REGISTI DEL TERRORE

” State buoni e andrà tutto bene…”

(Stay Quiet and You’ll Be OK, Mohamed Atta ai passeggeri dell’aereo)

Servi della morte, i khmer verdi si presentano amareggiati dalle “bugie” degli infedeli. Mascherati da boia leggono poi con voce dura un proclama e nel più totale disprezzo della persona umana e dell’immagine di Dio uccidono un innocente, ancora una volta, per fabbricare un un altro video orrendo allo scopo di terrorizzare “stranieri” ed “infedeli” – e anche per gratificare così il gusto del sangue che si risveglia negli sterminati bassifondi, anche informatici, delle piazze arabo-islamiche in pieno marasma paranoico-sacrificale.

Poi, da una macchina in corsa buttano il cadavere della vittima – imbottito di esplosivo – sul ciglio di una strada fuori Baghdad…

Sebbene i terroristi islamici e transnazionali abbiano l’appoggio di registi e di burattinai miliardari e la simpatia di una gioventù “in crisi d’dentità”, resa analfabeta del proprio mondo e ridotta dai propri dirigenti politici e religiosi a un turbine di crudeli passioni guerriere, di affabulazioni e di assurdità , non potranno mai vincere.

Gli spietati babbuini non potranno mai vincere perché perseguono obiettivi fallaci e si dotano di metodi difettosi, però potranno fare ancora molto male – determinati come sono a mostrarci quanto in basso possa sprofondare l’uomo. Penso alle armi atomiche, chimiche e batteriologiche, ormai dietro l’angolo…

Certo, presi dalla loro caratteristica disperazione – aureolata dal sex-appeal del martirio-shahada – i terroristi che hanno preso in ostaggio l’islàm sono capaci di riempire tutti i buchi – proprio come fa la morte. E si possono trovare “ragioni” anche alle stragi, ai crimini più efferati e ai più perfidi omicidi. Avanzavano ragioni anche Hitler, Pol Pot o il mostro di Dusserdolf – quest’ultimo sprezzante verso i giudici che lo condannavano con freddezza senza comprendere, a suo dire, le calde tempeste del suo cuore nel momento in cui uccideva e faceva a pezzi le bambine.

E avanzava ragioni e motivazioni varie il Lupo della favola per giustificare con accenti vittimisti – e agli occhi della sua stessa vittima – lo squartamento e il divoramento dell’agnello. Non diversamente la Cianciulli, la famigerata saponificatrice di Correggio – anch’essa una “resistente”, una “povera fanatica” autrice peraltro, nel manicomio di Aversa, del libro “Confessioni di un’anima amareggiata”, che forse piacerebbe molto a Furio Colombo.

La Cianciulli, che per fortuna venne fermata in tempo – ricorrendo anche alla forza prima che cominciasse a distribuire saponette di grasso umano ai vicini – somiglia molto ai fabbricanti dei videotape di teste mozze distribuiti – via al Jazeera e via Internet- all’intero condominio mondo.

Per quanto siano grandi il bisogno e l’interesse che l’Europa ha di essere lasciata in pace, è purtroppo giocoforza combattere quei terroristi che purtroppo, in realtà, ci hanno unilateralmente dichiarati nemici : mollaccioni, infedeli e “ingrati verso Allah”, tutti da spaventare, umiliare, disorientare, sottomettere o distruggere – non avversari con cui negoziare ( magari perdendosi anche per Gino Strada…) .

La Neoguerra ubiquitaria e diffusa fin nell’immateriale costituito da Internet – una delle principali fonti di reclutamento e di imput alle azioni criminali – ha caratteristiche tali che – per evitare pericoli maggiori – occorre non solo prepararsi moralmente al peggio, ma anche chiedere all’Onu ( sì, campa cavallo…) , agli Stati e a quelli che ci governano di aggiornare le nostre leggi, trovando un nuovo equilibrio tra forza e diritto, così come tra libertà e sicurezza. In particolare, occorrerà dotarsi di mezzi a difesa delle popolazioni civili, unificare le centrali di intelligence, raffinare gli strumenti di guerra e renderli più efficaci, anche permettendo ai militari di andare a prendere i terroristi ovunque si trovino, affinché vengano messi nella condizione di non nuocere.

Non esistono solo dibattiti, ma anche problemi. Problemi imprevisti, ai quali si stenta a credere e che naturalmente sono talmente ardui, scabrosi e supremi che vorremmo evitare. Viviamo tutti una fase difficile, segnata dalla presenza di minacce ubiquitarie e diffuse, il cui ambito non è facile da circoscrivere. Su tutto sfolgora lo spettro di una guerra talmente evidente da risultare non-vista, forse evitabile e che forse non ci concerne. E’ questo il dubbio che aleggia, non è vero? E tuttavia fanatismo religioso islamico e guerra sono qui tra noi. E’ una Neoguerra a un tempo su scala planetaria e vissuta molecolarmente – nell’immaterialità delle coscienze – come un pericolo vicino e incombente che condiziona la percezione sociale e quello di un futuro sempre più incerto.

Inutile cercare fra le rovine del passato una certezza, una regola, una fede. Così come sarebbe vano scrutare le tenebre dell’avvenire che improvvisamente si oscura, cercandovi un qualche sprazzo di luce e di conforto, una stella che possa condurci.

Il dovere degli uomini che la vita ha obbligato a qualche esperienza è quello di riflettere, con tenera sollecitudine e cura del bene comune, al fine di ricavarne i primi principi di un’azione. La generazione alla quale appartengo non ha mai conosciuto guerre, e le riesce anche molto difficile immaginare che al mondo possano esservi culture di guerra e movimenti di giovani animati da crudeli passioni guerriere. Ci si trova così – nonostante gli attacchi a ripetizione subìti – come in una specie d’interregno e di limbo, culturalmente e quasi antropologicamente impreparati a far fronte al pericolo e moralmente impigriti.

Non potrebbero spiegarsi altrimenti – dopo ogni attacco dei terroristi – quelle macerazioni, quei litigi, quelle ricerche delle nostre colpe, quelle denunce di noi stessi che sembrano non avere tregua – e che certamente debbono divertire molto i burattinai del terrore che sembrano conoscere tutto, o quasi tutto, di noi, mentre noi conosciamo molto poco di loro. Perché il nostro giudizio – spesso ideologico e molto raffinato, propenso al decostruzionismo, all’erranza e persino alla dèrive – questa idiozia! – si accompagna spesso a uno strano compiacimento, per non dire a un accecamento volontario. E anche alla sordità programmatica, come quella di Bertinotti, per esempio, che suggeriva al governo di tapparsi le orecchie davanti alla Sirena-terrorista. Chissà cosa porta un’intera classe d’intellettuali utopici o forse semplicemente annoiati, infingardi, cinici e disincantati, a provare tanta simpatia per i nuovi khmer verdi. E’ il nichilismo che predispone numerosi intellettuali sinistrati e cotonati allo sfogo della barbarie?

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Non ci si trova tuttavia davanti al nulla. Non tutto è abolito, non tutto è da rifare. Le condizioni demagogiche oggi esistenti per la costituzione di una coscienza non hanno distrutto né l’Italia né gli Stati Uniti o l’Europa: i loro popoli, i suoli, i caratteri, un insieme di storie, di esperienze, di convinzioni e di aspirazioni alla libertà , alla giustizia e a un mondo più libero e più felice che possiamo, semplificando, chiamare democrazia liberale, libertaria e anche, perché no?, libertina. Quest’area di esperienze, d’intelligenza e di volontà vive si trova specialmente in alcuni paesi occidentali e si fa strada, timidamente, in alcuni paesi arabo-islamici. E forse, chissà, saprà non solo elaborare la minaccia in maniera meno arcaica , ma farvi fronte anche con la cultura, con l’intelligenza, con l’aiuto reciproco e con la forza necessaria.

Le democrazie possono tollerare più facilmente chi le offende, ma non chi cerca di far loro paura, di sottometterle e di distruggerle. Così come va da sé che se qualcosa ci opprime ognuno, ognuna si ribella, allo stesso modo c’è da augurarsi – prima che sia troppo tardi – che se prese per i capelli le democrazie sviluppino davvero quella necessità ordinata della forza in grado di arginare, di contrastare e di combattere i capricci sanguinari dei tiranni e il terrore che s’annida fra le orde e le galassie dei burattinai e dei registi del terrore.

Milioni di musulmani in Egitto, Turchia, nel Levante, in Iraq, Indonesia ed in tutto il mondo sembravano rimasti impermeabili all’appello dell’islam politico totalitario elaborato tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo da pochi semintellettuali in “crisi d’identità”, così come sembravano refrattari al messaggio puritano e ipocrita, violento e sanguinario di quel che era una piccola e oscura setta, il wahabismo cresciuto nel paesaggio intellettualmente deserto della Penisola Arabica orientale. Tutto ciò è cambiato con il flusso massiccio di petrodollari nelle casse dell’Arabia Saudita, che ha utilizzato la sua nuova ricchezza per propagandare in maniera capillare il messaggio della sua setta nazionale Wahabita con zelo missionario. E questo in concomitanza con il boom demografico dei paesi musulmani confrontati con la mancanza di giustizia e con le sfide poste dalla modernità, ed inoltre con la vittoria sfolgorante del khomeneismo in Iran trasformato in lugubre Repubblica Islamica ed esportatrice – mentre le ideologie panarabe e comuniste crollavano insieme ai muri – di altre forme di islam politico-rivoluzionario. Di qui l’emergere dell’islam militante , come forza aggressiva con cui confrontarsi sulla scena mondiale, forza che ora rappresenta una minaccia alla pace mondiale, all’umanità, all’islam e ai musulmani.

Naturalmente non in tutti gli aderenti all’islam come credo religioso – per non parlare di circa un miliardo di persone che, pur non essendo praticanti, hanno identità, radici, esperienze e storie nell”islam come civiltà che ha dato il meglio di sé proprio quando ha saputo arginare le pretese totalitarie dell’islam fondamentalista fisso e contratto – si è risvegliata la mentaltà della violenza e il gusto del sangue. E’ tuttavia necessario che coloro che si vivono come musulmani – così come coloro che si vivono come cristiani – sviluppino una “cultura del compromesso” che – per la verità – sembra purtroppo mancare in modo peculiare specialmente ai musulmani “puri e duri”, incapaci di autocritica, finché non si riformeranno dal loro interno rinunciando a quelle vecchie idee fondamentaliste di identità islamica fissa e contratta, di jihad, di “complotto crociato-sionista”, di vittoria a tutti i costi. In un mondo così complesso e interrelato un islàm amabile e accogliente ha una sua storia ed un suo posto.

Ma vittoria e sconfitta in nome di qualche assoluto o di qualche unico sono vecchie idee che, oggi, non possono portare ad altro che a una comune catastrofe. Senza perdono, inoltre – che è categoria davvero divina, e può sembrare un passo, al limite, impensabile – non potrà che ripetersi, in un giro senza fine, la solita guerra incestuosa di Caino e Abele. E vittime e carnefici, regrediti alla loro più lontana infanzia, confondersi nell’urto dei corpi e le tante zolle sanguinanti che poi restano sul ciglio di strade desolate, senza più memoria né paese…

Visto il rifiuto del compromesso – nell’incombenza, purtroppo, del giudizio e nell’attesa, non inerte, del perdono – la ripresa dalla pozza di sangue e dalla fossa comune a cui i terroristi sono determinati a ridurre il mondo, richiede pertanto, per evitare pericoli maggiori, la mobilitazione di quelle forze, anche morali, in grado di arginare, di guarire e – se non possibile curare – di combattere il fanatismo maligno e di liberare il paese e l’aria stessa che oggi si respira dai fautori, dai registi, dai burattinai e dai burattini del terrore internazionale che si dice islamico – abbattendo le nostre torri, facendo stragi alle stazioni e sgozzando senza pietà – al grido di “il nostro dio è il più grande, in pieno marasma paranoico-sacrificale – i nostri amici in mondovisione.

Non ne risulterà una grande, definitiva o utopica pace. Ma forse ritroveremo quella piccola pace e quella fragile felicità che i terroristi minacciano di sequestrarci: una pace e una fragile felicità che iniziano certamente da una coscienza, ma anche dalla possibilità di continuare ad esercitare quella libertà indispensabile all’esercizio di una coscienza e dei modi dell’aiuto reciproco.

E voi? Avete più paura del presente o del futuro? (gdm).

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Link a : Diritto internazionale e uso della forza – Materiali – AIC

Guerra oltre il moralismo ( di Pietro Di Marco)

– PDF]Terrorismo per franchising
intervista a Stefano Dambruoso, fonte:http://www.aspeninstitute.it

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