Trascendere il linguaggio 

     di Peter Russel


Jan Provost, Allegoria cristiana

La visione scientifica tradizionale ci dice che la scienza non ha nulla ha che fare con la coscienza o con Dio. Ma oggi le cose stanno cambiando. Ora che ha cominciato a occuparsi della coscienza, ha intrapreso un cammino che alla lunga la porterà a esplorare le profondità della mente. Questa esplorazione la costringerà forse ad aprirsi a Dio.

(…) Il linguaggio è impareggiabile per condividere conoscenza ed esperienza. Senza di esso la cultura umana non esisterebbe. E parlare interiormente a noi stessi può esser utilissimo quando abbiamo bisogno di concentrare l’attenzione su qualcosa, analizzare una situazione o fare dei piani. Ma altrimenti gran parte del nostro pensare è completamente inutile. Quando osservo l’attività della mia mente, trovo che di un novanta percento dei miei pensieri potrei fare a meno con vantaggio.

Se metà della mia attenzione è catturata dalla voce che parla nella mia testa, quella metà non è disponibile per notare altre cose. Non mi accorgo di quello che sta accadendo intorno a me. Non odo il canto degli uccelli, il fruscio del vento e lo scricchiolio degli alberi. Non noto le mie emozioni e le sensazioni nel mio corpo. In effetti, sono cosciente solo a metà.

Solo perché abbiamo il dono del pensiero discorsivo, non significa che dobbiamo tenerlo in funzione tutto il tempo. Questo fatto è sottolineato da molti insegnamenti spirituali. La maggior parte di questi insegnamenti comprende tecniche di meditazione o di preghiera atte ad acquietare il dialogo interno e a fermare la mente. Questo è il significato letterale del termine indiano samadhi: ‘una mente in quiete’.

Una mente tranquilla è più capace di essere nel presente ed è più in pace. È lo stato naturale della nostra mente, la nostra eredità evolutiva. È lo stato di grazia al quale vogliamo ritornare, lo stato di grazia da cui siamo caduti quando il linguaggio si è impadronito della nostra coscienza.

Inoltre, dicono i saggi, quando la mente è completamente immobile riconosciamo la nostra vera identità. Come ha detto la Chandogya Upanishad tremila anni fa: “ Ciò che è l’essenza di tutte le cose, Quello sei Tu.”

Una scienza della coscienza?

La scienza ha esplorato le profondità dello spazio, le profondità del tempo e le profondità della struttura della materia senza trovare né un luogo né la necessità di Dio. Ora che ha cominciato a occuparsi della coscienza, ha intrapreso un cammino che alla lunga la porterà a esplorare le ‘profondità della mente’. Questa esplorazione la costringerà forse ad aprirsi a Dio. Non all’idea di Dio che troviamo nelle religioni attuali – che si sono distorte e impoverite nella trasmissione da una generazione all’altra, da una cultura all’altra, da una lingua all’altra – ma al Dio di cui gli insegnamenti parlavano in origine, l’essenza del nostro sé, l’essenza della coscienza.

Questa possibilità è anatema per l’attuale super-paradigma scientifico. È un po’ come quando Galielo disse al Vaticano che la terra non era il centro dell’universo. Ma se c’è nella scienza una certezza, essa è che tutte le certezze cambiano col tempo. I modelli scientifici attuali sono, in quasi tutti i campi, radicalmente diversi da quelli di duecento anni fa. Chi sa come saranno i paradigmi del prossimo millennio?

Una scienza che includesse in sé le profondità della mente sarebbe veramente una scienza unificata. Essa capirebbe l’origine ultima di tutte le nostre paure inutili, capirebbe perché non viviamo la vita nella pienezza del suo potenziale, perché non siamo in pace interiormente. Una tale scienza contribuirebbe allo sviluppo di tecnologie interiori per acquietare la mente e trascendere le nostre paure. Ci aiuterebbe a diventare padroni anziché schiavi del nostro pensiero, in modo da convivere con questo accidente dell’evoluzione traendo profitto dai suoi benefici, ma senza permettergli di riempire la nostra mente al punto di farci perdere di vista altri aspetti della nostra realtà – ivi inclusa la nostra vera natura interiore (…).  da Scienza, coscienza e Dio di Peter Russell

Fonte: http://www.innernet.it/geoxml/home.htm

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Come si fa a conoscere se stessi?

Morendo a se stessi, superando l’egoismo. Chi non rinuncia a se stesso, non sarà mai se stesso.

Ed è quello che si fa per amore, per amore "dell’altro" che ci libera da noi stessi.

Chi aspetta la resurrezione per un giorno che verrà ….sarà sempre un moribondo qui su questa terra.

Non si può vivere una vita umana senza sonno, senza cibo, così come non si può vivere una vita umana senza silenzio, senza meditazione qualsiasi sia la forma.

Se siamo solo indaffarati, se non ci fermiamo un momento stiamo solo fuggendo da noi stessi

Questo intendo per egoismo

L’amore, la contemplazione , l’estasi verso la persona, verso la cosa, ci purifica e ci salva.  Panikkar Raimundo

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La contemplazione non è un racchiudersi per un’altra vita, è un trasformarsi per trasformare tutta la realtà. La nostra trasformazione in Cristo, il Cristo totale che non è soltanto quello del crocifisso, ma quello della risurrezione, dell’Eucarestia. La risurrezione non è soltanto quella di Cristo Gesù, ma la vocazione di ognuno di noi. Se non siamo capaci di mostrare la nostra risurrezione non c’è contemplazione, non c’è trasformazione, siamo ancora nella vita mezzo morti. La risurrezione è nostra, e adesso, è precisamente questa gioia che è frutto diretto della contemplazione, che ci dà l’umiltà necessaria (non voglio il premio, il riguardo, l’ambizione, la vanità, il sorriso dell’altro, il grande successo), per buttarci dove dobbiamo stare e fare quello che trasformandoci noi, trasforma anche la realtà. Raimundo Panikkar

Fonte: da: http://ospiti.peacelink.it/marino/testirel/pannikar.html

Libro : L’ esperienza della vita. La mistica – Panikkar Raimundo – Jaca Book Il contenuto del libro è riassunto nel titolo: la mistica, come esperienza integrale della Vita, è la caratteristica umana per eccellenza.

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Vedi anche:  Elvio Fachinelli, La mente estatica, Adelphi, Milano 1989

Si tratta di superare, in definitiva, il nostro generale disconoscimento dell’estatico, cogliendo in esso un momento originario di molteplici esperienze; probabilmente delle esperienze più creative nella vita umana. L’apex mentis, l’apice della mente secondo la definizione medioevale, ne è anche la base, e non può essere ridotto a una situazione mistica, che è soltanto una delle sue forme. Abbiamo dunque davanti un’esigenza antropologica, che sta a noi non perdere né sciupare” ( Elvio Fachinelli, dalla quarta di copertina).

 – Elvio Fachinelli Intorno al ‘68, un’antologia di testi a cura di Marco Conci e Francesco Marchioro. Il libro contiene i testi fondamentali di Fachinelli apparsi prima e dopo il ’68, direttamente legati alle problematiche psicolibertarie di quel movimento.

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La coscienza nelle neuroscienze  A colloquio con Francisco Varela

di Sergio Benvenuto (7/1/2001)

L’incontro tra fenomenologia di matrice orientale con la scienza occidentale comporterà un mutamento della nostra cultura di specie. Un’ intervista che lo scienziato cileno rilasciò all’ Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche.

Fonte: http://www.emsf.rai.it/interviste/interviste.asp?d=452

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 “Elogio della coscienza” di Joseph Ratzinger : … la questione della coscienza ci porta veramente al cuore del problema morale, così come la stessa questione dell’esistenza umana…”
Fonte: http://www.ratzinger.it/miscellanea/elogio_coscienza.htm

La magia, parodia del divino
30 domande al Cardinale J. Ratzinger  – Fonte: J. Ratzinger ‘s Fan Club
http://www.ratzinger.it/modules.php?name=News&file=print&sid=154

Fonte: http://www.ratzinger.it/

 

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Una risposta a

  1. giannidemartino scrive:

    Ho ricevuto una precisazione, che forse può essere utile, del dottor Sergio Benvenuto :

    ” Non sapevo che tu avessi pubblicato on line la mia conversazione con il povero Varela. Vedo peraltro che è connessa al sito dell’Enciclopedia Filosofica RAI …

    In realtà sia la conversazione con Varela che il testo su Lacan a cui ti riferisci sono stati editati e perfezionati (quello su Varela è stato pubblicato anche su carta, in Lettera Internazionale). Te li mando tutti e due.

    Quanto ad Elvio, non so se conosci un mio saggio che è stato pubblicato in un libro (editato male). Se vuoi ti mando anche quello, fanne l’uso che vuoi.

    Buon lavoro

    Sergio”

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