L’eroismo di ridere di sé

COVITO PARLA DEL SUO ROMANZO D’ESORDIO, LA BRUTTINA STAGIONATA 

SE MI FOSSI CHIAMATA MARYLIN… 

di Gianni De Martino

Scandalosa Carmen. Ha inventato il personaggio femminile più allegro e sporcaccione della nuova stagione letteraria, e con il primo romanzo da Bompiani ( La bruttina stagionata , pp. 250, lire 28.000 ) appena uscito in libreria è già un caso.
Quarantatreenne, laureata in filosofia con una tesi su Schopenhauer e insegnante a Brescia dopo essere “scappata” da Castellammare di Stabia, Carmen Covito, sposata a un intellettuale giapponese, ha abitato a Madrid e Tokyo prima di trasferirsi a Milano dove attualmente vive e lavora come redattrice editoriale. E quarantenne meridionale non brutta, ma, peggio, bruttina – e per di più che ha anche la disgrazia di chiamarsi Marilina Labruna – è la sua gemella oscura, la sua Venere con i “baffetti”, il tenero burattino cartaceo inviato al suo posto nel mondo.
Impossibile riconciliarle, benché siano entrambe pericolosamente vicine. ” Se si fosse chiamata Marylin, se fosse stata bionda, se alle sue spalle si fossero eretti i grattacieli di Manhattan – dice Covito, che vive in due locali a Lambrate, mentre il suo alterego Marilina in un monolocale al Gratosoglio – la protagonista di questo romanzo non avrebbe mai pensato di poter stuprare un uomo”. E’ il racconto di una nubile assatanata e poco attraente che dopo essere passata attraverso le durezze del primo femminismo “ha imparato – dice Covito – a giocare con il ruolo femminile, riconoscendo con molta ironia e divertimento la necessità dell’uomo di avere di fronte una donna apparentemente fragile e non aggressiva”. Alla fine però è lei che vince, lei che si mette sopra ( per usare il titolo del recente saggio della scrittrice americana Nancy Friday, Donne sopra). Prendere ciò che capita, non pretendendo quel meglio che forse a una bruttina sarebbe negato, è un punto di vista modesto e questo libro non porterebbe a nulla se non riuscisse a provare che dobbiamo le nostre qualità alle nostre debolezze e i nostri doni alle nostre differenze. E poi, evviva la faccia! Millenni di moralismo, di cultura di silenzio e di esclusione ci avevano fatto credere che la donna non avesse fantasie, iniziative, ed ecco che una che faceva la santarellina rivendica un immaginario erotico non differente da quello maschile. Anzi più sottile e spregiudicato, che rafforza e accellera la separazione della sessualità dalle tendenze affettive, dal mito della femminilità come bellezza e della famiglia come nucleo germinale – un trittico importante nell’ormai vasta letteratura sulla posizione della donna. E’ il potere maschile che La bruttina mette in discussione?

” E’ l’aspetto utopico del libro – sottolinea Covito. – Secondo Marilina i rapporti sessuali dovrebbero basarsi sul piacere e invece, nella realtà, sono ancora rapporti di potere”.

– Nel tuo personaggio c’è anche come una ritorsione, l’astuzia con cui una donna, fingendosi piccola e debole, diventa per un momento più forte dei forti.

” Una donna che non possiede l’arma della bellezza deve servirsi di tutti gli altri mezzi a sua disposizione, compresa quella che nel Settecento Tommaso Accetto chiamava ‘onesta dissimulazione’ “.

– Tra le altre armi, Marilina possiede la lingua. E’ l’unica che, in tutto il romanzo, usa bene il congiuntivo.

” Lo usa coscientemente, e alla fine s’innamora di un uomo che sa usarlo bene come lei. Il congiuntivo è il modo del possibile e dell’impossibile, quindi perdendone l’uso si perde il desiderio e si perde l’utopia, ci si trova davanti a una realtà all’indicativo, cioé così com’è, nel piatto presente, senza la possibilità o la speranza di modificarla. La protagonista del romanzo vive continuamente tra fantasia e realtà, e questo l’aiuta a prendere possesso della realtà”.

– Se avessi, se potessi, se volessi. Si dice che i meridionali usino spesso il congiuntivo, come le donne.

” E’ un uso che conferisce a rapporti e fatti concreti quel particolare vibrato che gli uomini del piatto indicativo trovano spesso snervante nei meridionali e nelle donne che parlano ‘a vanvera’. Invece è la possibilità dell’utopia, del desiderio, della fantasia”.
In che maniera è presente l’immagine di Napoli nella tua scrittura ?

” Direi che l’immagine di Napoli è presente proprio nell’aspetto, fondamentale nel mio libro, dell’autoironia. Fa parte del carattere napoletano, mi sembra. Però ci sono due tipi di ironia: una autodistruttiva e aggressiva nei confronti degli altri, che mi sembra una delle componenti più negative del carattere napoletano, lo sfottò; e un’autoironia di segno positivo: quella che secondo Freud è virtù eroica.

– Come l’ironia dolorosa di Eduardo…
” Sì: quello humour, a volte nero, che consente di affrontare il convivere con il dolore senza rimuoverlo. Poi nella mia scrittura c’è la corporeità, il senso del corpo, che mi sembra un’altra componente della napoletanità, che ha molte facce. Sono lettrice di Basile, del Pentamerone, e pur non essendo la mia una scrittura barocca la tradizione del Settecento napoletano vi si riflette nel senso del grottesco, nell’esuberanza anche linguistica”.

– Aldo Busi ti ha affidato i risvolti di copertina dei suoi libri, insieme avete tradotto nell’italiano di oggi il Novellino per la Bur e insieme state traducendo dall’inglese La lettera scarlatta di Hawthorne. E’ vero che dopo aver letto il libro Busi ti ha baciata ?
” Perché, sei geloso?

– Per niente, perché dovrei ?

– In ogni caso, è vero: Busi mi ha baciata.

– E tu ?

” Ho pensato: ‘Oddio, ho fatto tanto per diventare una scrittrice, sta a vedere che sono diventato uno scrittore..!’ “.

Articolo di Gianni De Martino, pubblicato ne ” Il Mattino” con il titolo “L’eroismo di ridere di sè” 20 ottobre 1992.

RIVELAZIONI

https://www.yumpu.com/it/document/view/15640572/rivelazioni-gianni-de-martino-sito-ufficiale

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