Il Mandala buddhista

 ANTROPOLOGIA

IL MANDALA BUDDHISTA

Il termine sanscrito mandala significa "ciò che contiene lo schema essenziale dell’esperienza". Manda significa "essenza"; la è un suffisso che indica un supporto, letteralmente "ciò ché tiene insieme".


L’equivalente tibetano dkyil khor significa "centro e circonferenza".


mandala.jpg Il mandala viene generalmente costruito dai monaci con polveri colorate, che vengono disperse, preferibilmente in un corso di acqua corrente, dopo il rituale. Altri mandala si trovano dipinti sulle tangka tibetane. Anche un certo modo di congiungere le mani può rappresentate il mandala della propria esperienza, da offrire al Lama. Nulla in se stesso, l’intero universo della nostra esperienza viene offerto al proprio Insegnante, attraverso la cui figura traspare la figura del Maestro primordiale. Questi rappresenta la spiritualità trasmessa, da bocca o orecchio, dalla catena iniziatica risalente al campo dell’illuminazione . Il Risveglio è connotato da beatitudine, saggezza e compassione. Il mandala sopra riprodotto raffigura il mandala di Avalokitesvara, l’aspetto compassionevole della mente ultima.

Attraverso la pratica rituale del mandala ci si attiene al nostro rapporto con la realtà così com’è, e gradualmente si giunge a prendere consapevolezza della grande beatitudine che è l’essenza dell’esperienza. Piccola, non grande esperienza. Eppure sensazione di una luce che s’irradia al tutto, quasi concreta percezione di gloria universale. Pertanto vi sono mandala che rappresentano la coscienza illuminata e la relazione pura, luminosa e gloriosa che il Risveglio ha con la realtà. In tal caso, dkyil è l’essenza, la parte migliore, il centro, il cuore; e khor il circostante. Nella simbologia tantrica buddhista la coscienza illuminata viene raffigurata al centro come il dio e khor come il suo palazzo.

Secondo la tradizione tantrica buddhista il mandala esterno indica il nostro rapporto con il mondo delle percezioni, il mandala interno il nostro rapporto con il mondo del corpo, il mandala segreto il nostro rapporto con il mondo delle emozioni.

Questi modelli generali, piacevoli o spiacevoli, risultano integrati in alcuni mandala in cui la parte esterna rappresenta il cosiddetto "mondo di fuori", la parte interna l’autoconsapevolezza, la parte centrale la sacralità dell’esperienza.

La completa interrelazione delle varie "parti" della nostra esperienza è la nozione stessa di mandala.

Il nostro contatto con la realtà avviene attraverso il mandala delle percezioni, del corpo e delle emozioni. Il mandala esprime il modo in cui entriamo in relazione con la realtà. Il mandala esprime situazioni molto personali e nessun mandala è uguale a un altro. In qualche modo il mandala è la realtà, ed è sempre presente. Le emozioni centrali, quelle presenti nella mente, contengono sia il seme della liberazione che quello del condizionamento, della prigionia nella stretta di emozioni negative ed idee errate in un giro senza fine di travestimenti multipli. Quest’ultimo caso è raffigurato nel mandala conosciuto come bhavacakra, “Ruota della Vita” o "Ruota del venire all’esistenza condizionata".

  In merito al  simbolismo della "Ruota della Vita", riporto, con qualche variante, un estratto di un testo, ormai introvabile, pubblicato in "Lotta Continua" il 30 dicembre 1980, ai tempi in cui la cosiddetta nuova sinistra incominciava ad aprirsi all’Oriente e molti studiosi particolarmente interessati allo studio e alla conoscenza dei fenomeni mentali, in particolare nel campo della "coscienza", trovavano nella tradizione buddhista del Tibet un campo di studi molto vasto, "suscettibile – secondo le parole del Dalai Lama – di essere indagato ed esplorato in molte situazioni, in molte direzioni". Potremmo dire che questo testo fa parte del mandala di un’esperienza generazionale, che sta a noi riprendere e non sciupare.

La Ruota della Vita

La "ruota dell’esistenza" è uno strumento di contemplazione stabilito dalla tradizione buddhista. Nei dipinti dell’arte tibetana, Yama, il Re dei Morti, la regge tra gli artigli a mo’ di specchio, perché ciascuno vi veda riflesso il proprio io con tutti i suoi circoli viziosi che si svolgono attraverso le varie zone di esistenza.

I sei mondi

In basso alla "ruota dell’esistenza" si trovano lande ghiacciate. Più in là, nella stessa zona, un fuoco ardente. E’ l’inferno della collera, dell’ira coltivata freddamente oppure con rabbia esplosiva, incandescente. Vi compare anche un Buddha color fumo, tra le sue mani le fiamme infernali si trasformano in fiamme di purificazione. Ciò indica la possibilità permanente di apertura insita perfino nei baratri dell’esistenza, nelle situazioni umane percepite soltanto come "assolutamente" chiuse, assolutamente infernali.

Più su vediamo il mondo degli Spettri detti Preta. E’ la zona dell’esistenza sfortunata. Gli scacchi vi si ripetono continuamente. Vi regna la tortura del desiderio insaziabile. Vi appare anche un Buddha recante il cibo celeste che solo sarebbe il grado di soddisfare i desideri degli Spettri affamati.

Dal lato opposto al Mondo dei Preta, vediamo il Mondo degli Animali. Vi regna la stupidità e la paura. Gli esseri vivono nelle tenebre di un cieco destino di necessità naturali. Vi appare un Buddha con un libro, giacché agli animali manca la facoltà di articolare la parola e il pensiero riflessivo.

Sopra il Mondo Animale, vediamo il Mondo Umano E’ la zona dell’orgoglio, ed è li che appare anche un Buddha con la ciotola delle elemosine.

In cima alla "ruota dell’esistenza", vi sono splendidi palazzi e, poco lontano, nel cielo nuvole abitate da esseri raggianti di gioia o Deva. E’ un alto stato di esistenza, ma che alla lunga si rivela con grande sorpresa una condizione transitoria e mortale.

Accanto al Mondo Divino, si vedono guerrieri ambiziosi che vogliono penetrare nella zona degli dei. Sono gli Asura, una specie di razza tipica, sempre in guerra fra di loro e con gli dei.

I sei mondi sono stati di coscienza egotici e modelli di zone reali dell’esperienza. Un momento ci si sente su da dio e un momento già da bestia. "In una giornata – scrive, ad esempio, L. Wittgenstein – si possono vivere i terrori dell’inferno: il tempo è più che sufficiente."

Sulla base degli stati di coscienza caratterizzati dalla nescienza, sorge un vivo attaccamento per sé stessi e i propri interessi, e una repulsione per gli interessi degli altri. Ignoranza, Attaccamento e Odio sono rappresentati rispettivamente da: a) un maiale nero; h) un gallo rossiccio; c) un serpente verde. Girano in tondo, al centro della "ruota dell’esistenza", mordendosi la coda.

 

La principale qualità nociva è l’illusione o ignoranza, un offuscamento percettivo vasto, articolato, brancolante come una vecchia cieca ; tale nescienza fondamentale viene considerata la radice della sofferenza. Tra le altre qualità percettive di una mente non sana vi sono la perplessità, che riempie di dubbi una persona, e l’assenza di supporto etico, che porta a ignorare i propri valori morali. Una terza è l’egoismo. Le restanti qualità nocive sono di natura emotiva: l’agitazione, la preoccupazione, l’avidità, l’avarizia, l’invidia, l’avversione, la distrazione e il torpore. Questa lista, ovviamente, non è solo del buddismo: chiunque abbia studiato il catechismo vi riconoscerà alcuni dei “peccati” descritti nella cultura cristiana.

La principale qualità sana è invece l’intuizione, la chiara e penetrante percezione delle cose così come sono, così come semplicemente sono. Una seconda è l’attenzione, che sostiene tale chiarezza. Queste due qualità, da sole, sopprimono tutte quelle negative. Un gruppo – la modestia, la discrezione, la rettitudine – è di supporto alla vita etica. Un altro – l’elasticità, la flessibilità, l’adattabilità e la bravura – dona scioltezza naturale, serenità e maestria in ciò che si fa. Il resto – il non-attaccamento, la non-avversione, l’equanimità e la compostezza – riflettono quella tranquillità fisica e mentale che è il “marchio di autenticità” della vita emotiva sana. Lo scopo della meditazione è incrementare le virtù positive e diminuire quelle negative. Lo stato di coscienza caratterizzato dalla nescienza o cecità spirituale, conosciuta in termine tecnico come avidya metterebbe in moto, secondo il buddhismo, una specie di routine senza fine né inizio: un perpetuo errare creando un quadro illusorio di se stessi e del mondo.

I dodici anelli della ruota dell’esistenza

Cosi, nel margine esterno della "ruota dell’esistenza" sono raffigurati (dall’alto in basso e in senso orario) dodici anelli, dodici tipi di reazioni a catena che hanno luogo ad ogni istante per portare in azione quello che chiamiamo "esperienza quotidiana".


1. All’Ignoranza (donna cieca) s’incatenano i seguenti nodi:


2. "Formazioni volitive" (tornio da vasaio);


3. "Coscienza" (scimmia che salta tra i rami);


4. Aggregato psicofisico" (Due uomini in barca);


5. "Sensi" (Casa con sei aperture);


6. "Coppia di amanti";


7. "Sensazione" (Freccia in un occhio);


8. "Sete di vivere" (Un bevitore);


9. "Attaccamento alle forme di vita" (Raccoglitore di frutta da un albero);


10. "Divenire" (Coppia di sposi);


11. "Nascita" (Donna partoriente);


12. "Morte" (Uomo che trasporta un cadavere).

Le cose avvengono da un momento all’altro, lasciando impronte sul "flusso di coscienza". E’ ciò che chiamato karma, che letteralmente significa: "azione", e che qui indica piuttosto il risultato delle azioni impregnate del "flusso di coscienza". Tale "flusso" è concepito dal buddhismo come un continnum mentale, non limitato solo alla vita presente, bensì radicato in esperienze passate e proiettato in esistenze future. Ciò che rinasce, ad ogni istante, in questa o quella zona della "ruota dell’esistenza" sarebbe quindi la continuità del flusso di coscienza di prima, e di cui l’io cosi vividamente apparente non è che un lampeggiamento effimero.

Il buddhismo forse è l’unica religione: ad essersi costruita una psicologia profonda, operando. tra l’altro una relativizzazione del pensiero logico/lineare, di origine aristotelica. Ciò che chiamiamo "io", "sé", "personalità ", "coscienza", "individuo", "anima" magari credendo, empiricamente, che si tratti di qualcosa di autonomamente esistente sono nomi per coprire una moltitudine di fatti interconnessi.

 

Il Mostro che regge come uno specchio 1a "Ruota dell’esistenza" è la mente illuminata stessa, cioè Buddha nella forma terrifica di Yama, il Signore della Morte. I cinque teschi che gli fanno corona stanno ad indicare che egli ha realizzato la natura "vuota" delle particelle o aggregati psicofisici che, secondo il buddhismo, costituiscono la personalità umana centrata sull’io, ovvero su un continuo tentativo di strutturazione metaforica che crede, nella maggior parte dei casi, di essere solido e irrelato. La "vacuità" (shunyata) è oggetto di una consapevolezza di tipo intuitivo, e comunque non è mai concepita in termini nichilistici, né, d’altra parte, in termini eternalistici: o come qualcosa di sacro. La “ vacuità" ultima dei fenomeni (siano essi esterni oppure interni e permeati di consapevolezza) è piuttosto la realizzazione di un’alta meditazione – di un varco, per cosi dire, che s’apre all’improvviso in uno dei punti dell’organizzazione egotica dell’esperienza.

Trasformatore di energia

Una volta compresa la connessione di tutti gli stati di condizionati e il loro reciproco rinforzo, una volta che si è vista in un solo istante, sincronicamente, tutta 1’interreláta struttura samsarica così come si riflette nello specchio di Yama, se ne è autenticamente fuori, spaziando in un campo più vasto, che quella comprende trascende al tempo stesso.

Il mandala è, in un certo senso, un trasformatore di energie. Entrare nella consapevolezza di tutto il movimento di un’emozione, significa effettivamente non fare completamente corpo con essa, non identificarvicisi assolutamente, bensì lasciare uno spazio libero per il gioco, la ripresa, la comunicazione e, in fondo, anche un po’ d’ironia e un certo silenzio. Questo spazio prefigura il punto-istante all’origine della coscienza grata per lo straordinario e meraviglioso dono della vita, e ad ogni istante nuova, sorgente, beata, alle radici e al cuore dell’esperienza meditativa.

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