Rituali aromatici

RITUALI AROMATICI
NON C’E’ FUMO SENZA DEI *

A shaman uses smoke from a juniper twig to clenase a patient of evil spirits.
Siberia. Republic of Tuva.

La pratica di bruciare vegetali aromatici sugli altari risale ai primordi dell’umanità ed è attestata in tutte le civiltà.Non c’e fumo senza dei , osserva Roberte Hamayon in uno studio sui rituali di fumigazione con vegetali aromatici presso i Buriati. Fu pubblicato nella rivista L’Ethnographie (n. 74-75,1977) e l’etnologo francese citava specialmente il serpillo ( una specie di timo), le scorze dell’abete rosso, le bacche di ginepro. Questi vegetali aromatici svolgono un ruolo di purificazione nello sciamanesimo siberiano. Svolgono anche un ruolo di emblema e vengono considerati oggetti capaci di rendere esseri e cose culturali atte a stabilire un contatto con il sovrannaturale. Questa pratica di purificazione tramite fumigazioni di serpillo, bacche di ginepro, scorze di abete e altri legni la si trova anche nei rituali del buddhismo del Tibet, il vajrayana.

Nei vari studi sui rituali sciamanici, così come delle varie pratiche di culto, l’attenzione di solito è posta specialmente sulla funzione che vi svolgono invocazioni, danze, suoni e colori, meno sulle fumigazioni. In uno studio per la rivista Altrove n.3, I profumi della notte ghnaoua, ho individuato le sostanze aromatiche usate in un rituale di possessione nordafricano, la derdeba dei Ghnaoua del Marocco. Indipendentemente dalla loro natura più e meno psicoattiva, si tratta di profumi che svolgono una funzione fortemente simbolica. Se per i Buriati si tratta di purificare esseri e cose, ‘caricandoli ‘ in un certo senso di significati sovrannaturali, nei riti di possessione nordafricani si tratta invece di ‘nutrire gli spiriti o jinn con i fumi dei vegetali aromatici ; oltre che con gli effluvi che si levano dal sangue degli animali, come galline, capre o tori, talvolta anche cammelli, sacrificati per sgozzamento. Anche in paese musulmano, come in numerose altre culture, non c’e ; festa senza sangue. Le fumigazioni segnano il passaggio dalla fase profana a quella sacra del rituale. Solo dopo le fumigazioni, la harraba , lo spazio in cui si verificheranno le possessioni, è considerato ‘aperto’.
Nello studio sulle fumigazioni rituali nei riti di possessione in Marocco, recensivo per la prima volta, grazie all’erborista Luigi Cristiano e al compianto Georges Lapassade, i vegetali aromatici che venivano usati. Fra questi, oltre alla resina di benzoino, citavo i semi di ruta siriaca (Peganum harmala), una pianta che è stata proposta da Flattery e Schwarz come fonte originaria dell’haoma iraniano. La ruta siriaca è una pianta che da sola non parrebbe essere in grado di produrre i profondi stati visionari indotti dall’haoma, ma che tuttavia, per avere sperimentati gli effetti del fumo prodotto dai semi bruciati, produce un effetto leggermente ipnotico. Quando si studiano i vegetali in uso nei rituali, prima o poi spunta qualche pianta che porta altrove.
Porta cioè a una zona intermedia tra uomini e dei, terra e cielo, corpo e spirito, che è ben rappresentata, mi pare, dal trittico ‘Il giardino delle delizie ‘ di Bosch (1480-1490) ora al Museo del Prado, a Madrid. Si vuole che nel pannello centrale del Giardino delle delizie, Bosch abbia dipinto il paradisus voluptatis della tradizione teologica, l’ hortus deliciarum celebrato dai mistici. Così lontano dalla nostra sensibilità, così difficile da decifrare, quel trittico del XVI secolo sembra, tuttavia, parlarci di un’esaltazione dei sensi che sfocia nel suo contrario, nella triste parodia del piacere fine a se stesso e del desiderio ridotto a bisogno corporeo . Ma a parte i significati che vi si possono trovare, quello che colpisce è la proliferazione di particolari apparentemente incongrui, motivi fantastici, scene bizzarre, come per esempio quel fragolone in primo piano, che giocando con il simbolismo dei frutti, forse allude alla lussuria. In ogni caso, si tratta di un « altrove » fantastico che sfida qualsiasi interpretazione.

“Il giardino delle delizie” di Bosch, part. del fragolone in primo piano, che giocando con il simbolismo dei frutti, forse allude alla lussuria.

“il quadro si organizza in modo da ‘provocare e deludere’ qualsiasi traiettoria interpretativa”. L’osservazione è di Michel de Certeau (intellettuale gesuita, storico antropologo psicanalista, tra i fondatori dell’Ecole freudienne de Paris di Jacques Lacan) che al Giardino delle delizie ha dedicato un capitolo del suo studio sul misticismo (Fabula Mistica, 1987). Questo ‘ altrove’, questo ‘non luogo’ sembra essere proprio lo spazio, a un tempo « provocatorio e deludente », dell’arte e di un’eccedenza mistica che forse è proprio il segreto dei rituali e del linguaggio.
Nei rituali, le fumigazioni aromatiche aprono a uno spazio ‘ altro ‘, d’interpenetrazione tra il basso e l’alto, il vicino e il lontano, il visibile e l’invisibile. Questo spazio separato( che oggi è, in parte, quello dell’arte) è lo spazio del ‘ sacro ‘ – nozione che implica il puro/impuro e vari riti di approccio a una zona tremenda, maiestatica, affascinante. Il punto, intenso e feroce, in cui – generalmente tramite un sacrificio – la vita va al di là, è ben rappresentato dal fumo delle vittime e delle sostanze aromatiche che sale verso l’alto, stabilendo una ‘comunicazione ‘ con l’invisibile.
Non è solo un effetto visivo, ma anche olfattivo. Il fumo che si leva negli incensieri simboleggia la preghiera, mentre l’atto di inalare quell’odore è partecipazione mistica al sacro mistero che si celebra. A differenza della vista, che è il senso della distanza e della teoria, l’olfatto è il senso della vicinanza e della confusione. Quando vedo – diceva Adorno – resto me stesso. Con l’annusare ci si perde… . L’olfatto è il senso più « arcaico », legato al sistema limbico, la parte più antica del cervello che presiede alla fame, al sesso e alle emozioni, ed ha poche connessioni con la corteccia e i centri del linguaggio. Basta una zaffata, ed eccoci immediatamente coinvolti con tutto il corpo, senza poter scegliere. Anche per questo, tutta la tradizione filosofica occidentale ( con qualche eccezione, p.e. Nietzsche) ha ritenuto l’olfatto un senso ‘primitivo’ o animale’ ( come lo definiva Aristotele), non coinvolto nella conoscenza. Che è fondamentalmente apollinea, legata cioè alla vista e a uno spazio teorico, suscettibile di mettere in prospettiva idee distinte.
Il mito fondatore della funzione delle piante aromatiche, per quanto riguarda la civiltà occidentale, resta quello di Prometeo. Tutto – secondo quanto racconta Esiodo – inizia all’età dell’oro, quando uomini e dei vivevano e banchettavano insieme. A un certo punto, nasce la questione di cosa spetta agli uomini e cosa agli dei. Prometeo, l’inventore del primo sacrificio, gioca d’astuzia e propone agli dei le ossa mascherate da un velo di buon grasso, e agli uomini la carne coperta da una brutta pelle di bue. Naturalmente Giove si accorge dell’inganno e sceglie il grasso e le ossa, lasciando agli uomini il nutrimento carneo e sanzionando così la loro natura di esseri mortali. Gli dei non hanno bisogno di carne, si nutrono del fumo delle ossa e del grasso degli animali sacrificati e del fumo delle piante aromatiche. Esiste tutta una vasta mitologia greca degli aromi e del loro statuto ambiguo, in quanto sia riservati agli dei e alla cucina sia – una volta distolti dagli altari e dal fuoco domestico – strumenti di seduzione.
L’apertura di un altro spazio tramite fumigazioni con vegetali aromatici sembra una pratica universale. Probabilmente la prima idea di sacrificio viene dalla scoperta del fuoco. Agni, il dio del fuoco, è invocato a ogni linea dei rituali vedici. L’importanza del fuoco per la conservazione della vita è tale che i primi uomini hanno preso l’abitudine di circondare la nascita e la cura del fuoco con le stesse parole, gli stessi gesti, diventati in seguito dei riti indispensabili. Quando si costituisce la scienza sacra delle relazioni dell’uomo con l’invisibile, il fuoco fisico diventa il segno di numerosi fuochi più sottili : il fuoco elementare, il fuoco etereo, il fuoco del firmamento, il fuoco solare, il fuoco intellettuale, il fuoco cosmico. Queste sette fiamme, combinandosi con altre forze universali, generano le quarantanove fiamme di Agni – più la cinquantesima fiamma, indicibile e inattingibile, in quanto assolutamente altra e identica al Brahman. Secondo le scritture del Çatopatha, l’intera Creazione è un immenso e continuo sacrificio, in un ardere continuo di esseri, cose e forme. Il fuoco sottile di Agni è il divoratore di interi universi. Il sacrificio costituito dall’ardere dei mondi creati è il modello e il termine di ogni altro sacrificio. Perché il Signore (Pradjapati) vi presiede come prete, come vittima, come agente ( il fuoco) e come destinatario. Fatte salve le dovute differenze, ritroveremo concezioni simili nella teologia e i riti liturgici della chiesa cattolica e di quella ortodossa. 
INCENSO E FUMIGAZIONI LITURGICHE
 Le fumigazioni fanno parte della liturgia, le cui forme conservano tracce dei più antichi riti con vegetali aromatici . Si tratta di seguire gli spostamenti storici e simbolici di un « orologio rituale », in cui la nuova vita del cristianesimo si esprime nei termini delle tradizioni già esistenti – vediche, greche, egiziane, ebraiche, romane – dando loro allo stesso tempo un nuovo significato. Nella chiesa cattolica viene usato un solo tipo di vegetale aromatico : l’incenso, la resina della Boswellia, per distinguersi dalla molteplicità di sostanze in uso nei culti politesti.
Tra i molteplici significati dell’offerta d’incenso il più antico è forse il simbolo scritturale della preghiera che, a somiglianza della colonna profumata dell’incenso ( già presente, ma con altri significati, nei templi dell’antico Egitto e poi all servizio del Tempio di Gerusalemme), si leva dalla terra verso il cielo al cospetto di Dio. (“Salga a te la mia preghiera come incenso », Salmo 140 ). Questo sacrificio di adorazione è presente nella chiesa bizantina, nelle funzioni dette dei Presantificati, nelle quali, il turibolo fumante viene deposto e lasciato sull’altare, mentre il sacerdote leva alte le mani.
Il termine profumo deriva da pro fumum , pro fumum tribuere – rendere tributo attraverso il fumo. L’offerta d’incenso all’imperatore, questo atto d’idolatria che costò al cristianesimo numerosi martiri a causa del loro rifiuto del tributo di fumo dovuto all’imperatore, fu presto tradotto anch’esso nei termini cristiani di omaggio all’Onnipotente. Ha questa origine l’incensazione liturgica dell’altare, del libro dei Vangeli, delle Oblate all’Offertorio e, ogni qualvolta sia esposto, del santissimo Sacramento.
 Come riferisce Cristina Campo, nel suo studio sull’uso dell’incenso,i bizantini incensano persino il velo del calice prima che questo ne venga ricoperto e tutti i paramenti del vescovo, via via che egli li indossa. Il tempio bizantino viene del resto incensato completamente, icona per icona, all’inizio e nel corso di molte cerimonie in presenza del volto e delle figure dei santi. Le persone dei celebranti e degli assistenti sono anch’esse incensate in entrambe le Chiese. Ai Vespri conventuali latini si incensa l’altare della Vergine al canto del Magnificat. Nelle antiche abbazie benedettine l’incensazione si ripete tre volte, a ogni Notturno dell’ora canonica di Mattutino.
L’interpretazione mistica tradizionale dà all’offerta dell’incenso ulteriori significati. Esso si brucia:
1) per rendere omaggio, onore e gloria al Dio trinitario tramite la rimemorazione del sacrificio dell’Agnello. Un sacrificio, cioè, di Dio stesso che, diventato uomo, osa innalzarsi sulla croce ( svelando così – secondo l’interpretazione che ne dà René Girard – lo scandaloso non-detto, ovvero il sacrificio della vittima alla base del costituirsi del gruppo umano cosiddetto civilizzato) ;
2) per imitare in terra ciò che gli Angeli fanno in cielo, dove san Giovanni , nell’Apocalisse, li vide offrire a Dio molti incensi bruciati in turiboli d’oro (Ascendit fumus aro matum in conspectu Domini, de manu angeli);
3) per profumare lo spazio in modo da renderlo uno spazio altro, sacro – un tratto purificatorio, comune all’uso più arcaico del fumo fragrante dei vegetali aromatici;
4) per insegnare ai fedeli a bruciare e consumare anch’essi la loro vita per la gloria di Dio e diffondere ovunque il buon odore del Cristo. Del Cristo Gesù che, nei bestiari medievali, viene paragonato alla mitica pantera profumata della quale si diceva che attirava le prede con il suo buon odore. Allo stesso modo Gesù-pantera cattura le anime con il suo profumo.
 L’ idea di bruciare e consumare la vita come un incenso che glorifica Dio, deriva invece probabilmente da una fonte scritturale. Nei salmi, per esempio, dove si parla della vita del Messia come una vita di sofferenze per gli altri. E nel vangelo di Matteo (9 :17), dove la natura della sofferenza è paragonata a un’otre sul fumo. L’immagine è quella di una tenda, al cui interno è sospesa un’otre esposta al fumo che si leva da un braciere. Per effetto del calore e del fumo l’otre di legno si restringe e annerisce, mentre il vino non ne soffre. Anzi, per effetto del calore del fuoco diventa più buono, più commestibile. Il fumo, sgradevole per l’otre, è salutare per il suo contenuto. Insomma, sarebbe l’immagine del credente che soffre. Sofferente ma felice !
Oltre al tempio, alle cose sacre e ai vivi ( in quanto corpi che con il Battesimo divennero membra del Cristo e templi dello Spirito santo), la Chiesa incensa anche i morti, per mostrare che, come i fedeli morti hanno già fatto olocausto della loro vita al Signore, così i viventi debbono farne olocausto ogni giorno nel servizio di Dio.
NON C’E FUMO SENZA SPIRITI
Se il Dio dei cristiani si manifesta – come gi dèi greci – in odore di soavità, la presenza degli spiriti del male è invece segnalata o simboleggiata da uno sgradevole biglietto da visita : il puzzo. Secondo la tradizione , infatti, Mefistofele, aureolato dal tanfo infernale, prende il nome dalla puzzola (in latino mephitis). Il diavolo, il ‘puzzone’ per eccellenza, sa di zolfo. L’odore di putrido è universalmente ritenuto sgradevole, allarmante, pericoloso. E’ il tipico odore delle cose cattive da mangiare ed è anche l’odore tipico del cadavere e della morte. L’odore fetido della putrefazione è fonte d’angoscia. Di contro all’odore putrido si usano odori di resine ritenute solari, immarcescibili, come la mirra, l’olibano o l’incenso. Così l ‘incenso, fragrante e benedetto dal celebrante col segno della Croce, si oppone alla presenza maligna e mortifera, creando un cerchio di benedizione e operando nel regno dell’olfatto quello stesso esorcismo che la campana opera nel regno dell’udito, l’acqua benedetta in quello del tatto. Tale potere esorcistico è dimostrato dalla triplice incensazione circolare della salma nella cerimonia dell’assoluzione e in quella della sepoltura. Questo viene dichiarato esplicitamente da papa Innocenzo III in De sacrificio missae: “Fumus incensi valere creditur ad effugando daemones“.
Tale pratica risale probabilmente all’antico Egitto, all’origine della profumeria riservata inizialmente ai sacerdoti e agli imbalsamatori. Si trattava non solo di mascherare gli odori cadaverici, ma anche di restituire integrità al corpo del defunto e fornirgli il buon odore, l’odore degli dei. Il dio della profumeria era Nefer, il cui emblema era il loto e il buon odore del loto blu (Ninfea caerulea ), simbolo delle origini della vita . Per gli Egiziani, così come anche per i Greci, gli dei avevano un buon odore ( euodia).
Quanto al cattivo odore degli spiriti maligni, più che di esorcismo si trattava di adorcismo. Gli spiriti maligni puzzano, non fuggono davanti ai cattivi odori, anzi se ne nutrono. Secondo la teoria occultista, offrire cattivi odori agli spiriti maligni li distrae, li distoglie dall’attaccarsi alle energie vitali dei vivi. Questa pratica sopravvive in Marocco, dove durante i funerali si brucia il  fasukr - il succo rappreso di un’euforbiacea dall’odore pestilenziale. Gli spiriti che si raccolgono attorno al cadavere, succhiano il cattivo odore del fasukr , invece di indebolire e danneggiare i vivi. Non c’è fumo senza dei, e, aggiungerei, non c’è fumo senza spiriti.
Anime erranti, larve astrali, gandharva ( gli angeli musicisti dell’induismo, fatti solo di profumo o gandha ), ginn diversi dell’islàm, cattivi diavoli, diavoletti e spiriti elementali giocano, a loro modo, la sarabanda degli odori e dei quattro elementi come nel Giardino delle Delizie di Bosch. Le ondine odorano d’acqua, le salamandre di fuoco, le silfidi d’aria, gli gnomi sanno di terra e di funghi. I grimoires, i libri di magia, sono pieni di formule per evocarli sia con parole sia con fumigazioni di questa o quella pianta aromatica. I più gentili e simpatici sono gli gnomi. Pare che siano molti servizievoli verso chi riesce ad evocarli con fumigazioni apposite. Somigliano un po’ ad alcuni tipi di djinn, affrits e m’louk del Marocco, anch’essi guardiani naturali dei pozzi e di favolosi tesori sepolti. Chi di noi non ha sognato di diventare improvvisamente ricco, senza sforzo, magari passando la schedina del superenalotto sul fumo di benzoino o di mirto ? Sono molto generosi, gli gnomi. 
Ci sarebbe ancora molto da dire sui vegetali aromatici in uso nelle pratiche magiche. Qui, anche per dare spazio agli altri interventi, mi sono limitato a evidenziare la funzione sia di purificazione sia di collegamento con l’invisibile che l’uso dei vegetali aromatici svolge da tempi immemorabili, dal sacerdote egizio alle tradizionali fumigazioni liturgiche.
 ;  *Trascrizione del testo della comunicazione presentata da Gianni De Martino al Convegno « Il giardino delle delizie. Piante sacre e saperi tradizionali », Ecomuseo di Coazze, 29 Agosto 2009.

 

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