 10 anni e così è morto in quella eresia”. 

Da un racconto slavo, scritto forse da un viaggiatore russo nell’ottavo decennio del XV secolo, in Cronicile slavo-romane, p.212; cit. da Ioan Gutia, Storia del nome Dracula, Roma, Bulzoni Editore, 1976, p. 28.

” He discovered that the Voivode Drakula or Dracula, who ruled Walachia in 1452-1462 had earned for himself the title of ‘the Impaler’, and that the story of is ferocity and hair-raising cruelty in defiance of the Turks was related at length in two fifteenth century manuscripts, one of which spoke of him as a ‘wampyr’. Immediately, Bram sought the help of Arminius Vambery in Budapest”. 

Harry Ludlam, A Biography of Dracula. The Life Story of Bram Stoker, Londra, 1962, p. 100.
” Il capostipite storico di tutti i Dracula è il voivoda Vlad III di Valacchia, che vampiro non era. Difese, con metodi un po’ energici, ma all’epoca non inconsueti, la Cristianità… Sappiamo che Vlad – nome corrispondente al nostro Giovanni – aveva studiato a Norimberga, Bisanzio, Padova, che parlava e leggeva il tedesco, l’italiano, lo slavo, il latino, il greco, il turco, l’ungherese, che aveva frequentato Marsilio Ficino, Nicola Cusano, Gemisto Platone. Un erudito, dunque, figura più unica che rara tra i nobili transilvani dell’epoca. Ed è singolare che questo Dracula non abbia lasciato alcunché di scritto, sia di carattere autobiografico, date le accuse che quando era in vita già si levavano contro di lui, sia di contenuto filosofico, visti i suoi interessi per le dottrine neoplatoniche ed ermetiche.” 

Paolo Pozzesi, “La vera storia di Vlad l’impalatore”, in ‘Esquire’ n.36, gennaio 1993, p.25.

“… seul Dracula se tait. C’est en effet autour de son silence qui se construit le discours des autres, qui est essentielement discours sur lui”. 

Gérard Stein, ” Dracula ou la circulation du ‘sans’ “, in ‘Littérature’ n. 8, dicembre 1972, p. 85.

” E invece è proprio lì sotto, è proprio lì dentro che il vero affabulatore sa di poter trovare in qualsiasi momento il sangue che gli è necessario a impastare la farina del Mondo; vampiro di se stesso, solo risucchiando quel plasma lo scrittore diventerà il re Mida che tutto assimilando contagia”. 

Michele Mari, “Lo scrittore addenta la sua angoscia”, in “Millelibri. Dossier Vampiri” n. 58, novembre 1992, p. 89.
” Il fatto è che, senza dubbio, quando gli autori scelgono – come esperimento letterario o come riparazione nei confronti dell’alterità – di dare la parola a questi esseri, si gettano in una scommessa molto rischiosa. Se leggere, o ascoltare, o comunque partecipare a un atto comunicativo presuppone una condivisione di codici, quali sono, in ultima istanza, i codici che la voce degli esseri dell’aldilà ci chiede di condividere? … Ed è qui che questi testi esibiscono il paradosso su cui si fondano. La voce di un fantasma (o di un vampiro) che dà per scontato che il suo destinatario accetterà la sua storia, non presuppone forse degli ascoltatori suoi simili? I fantasmi, se esistono, sanno con certezza di esistere. Da quell’ ‘altro lato’ indicibile per la voce narrante umana, il fantastico scivola verso questo lato – il lato in cui la scrittura è possibile.” 

Rosalba Campra, ” I requisiti della narrazione. La parola ai vampiri”, in ‘Strumenti critici’ n.69, maggio 1992, pp.242-243.

” … una certa esperienza è fatta: scrivendo egli ha avuto prova di sé come un nulla al lavoro e, dopo aver scritto, ha avuto prova della propria opera come di qualcosa che andava scomparendo. Nel corso di questa esperienza, scopo dello scrittore non è più l’opera effimera, ma, al di là dell’opera, la verità di quest’opera, in cui sembrano unirsi l’individuo che scrive, potenza di negazione creatrice, e l’opera in gioco con la quale questa forza di negazione e di eccesso si afferma”. 

Maurice Blanchot, La follia del giorno. La letteratura e il diritto alla morte, Reggio Emilia, Eliotropia, 1982, p.73.

” Mallarmé parlava di un dubbio, Derrida sottolinea l’esitazione. Entrambi collegano la scrittura, il gioco e la morte. Se l’opera stessa è peritura, se il quadro deve essere restaurato, se il libro deve essere ristampato e riletto per sopravvivere, questa mortalità non fa che rafforzare l’ipotesi che l’idea della morte già al suo nascere era presente nell’opera. L’opera d’arte trova una delle sue raffigurazioni nel vampiro.” 

Gilbert Lascault, ” Estetica e psicoanalisi” in AAVV La psicoanalisi, Firenze, Sansoni, 1972, p. 261.

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