ALLAH AKBAR! ALLAH AKBAR! ALLAH AKBAR..!
Vanno ad attrupparsi in moschea, incappucciati come i membri del Ku Klux Klan, e ne escono con gli occhi iniettati di sangue, dopo aver ascoltato l’incitazione al jihad di qualche imam semiletterato e gridato troppo forte “Morte! Morte! Morte!” alle orecchie del loro Dio – una specie di Saddam Hussein cosmico… In Eurabia, l’Italia degli antichi e solari balconi e dei bei campanili della chiesa cattolica rischia di trasformarsi – per improvvisa amnesia – in una lunatica terra di moschee per sempre proibite ai non-musulmani. Una terra irta di protervi ed itifallici minareti , dai cui gracchianti altoparlanti i muezzin dalla voce dura, i nuovi cani dei quartieri , imporrebbero con ostentazione la presenza islamista nel nostro paese e fra i musulmani laici o non praticanti. Assediati, anche in Italia, in un’Italia smarrita, da lugubri melopee cinque volte al giorno, dall’alba al tramonto, un incubo in prospettiva… (gdm).
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NOTE SULLA MOSCHEA
CHE COS’E’ UNA MOSCHEA
di Khalil Samir S.I.
(da “La Civiltà Cattolica”)
Ultimamente si è parlato di moschee in Italia; ma sull’argomento continua a permanere una cappa di genericità e approssimazione. Quando si discute sull’opportunità di costruire una moschea o di concedere terreni a questo scopo, è necessario anzitutto non dare per scontata la conoscenza dell’oggetto della discussione. La moschea non è una “chiesa” musulmana, ma un luogo che ha nell’islàm la sua funzione e le sue norme. Perciò si deve guardare all’islàm per capire che cosa essa è.
Nella tradizione araba esistono due termini per indicare la moschea: masgid (passato in spagnolo sotto la voce “mezquita” e di là nelle lingue europee) e giâmi‘. Quest’ultimo vocabolo è il più diffuso nel mondo arabo-islamico. La prima parola deriva dalla radice sgd che significa “prostrarsi”, la seconda dalla radice gm’ che significa “radunare”. La moschea (giâmi‘) è il luogo dove la comunità si raduna, per esaminare tutto ciò che la riguarda: questioni sociali, culturali, politiche, come anche per pregare; tutte le decisioni della comunità si prendono nella moschea. Voler limitare la moschea a “un luogo di preghiera” è fare violenza alla tradizione musulmana.
Il venerdì (yawm al-giumu’ah) è il giorno in cui la comunità si raduna (come indica il nome giumu’ah). Si raduna a mezzogiorno per la preghiera pubblica, seguita dalla khutbah, cioè il discorso, che non è una predica. Nella khutbah vengono approfondite la questioni dell’ora presente: politiche, sociali, morali ecc. Il venerdì non è il giorno in cui non si lavora, come il sabato degli ebrei o la domenica dei cristiani, ma il giorno in cui i musulmani si ritrovano insieme come comunità. Ancora oggi, in Arabia Saudita, il venerdì è un giorno lavorativo; si chiudono i negozi soltanto all’ora del raduno in moschea a mezzogiorno.
In molti Paesi musulmani, per esempio in Egitto, che è oggi il più popoloso Paese musulmano arabo, tutte le moschee sono sorvegliate il venerdì e le più importanti sono circondate dalla polizia speciale. Il motivo è semplice: le decisioni politiche partono dalla moschea, durante la khutbah del venerdì. Nella storia musulmana, quasi tutte le rivoluzioni e i sollevamenti popolari sono partiti dalle moschee. Lo jihâd, cioè “la guerra sul cammino di Dio” (fî sabîl Allâh) che obbliga ogni musulmano a difendere la comunità, è proclamata sempre nella moschea, alla khutbah del venerdì. In alcuni Paesi musulmani, il testo della khutbah dev’essere presentato prima alle autorità civili visto che gli imâm (che presiedono le riunioni della comunità) sono funzionari statali.
È dunque scorretto, parlando della moschea, parlare unicamente di “luogo di culto”. Com’è scorretto, parlando della libertà di costruire moschee, farlo in nome della libertà religiosa, visto che non è semplicemente un luogo religioso, ma una realtà multivalente (religiosa, culturale, sociale, politica ecc.). Non si deve poi dimenticare che il luogo dedicato alla preghiera del venerdì è considerato dai musulmani spazio sacro e rimane per sempre appannaggio della comunità, la quale decide chi ha facoltà di esservi ammesso e chi invece lo profanerebbe. Per questo motivo non si può prestare un terreno per 50 anni, per esempio, per edificarvi una moschea; questo terreno non potrà mai più essere reso.
Esistono spesso, nelle città dei Paesi musulmani, piccoli “luoghi di preghiera”, chiamati di solito musallâ (preghiera), da salât. Sono come “cappelle” che possono contenere circa una cinquantina di persone e che si trovano spesso al pian terreno di una casa, al posto di un appartamento. Questi luoghi, più discreti, sono generalmente utilizzati quasi unicamente per la preghiera del mezzogiorno, permettendo alla gente della strada o degli edifici vicini di pregare in pace.
Le moschee hanno normalmente un minareto (manârah), da dove il muezzin (mu’abhdhin) lancia l’appello alla preghiera (adhân). I minareti hanno una funzione pratica e sono leggermente più alti delle case che li circondano. Hanno assunto spesso nella storia una funzione simbolica, di affermazione della presenza musulmana, e talvolta una funzione politica di affermazione della superiorità dell’islàm sulle altre religioni. Il loro scopo essenziale è di permettere alla voce umana di giungere a chi abita vicino.
In questo secolo, si sono spesso posti altoparlanti sui minareti (soprattutto se c’è una chiesa vicina o un quartiere cristiano), e i muezzin hanno aggiunto altre cose all’appello alla preghiera (adhân), prolungandolo. Queste innovazioni sono contrarie alla tradizione musulmana (la sunnah) e i Paesi musulmani rigorosi le condannano, come per esempio l’Arabia Saudita, anche se la condanna non cambia le abitudini. In altri Stati, come per esempio l’Egitto, l’uso degli altoparlanti (a tutto volume) è limitato unicamente all’appello (che dura circa 2 minuti) ed è vietato per la preghiera dell’alba (salât alfagr), divieto di fatto non osservato. L’uso dei registratori per l’appello, che si diffonde in molti luoghi, è considerato contrario alla Tradizione.
Infine è necessario chiedersi chi finanzi le moschee e i centri islamici. È risaputo che gran parte delle moschee e dei centri islamici in Europa sono finanziati da Governi musulmani, in particolare da quello dell’Arabia Saudita, che perciò ha il diritto di imporre i suoi imâm. Ora, è ben noto che nel mondo islamico sunnita l’Arabia Saudita rappresenta la tendenza più rigida, detta wahhabita (da ‘Abd al-Wahhâb, 1703-92). Non sono quindi questi imâm che potranno aiutare gli emigrati a inserirsi nella società occidentale, né ad assimilare la modernità, condizioni necessarie per una convivenza serena con gli autoctoni.
Alcuni elementi di giudizio
Non è possibile né giusto impedire ai musulmani di avere luoghi di preghiera in Occidente. Sarebbe probabilmente più adatto al contesto sociologico degli emigrati (che rappresentano la stragrande maggioranza dei musulmani in Italia) avere musallâ, ossia “cappelle”, dove potrebbero ritrovarsi più comodamente per pregare. Sarebbero anche meno costose per loro. Rimane un rischio: la moltiplicazione dei piccoli luoghi di preghiera rende più difficile il controllo su quanto vi si svolge.
La moschea, in quanto centro socio-politico-culturale musulmano, non può entrare nella categoria dei “luoghi di culto”, non essendo esclusivamente un luogo di preghiera. Alla pubblica amministrazione spetta studiare come esercitare un certo controllo su tali centri, vista la loro funzione politica tradizionale.
L’opposizione che si vede un po’ dappertutto in Europa riguardo all’edificazione di moschee può provenire dalla xenofobia, ma è anche probabile che derivi dal timore che essa sia un atto politico di affermazione di un’identità diversa sotto tutti gli aspetti, troppo estranea alla cultura e alla civiltà occidentale.
Se un tale centro musulmano potesse aiutare gli emigrati a integrarsi nella società italiana locale e nazionale, con corsi adatti e altri servizi, sarebbe da incoraggiare, poiché lo scopo è di costituire insieme, emigrati e autoctoni, una società comune e solidale. Potrebbe essere incoraggiata (anche materialmente) la formazione di gruppi o associazioni misti, composti da emigrati (musulmani e non musulmani) e autoctoni, per rinforzare l’integrazione dei primi nella società italiana e l’apertura dei secondi agli emigrati. Ma, tenendo conto della tradizione musulmana multisecolare di non distinguere religione, tradizioni, cultura, vita sociale e politica, sembra importante che i responsabili si informino bene per operare queste distinzioni e siano molto attenti a non incoraggiare la politicizzazione (sotto qualunque forma) dei gruppi di emigrati (musulmani e non musulmani).
Infine è utile notare un piccolo particolare: secondo i dati ufficiali, gli emigrati musulmani rappresentano circa un terzo di tutti gli immigrati in Italia. Eppure, fanno parlare di sé molto più degli altri emigrati, che sono la maggioranza (i due terzi). Ci sembra che il motivo sia proprio la tendenza dei musulmani a politicizzare la loro presenza, a renderla visibile (sia per tendenza naturale, sia perché esistono potenti lobbies di musulmani italiani o stranieri). Sono questa politicizzazione e questa tendenza ad affermare la propria identità come diversa dagli altri che suscitano le reazioni di rigetto o di rifiuto. Non sarebbe più conforme agli interessi dei musulmani stessi cercare di vivere la loro vita (e la loro fede) in maniera discreta e integrata?
Conclusione
Da ciò che abbiamo detto si possono trarre alcune conclusioni.
Tenuto conto della natura polivalente (e spesso politica) della moschea nella tradizione musulmana, la costruzione di moschee, contrariamente a quella delle chiese, può essere un atto politicamente ambivalente. Potrebbe favorire il contrasto tra la popolazione musulmana (spesso costituita da immigrati) e quella non musulmana (generalmente costituita da italiani autoctoni), oppure favorire l’integrazione della popolazione musulmana nel tessuto della società italiana. Perciò tocca alle autorità civili discernere, caso per caso, le possibilità di successo di questa seconda ipotesi, ed enunciare le condizioni che favoriscano il raggiungimento di tale scopo, che cioè la moschea serva ad aiutare i musulmani a integrarsi nella loro nuova società.
Questo si potrebbe ottenere con diverse misure concrete: proponendo corsi di lingua italiana (anziché solo di lingua araba); assicurando servizi sociali per aiutare gli emigrati ad avere una vita più dignitosa e più integrata; offrendo servizi particolari alle donne, visto che spesso non partecipano agli incontri misti, ma nello stesso tempo incoraggiando la loro integrazione in una società mista; esigendo la distinzione tra centro culturale e luogo di preghiera; controllando la khutbah (spesso tradotta erroneamente con “predica”) fatta nel quadro della preghiera di mezzogiorno del venerdì; assicurandosi che la distinzione, fondamentale in Italia, tra religione e politica sia chiara, e aiutando la comunità musulmana a mantenerla.
Nell’autorizzare la costruzione di una moschea è ragionevole tener conto dei cittadini musulmani della zona in questione, per decidere della sua dimensione. Non sembra invece ragionevole tener conto dei non residenti, cioè di chi non ha fatto l’opzione di vivere in questo Paese e di impegnarsi ad assumere tutti gli obblighi che ne derivano, poiché lo scopo ultimo è creare una comunità solidale tra gli italiani e chi è emigrato in Italia.
(da “La Civiltà Cattolica” del 17 marzo 2001, pagine 599-603 ).
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Gli imam in Italia
«Opportuna l’azione di Nassirya».
Sempre più stretti i legami tra terrorismo islamico e comunità musulmane, prese in ostaggio da imam semiletterati e dalla loro versione riduttiva, delinquenziale e suicida della religione islamica
Sermoni d’odio in alcune moschee
(da “Il Corriere della Sera )
ROMA – Ormai non ci sono più dubbi. L’Italia è terra di esportazione di kamikaze islamici che vanno a farsi esplodere in Iraq anche contro le forze occidentali. E il brodo di coltura è in talune moschee dove si esaltano i shahid , i martiri, si predica la Jihad , la Guerra santa, e si arruolano i mujahidin , i combattenti per la causa di Allah. Sermoni di odio e di violenza che inneggiano a Osama Bin Laden e legittimano il terrorismo. I cui pilastri sono l’antiamericanismo e l’antiebraismo. Si tratta di una realtà trasversale all’interno dell’islam organizzato. Con livelli diversi di simpatia, contiguità e collusione. Ma anche con prese di distanza e condanne significative. Che fanno ben sperare sul riscatto della maggioranza musulmana rimasta troppo a lungo silenziosa. (Magdi Allam, 30 novembre 2003 – Corriere della Sera – Sermoni d’odio in alcune moschee )
FONTE:www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/ 2003/11_Novembre/30/allam1.shtml – 35k –
[ Altri risultati in www.corriere.it ]
– > Alla grande moschea di Roma c’è un imam che invoca la guerra santa
– > Imam in guerra. Modelli di predicazione in sei moschee d’Italia
– Altre notizie su moschea+terrorismo
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“ Gli americani si sono abbattuti da sé le Twin Towers per dare la colpa ai musulmani. Gli ebrei dominano segretamente il mondo e impastano le loro focacce col sangue dei Gentili. Così la paranoia dei media arabi ed iraniani riempire il vuoto di educazione dell’umano con il risentimento” ( da ‘ I media dell‘odio articolo di Casadei Rodolfo , “Tempi “ n. 22, 27 maggio 2004 )
FONTE: http://www.tempi.it/archivio/articolo.php3?art=6655
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GLI IMAM IN FRANCIA
AGGIORNAMENTO 21.06.2004 Allarmato per la diffusione dell’estremismo islamico in Europa,il ministro dell’Interno francese De Villepin ha chiesto ai “Renseignments Generaux”,l’equivalente del contro-spionaggio, un rapporto su quel che accade nelle moschee francesi. RISULTATO: 80% degli imam nelle 1000 moschee esaminate sono stranieri; 20 % con nazionalità francese,ma solo il 2% nati in Francia. La maggior parte degli imam hanno detto di essere volontari non-stipendiati,che vivono di offerte. Nel 40% delle moschee,gli imam hanno ammesso di essere “auto-nominati” o “improvvisati”,con nessuna credenziale teologica. Soltanto quelli di origine turca possono provare di aver seguito studi religiosi regolari.
Un po’ più del 10% degli imam esaminati ha ammesso di essere “autodidatti” con istruzione ricevuta da Internet. Richiesti di mostrare quali siti web visitino e consultino, si è visto che si tratta di siti tutti simpatizzanti di al-Qaida. Il controspionaggio francese ha inoltre rilevato un marcato aumento delle prediche violente e incitanti alla violenza da Brest a Marsiglia.Gli attacchi contro la politica laica francese sono pari al violento anti-americanismo.
Da un articolo sul Washington Times del 19/6/2004
Grazie a : Martino Fatti di ordinario islamismo europeo