Creatività/ La morte fa plon plon…

 LA MORTE FA PLON PLON…

Arnold Böcklin (1827 – 1901): Selbstporträt mit fiedelndem Tod, 1872 – Nationalgalerie Berlin

Nell’atto creativo, mentre dipinge, il pittore Arnold Böcklin porge l’orecchio al violino della morte.

Di cosa vive un “creativo”? Della nascita di un suo proprio doppio, di un’opera che egli invia al suo posto nel mondo, ma anche della paura della morte.

L’immaginario della morte, e del suo plon-plon, in Böcklin può sembrare abbastanza convenzionale, ma la musica vivente della morte nell’atto creativo è la visione, assolutamente reale, di quello che accade anche nell’ atto dello scrivere.

Alle fonti del processo creativo, nell’atto del prodursi dell’oggetto artistico , è in atto un lavoro mentale rintracciabile nella scrittura e in tutto ciò che è un equivalente della scrittura. Nelle operazioni del pittore o compositore, come in quelle del matematico o dello scienziato alle prese con un problema creativo da risolvere , ci si trova in una specie di stato secondo prossimo alla trance.

Come la masturbazione o la morte, scrivere è l’atto più solitario che esista; ed è caso e causa di una certa dissociazione.

In cosa uno scrittore si distingue dagli altri? La sua diversità consiste nel fatto che egli diventa, come i pipistrelli, sensibile agli ultrasuoni; e non teme, come quasi tutti, la parola MORTE.

Anzi, come sostiene William Burroughs, zio Bill ,“ lo scrittore è colui che non vuole niente di meno che assumere il posto della MORTE… Benché poi non è che sia sempre così sicuro delle sue credenziali, allo stesso modo in cui una persona mascherata da scheletro la notte di Carnevale, potrebbe trovarsi in imbarazzo nell’incontrare un morto vero. "

Lo scrittore è "socio" della MORTE. E lo è nell’atto dello scrivere, quanto più la creatività fluisce … cercando di tracciare una via per lo scorrere di un significato nel caos del mondo.

Scrivere, sudare sulla tastiera e passare, ad ogni frase compiuta , nella morte dello spazio bianco.

E qui nel bianco, resistendo nel bianco, fare come fa la MORTE: riempire i buchi…

«"E ora ascoltate" – le parole sfumavano. Grugnivano, gemevano, guaivano, come se fossero messe in questione e costrette a rivelare il proprio significato recondito...».

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Una risposta a Creatività/ La morte fa plon plon…

  1. anonimo scrive:

    Dear Gianni De Martino

    La mort est chose difficile à penser par l’écriture, difficile – voire impossible, car elle introduit, dans le vivant, une altérité irréductible.

    Pour approcher d’un peu plus près, il est nécessaire, dans un préalable, de raser de la table tout ce que l’on s’imagine de la mort et tout ce que l’on croit savoir.

    On peut dire, d’un certain point de vue, que la mort est un réel pulsionnel (Thanatos noué à Eros) qui articule le corps incarné par le verbe, qui me pense par mon corps (impensé du corps inaccessible à ma prise).

    La proximité de la mort nous est donnée, d’une manière indirecte, par la musique (et c’est là une intuition forte du peintre Arnold Böklin). L’interprétation d’une composition musicale peut me faire entendre que je ne suis pas vivant. L’auteur, transmettant la vie par sa création, via l’interprétation, me fait entendre que l’auteur, en moi, n’existe pas.

    La mort serait donc l’intuition (plus ou moins déprimante) que l’auteur, en moi, ne crée pas la vie. Ingmar Bergman (grand dépressif) était constamment dans cette hantise de la “non vie” lorsqu’il travaillait à la mise en scène et à la direction des acteurs (son film “Sarabande” est une création d’une grande évidence sur la place de la mort).

    L’auteur n’est pas le double d’une personne identifiée par sa carte sociale (écrivain ou autre). L’auteur est, d’une rive à l’autre, le passeur énigmatique de la vie et de la mort.

    Ce passage Thanatos/Eros est également le disparaître et l’apparaître – moments clés de l’amour et de la mort dans l’acte créatif.

    On peut dire qu’à l’origine de la vie crée il y a le chant: le continu du chant entre dans la formalisation par le discontinu – discontinu introduit par la pulsion de mort: blanc, silence, intervalle, vide, trou, évidement … ce que Stéphane Mallarmé et André Du Bouchet ont exploré, dans la solitude d’un désir singulier, en formalisant les blancs sur la page même.

    Le chant n’est, en aucune manière, une jouissance masturbatoire solitaire. Il est l’infini de la jouissance du féminin, du continu – ce que savent les poètes (en particulier les poètes de “l’amour courtois”).

    L’amour, la mort et la création sont noués dans le mouvement même de la vie.

    Amicalement

    Alain Henri Gangneux Bourgoin

    http://www.himmelweg.blog.lemonde.fr

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