Libri / Hotel Oasis

LIBRI
HOTEL OASIS
Chez les éditions Biliki vient de sortir la traduction française de "Hôtel Oasis"
Ecrit par Gianni De Martino – Traduit de l’italien par Christian Pirlet
Roman précédé de Écrire l’amour d’homme à homme d’Alberto Moravia.
 
Publié en 1988 en Italie, Hôtel Oasis raconte ce qu’au cinéma, on appellerait un flash back, autrement dit un souvenir. Le souvenir d’un lieu, Kebira, et d’un garçon, Aliwa. Et il raconte aussi «la tentative d’enracinement dans une société différente à travers l’étude du langage érotique et du comportement sexuel de la civilisation arabo-musulmane».
 
Traduction de l’italien : Christian Pirlet
Editions Biliki
CM International asbl
44 Rue des Palais, bt 70
1030 Bruxelles
www.biliki.com
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È imbarazzante, per me  – dopo tanti anni – reimmergersi nell’universo testuale del vecchio Hotel Oasis…
 
Non so perchè oggi abbiano voluto tradurlo in francese. Forse perché – come aveva già notato a suo tempo la buonanima di Pier Vittorio Tondelli, che nel 1988 lo scelse per la sua collana mondadoriana "Mouse to mouse"  – oltre al punto di vista etnologico e alla "continua volontà di mettersi in discussione", c’era "un’impalcatura ideologica e teorica talmente precisa che si riferiva ai francesi, a Foucault o a Genet e a Duvert, rappresentanti di una certa cultura europea che andava in Nordafrica…"
In ogni caso, non è facile – a sessant’anni suonati, quando invece di giocare con la lingua, combattere con le parole, e lasciare macchie in giro, dovrei allenarmi a scomparire – rifare il viaggio attraverso la gioventù, muoversi fra i dolori e le gioie di quegli anni…
 Il marchio della collana disegnato da Luis Frangella
La ricerca di una fraternità perduta e l’atmosfera cosmopolita, desiderante e gioiosa di quel breve decennio fiorito  tra il 1966 e il 1977, è molto ben rappresentata, mi pare, oltre che dagli hippies e dagli amici del Living Theatre – conosciuti a Essaouira nel 1975, prima che il gruppo si dividesse – dall’arte di Béjart e la sua vastissima produzione in cui spiccano l’erotismo cosmogonico ed estremo del Sacre du Printemps e del Bolero, tappe fondamentali di uno dei coreografi più popolari del Novecento *.
Ecco – dico a me stesso – intere giovani vite di energia fluire in pochi istanti – un attimo prima dell’avvento degli stupidi anni Ottanta e dell’Aids, che avvelenava i  piaceri dell’amore e si portava via, uno a uno, amici, compagni e conoscenti… Se riguardo l’agenda di quegli anni la trovo piena di croci, ho un taccuino che somiglia a un cimitero. E però anche non pochi bei ricordi. Era quando eravamo tutti belli come Jorge Donn, fieri e dritti come lance. E, pieni di fiducia, di entusiasmo, pensavamo – tra molta arroganza e sacchi a pelo – di essere la prima generazione civilizzata del pianeta; e che le utopie si realizzassero, prendendo per  realtà le scintille dei nostri desideri e credendo di poter superare per magia i limiti delle regole, le barriere delle razze, delle classi, dei linguaggi, insomma i muri della follia della normalità e le fortezze di Babele **
 
*  " Béjart ha celebrato, attraverso la danza, lo sconfinamento della percezione mediale e la liberazione da stili di vita omologanti imposti dalle maggioranze costituite. È stato il perseguimento di un sovraccarico percettivo, esperibile attraverso un modo di vivere più intenso, ma sussunto nella concretezza del corpo, ad animare la ribellione giovanile degli anni Sessanta e Settanta, promossa da una generazione nata immersa nella cultura televisiva, la cui coscienza sociale era in parte una coscienza mediata ( Cfr. Joshua Meyrowitz, No Sense of Place. The Impact of Electronic Media Behavior, 1985,   trad. it. di Nadia Gabi,  Oltre il senso del luogo, Baskerville, Bologna, 1995, p. 217). 

 
**  "La beat generation, attraversata da rimbalzi  tattili, sensibilizzata da carezze elettroniche, scossa da ‘fremiti fermi’” ( Cfr. Gabriele Frasca, La scimmia di Dio, Costa & Nolan, Genova,  p. 161 ). "Reinterpretando in chiave pacifista Roméo et Juliette, del 1966, o offrendo una versione ispirata all’ideologia guevarista dell’ Oiseau de feu, del 1970, i protagonisti béjartiani, rapiti dalle emozioni, in un gioco di tensioni e sospensioni, costituivano i doppi danzanti dei rivoluzionari sessantottini e riflettevano il desiderio di libertà di corpi che, ricondotti al centro della propria esperienza, non tolleravano più gli irrigidimenti provocati dalle consuetudini convenzionali. I ballerini si allontanavano dall’apollinea classicità per spingersi sul terreno dell’estasi dionisiaca, mentre abbandonavano gli spazi teatrali e trovavano collocazione nelle piazze, nei tendoni da circo, negli stadi, riconoscendo il territorio su cui esercitare la propria fascinazione e trasformando fenomeni artistici aristocratici in coinvolgenti spettacoli di massa ( Da: Maurice Béjart: pensiero e carne nell‘arte di Linda De Feo > http://quadernisf.altervista.org/numero12/02bussole/q12_linda_bejart_01.htm ).
 
 
 
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QUARANT’ANNI DOPO ( occorre molto tempo per diventare giovani…). Da destra: Matteo Guarnaccia, Italo Bertolasi, il prof Claudio Visentin, Gianni De Martino, Oliviero Toscani ( e alla fine, tutti lasciamo una macchia…)
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                                                                              On the Road again…
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Quando eravamo capelloni. Nuovo libro in preparazione
In copertina: “ Sulle scale di Trinità dei Monti, Roma 1966” ( foto di Vittorio Pescatori)
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