Theo van Gogh 1957 – 2004



SEPPELLIRE IN FRETTA

Nei paesi islamici come l’Iran, l’Egitto o la vicina Algeria basta la fatwa di qualche imam semiletterato per essere sgozzati come blasfemi o come apostati. Finchè tali orrori accadono nella notte dei paesi della mezzaluna in cui il radicalismo islamico è diffuso, è una cosa; avere “un blasfemo” sgozzato in pieno giorno nelle vie di Amsterdam fra gli antichi balconi dell’Europa è un’altra cosa. Eccoli che arrivano, gridando troppo forte alle orecchie del loro dio, proclamando di voler punire chi non ubbidisce solo alla lettera del Corano. E’ quanto accade oggi alla luce del grande sole multiculturale e mentitore dell’Europa liberale, libertaria e libertina. Occorre, ancora una volta, mettersi all’ascolto dell’inaudito e del furore che si levano dal cortile di casa, nominare la disperazione del condominio e analizzare le sue figure, invece che lasciar girare il mulinello della paura e del risentimento.

Il problema non è l’Islam in se stesso, quale antica credenza religiosa ovunque in decomposizione, ma quello che ne fanno giovani musulmani come Mohamed Benyahia ( o Bouyeri) quando al contatto di una modernità che sembra virare al disastro adottano una ricomposizione dell’Islam secondo una variante estremista, dai tratti astratti e violenti. L’Islam militante deriva dalla crisi dell’Islam come civilizzazione e fa ricorso al suo vocabolario religioso, ma ne è una versione disperata e maligna, semplificata e ormai globalizzata, misantropica, misogina, omofoba, trionfalistica, millenaristica, anti-moderna, anti-cristiana, anti-semita, terroristica, jihadistica, criminale e suicida, dietro la quale i milardari burattinai del terrore in Arabia saudita come in Iran e in Europa nascondono le nuove ambizioni dell’Islam. Tutto ciò che vi è di atrocemente polarizzato, di aggressivo, di perfido, di fetido e di nostalgico oggi si trova riassunto nella figura politico religiosa dell’uomo-bomba e dell’islam politico che la venera come shaid, ricorrendo a un nobile termine religioso. “Testimone della Fede” e martire-killer si confondono e vengono aureolati – come nei poster in commercio al Cairo come a Gaza o nei suk di Amsterdam – da un tipico sex-appeal spettrale.

Rassegnarsi al dilagare della peste verde, significa premiare la gnosi satanica della cosiddetta esperienza-limite, il misticismo paranoico-sacrificale e la violenza, ripiegare le braccia, guardare altrove, reagire scompostamente, invece di agire. Se per ignoranza, per paura, o per egoismo, i paesi occidentali continuano a mostrare infantilismo verso i carnefici e tolleranza per gli intolleranti, magari agitando loro sotto il naso bandierine arcobaleno se non radici sacralizzate e rizomi marci, invece di fare appello al cuore vivo dell’Europa ed essere intrepidi dovranno anche prepararsi a pagare il costo di ulteriori altri avvenimenti come la scena di sangue ad Amsterdam. E allora diventerà più probabile che l’uccisione di van Gogh, regista e giornalista, sia il primo di molti altri crimini jihadisti a venire, proprio nel campo del giornalismo, della cultura ( o di quella che ne resta, se non si è data alla macchia ) e del mondo letterato europeo. Si tratta peraltro di un mondo letterato dedito a girotondi più leggeri – anche a casa di Fulvia il sabato sera. In queste ore, non a caso, il mondo letterato sembra prostrato al capezzale di Arafat, sempre pronto com’è a innamorarsi dell’uomo sbagliato. Nella maggior parte dei casi è un mondo sazio, sinistrato ed annoiato, ormai talmente predisposto allo sfogo della barbarie da non essersi ancora accorto del sangue di un loro simile, Theo van Gogh, che gronda dai muri della casa comune.


L’ Europa è aperta e disponibile da anni a un’immigrazione islamica clandestina e massiccia , favorita dalle nazioni musulmane e dalla mafia. E il numero dei musulmani in “crisi d’identità” si sta sviluppando velocemente, subendo l’attrazione del semplicistico islam jihadista, che offre loro un’identità forte, fissa e violentemente contrapposta ai valori fondanti e ai modi vita della società che li ospita. Tuttavia sollevare tutte le questioni che la mancata integrazione o il suo rifiuto comporta è ancora in gran parte tabù in Europa. Quando il politico olandese Pim Fortuyn ha provato a sollevare alcune di quelle questioni , nel 2002, fu frettolosamente indicato come razzista – in conformità con la tendenza abituale dei media occidentali a ridurre le domande sulla deriva dell’islam e la ridefinizione dei limiti dellla capacità di tolleranza a una questione razziale, quando si tratta dell’ideologia estremista di un islam politico totalitario e maligno. Un islam deterritorializzato e high teach, che si crede portatore del Bene e del Sacro ( di un sacro non depotenziato, quindi allucinato) in società che non sarebbero altro che un’accozzaglia di “miscredenti” rammolliti e di “apostati”, che manda i suoi uomini-bomba ad immolarsi e a terrorizzare in giro per il mondo, e teorizza apertamente non solo il jihadismo scambiato per il nobile jihad, ma anche la dissimulazione e la perfidia per sequestrare l’islam, per piegare le leggi, i costumi civili e i modi di vita dei paesi ospitanti a una versione oscurantista, globalizzata e nazista dell’islam. E anche Fortuyn , naturalmente, è stato assassinato in nome del politicamente corretto: da un sinistrato olandese, un animalista rosso che, secondo il guardian, “lo ha fatto per i musulmani olandesi”.

Le morti di Fortuyn e di van Gogh nel cortile di casa rendono insostenibile i costi per il mantenimento di questo tabù, anche perché il prezzo potrebbe salire. Un requisito preliminare della concordia sociale e della pacifica coesistenza delle ideologie nella società è la libertà di discorso – specialmente la libertà di critica, di dissenso e anche di irrisione poco gradevole o stupida. Certo, occorrerebbe eliminare dal nostro vocabolario quelle vecchie parole che ci fanno sentire tutti brutti, stupidi e depressi come quando s’indossa un vecchio cappotto, una tonaca stinta o un turbante che ottunde il pensiero. Ma doversi guardare alle spalle prima di pronunciare parole come “peccato” , “ Maometto” o non uccidere(” Gij zult niet doden” ) significa che qualcosa nel multiculturalismo europeo non funziona, e che anche le parole forse si sono arruolate per fare la guerra. Dico “forse” perché non sono le parole a fare la guerra, ma la Morte. La morte delle libertà, della concordia civile, della fragile felicità che ancora ci resta, e anche di una certa bellezza, così come della libertà di espressione e dell’ironia che forse ancora per poco ci sarà permesso esercitare in tutta tranquillità e sicurezza.

In preda ai malori di questi giorni esito a chiamarli valori, furono tuttavia l’esito della dura conquista di un reale più largo per tutti dovuto all’azione e al sacrificio di persone generose che erano i nostri migliori parenti. E non lo dico per sgranocchiare qui quelle povere ossa andate in qualche cimitero da qualche parte in Europa insieme a qualche avanzo di radice, ma semplicemente perché non siamo bastardi. Forse non sappiamo chi siamo culturalmente, politicamente, nazionalmente, religiosamente, ma non è una buona ragione per errare, lasciarsi sgozzare come figli di scimmie o cani per le strade della nostra città, oppure aspettare che ci dica chi siamo un qualche sequestratore islamico prima di rilasciarci e regalarci un caftano e una copia del sacro Corano. Se quello che, in noi, è ancora capace di venerazione ci dice che non siamo bastardi, potremmo anche non essere ingrati, e risparmiarci persino il bisogno di partecipare a qualche movimento di riscoperta delle radici cristiane o di ritorno al cattolicesimo, magari in compagnia di qualche principessa cocainomane o attrice con il culo ancora fresco di calendario.

Insomma, benché animati da una curiosità spinta a tentare i limiti, e talvolta oscillando fra rivolta e obbedienza, restiamo pur sempre gli abitanti di uno spazio delimitato da regole liberalmente scelte, quelle della fedeltà e del disinteresse. E abbiamo il diritto di essere qui, e di voler pensare e agire contro la nostra dissipazione. Per non dire della dèrive, questa idiozia di un’Europa diventata – per improvvisa amnesia – una terra di Serbi e di Croati, di Crociati e di Saladini, di Cristiani e di Leoni. Ora, è evidente che se un gruppo di estremisti può immaginarsi come una eletta “comunità di fedeli” a sé stante, uno Stato teocratico in diretto contatto con il Comando espresso loro dall’ Onnipotente di combattere con tutti i mezzi il Male rappresentato dalle persone presso le quali vivono, ed esigere con le buone o con le cattive che i relativi membri rimangano al di sopra di ogni critica, significa che un tale gruppo o pulviscolo di fanatici non vuole più convivere pacificamente con gli altri ma si è imbarcato in un percorso di crudeli esazioni e di egemonia dai tratti astratti e violenti. Specialmente se un tale gruppo di barbuti , di incappucciati , di paraculi e di velate si pone al di sopra della verità, della giustizia e del genere umano.

Dopo che Theo van Gogh è stato ucciso ritualmente dal tagliagole islamista, un giovane emulo di Zarkawi, migliaia di persone invece di sfilare mestamente, zitte e mute, alla penombra spettrale delle fiaccolate espiatorie hanno fatto rumore con tamburi, pentole e fischietti nelle vie di Amsterdam. Fra loro, nella cupa atmosfera che si era creata, c’era una donna musulmana che ha dichiato: ” non ero d’accordo con van Gogh ma era una persona che ha usato la sua libertà di espressione. Ho deciso che dovevo assumermi la responsabilità di manifestare e dire che noi musulmani marocchini non sosteniamo questo atto.”

Ma la credenza musulmana tradizionale che la pena per la blasfemia sia la morte viene predicata ogni giorno dagli imam di numerose moschee e centri islamici in Europa, Corano alla mano, occhi iniettati di sangue e l’indice agitato su e giù. Nessuno realmente conosce quanti musulmani in Europa condividono i punti di vista della donna marocchina al raduno di quei cittadini olandesi e quanti parteggerebbero per l’assassino di van Gogh. Se ne rende conto anche Ahmed Aboutaleb, nato in Marocco e ora assessore all’Istruzione pubblica ad Amsterdam, che il giorno dopo l’omicidio ha insistito per l’espulsione di tutti gli estremisti. “In una società come quella olandese non c’è posto per persone che non condividono i nostri valori di base come la libertà religiosa, la parola libera e il principio dell’antidiscriminazione. Chi non le condivide, deve trarre questa conclusione e andarsene”, ha detto in una moschea marocchina di Amsterdam, esortando coraggiosamente i presenti a denunciare subito il minimo fondato sospetto di attività e propaganda terroristiche. Porre in essere azioni di prevenzione a lungo termine, potrebbe essere molto più efficace che azioni drammatiche e violente decise in base all’ira o alla collera del momento. La tentazione di una risposta violenta potrebbe condurre a una tragica ed inutile guerra civile muro contro muro, mentre un approccio più prudente e il ricorso alla coordinazione delle intelligenze e delle legislazioni anti-terroriste dei vari paesi europei, insieme all’ordinato uso della forza, alla comprensione e a qualche compromesso nato da un vero dialogo da entrambe le parti porterà maggiori frutti.

Glossa o sottotesto

D’altra parte, è anche vero che in fondo, molto in fondo, è dai “cuori” di creature ferite che, molecolarmente, può forse nascere un canale di comunicazione tra le moltitudini arabo-islamiche, anch’esse ferite, e “noi”: un “noi” rinnovato, cristiano, ma liberato dagli avanzi della vecchia metafisica e dei progetti politici globali. Un “noi” non smemorato o superficiale, in grado di praticare quella cultura che può davvero essere ospitale, perché nonostante le tante fortezze e belle stufe calde, siamo tutti ospiti. Tutti ospiti ed erranti nell’oceano della vita e della morte, nella prospettiva non dico di una nuova etica globale o di qualche Pace universale, ma di essere accolti come vuole il cuore. E non ditemi che si tratta solo di un fatto molto soggettivo, come direbbe anche Woody Allen, e che non proviene invece dal vecchio cuore malato dell’Europa: un vero cuore di poetessa, ovvero un cuore d’acciaio, ancora quindi capace di poesia, di accoglienza e di condivisione . E Dio sa se un po’ di poesia e d’ironia non sarebbe utile in questi lugubri momenti di guerra totale, ferocemente ideologica. In ogni caso, trattandosi di un funerale, solo la decenza m’impedisce di decostruire tutto, di mettere in gioco qualsiasi affermazione “ nel senso in cui Nietzsche mette l’affermazione in gioco, con un certo riso e con un certo passo di danza (J. Derrida, in La différance). Concordo con il decostruzionismo nel voler pensare il nome dell’essere senza il conforto del Libro, del Senso e dell’Uno, vale a dire senza nostalgia e quindi fuori dal mito della lingua puramente materna o puramente materna, della patria o della Umma perduta del pensiero. Tuttavia, pur diffidando di ogni appello assoluto, non sono proprio il buon soldato Sc’vèjk, e neanche un disertore. Insomma, nonostante la pratica di qualche modesta deviazione dalla virtù comune e qualche sguardo su deliziosi abissi, vette o baratri, credo di non aver ancora perduto del tutto il contatto con il mio quartier generale.

Oh, Gesù ! Certo, anch’io – come molti, credo – vivo il terrorismo maligno come si vive un cancro, un dolore, un ricordo o una vergogna, cercando di tenerlo al riparo, insieme al buon Gesù, da occhi indiscreti e progetti globali. Tuttavia sarebbe ancora più vergognoso e vile non uscire, per un momento, dalle righe dell’Ordine, per gridare in compagnia di un altro blasfemo, il marchese de Sade affacciato alle sbarre della Bastiglia: “ Cittadini, qui si uccidono prigionieri!”. Siamo stati tutti sequestrati dal terrorismo jihadista. Incomiciamo già a sentirci un po’ tutti delle vittime e a ricordarci della nostra lontana infanzia e delle radici, proprio come accade, puntualmente, alle vittime e ai carnefici. L’osservazione è di Freud: “ Vittime e carnefici si ricordano della loro prima infanzia”. Perché no ? C’è la merda, fratelli! Occorre pure che qualcuno vi porti la cattiva novella. Anche in Europa, per contaglio o rivalità mimetica , serpeggia la verdeggiante e giovane peste dell’odio.

Il problema è che il Super-io della nostra cultura ci comanda di amare il prossimo come noi stessi, di amare persino il nemico. Anzi, apparteniamo a una generazione che avrebbe voluto abolire dal vocabolario persino la nozione stessa di “nemico”. L’illusione di un mondo senza nemici non regge più, e la disillusione sarà lenta, si farà nel solco dei sogni di pace universale, di incubi ricorrenti e di folgoranti risvegli. Tutto ciò che nella cultura presente cercherà di conformarsi ideologicamente a quel nobile precetto, sventolando bandierine arcobaleno e andando dove porta il cuore, non farà che moltiplicare le escatologie triviali e svantaggiarci nei confronti di coloro che si pongono al di sopra del precetto culturale, inviandoci le bombe-umane e chissà quale altra porcheria, anche atomica. Quale formidabile ostacolo della cultura è l’aggressione, dal momento che la necessaria difesa contro di essa può renderci altrettanto infelici che l’aggressione stessa !

In un mondo in cui ogni luce è spenta, che pare ormai ridotto a un lunatico vortice di assurdità, quasi illeggibile se non in termini di disperazione di massa e di angoscia politica senza fondo, non resta che pregare in tempo, prima di porre concretamente in essere azioni di contrasto a breve termine e di prevenzione a lungo termine. Potrebbe essere molto più efficace che azioni drammatiche e violente decise in base all’ira o alla collera del momento. La tentazione di una risposta violenta potrebbe condurre a una tragica ed inutile guerra civile muro contro muro, mentre un approccio più prudente e il ricorso alla coordinazione delle intelligenze e delle legislazioni anti-terroriste dei vari paesi europei, insieme all’ordinato uso della forza, alla comprensione e a qualche compromesso nato da un vero dialogo da entrambe le parti forse porterà maggiori frutti. Forse…

IN RETE :

Cose mai viste ad Amsterdam

Risate, applausi e vino per il funerale al fumo di Gauloises di Van Gogh

Polizia ovunque. Il gruppo islamico che rivendicò Taba minaccia attacchi. Il clan degli amici scrive a Mohammed B.

L’arma dell’ironia contro i fanatici
Un gruppo di amici di Van Gogh ha usato contro i fanatici l’arma dell’ironia. Il giorno prima dei funerali ha inviato una lettera al suo assassino, Mohammed B., ferito alla gamba durante la sparatoria prima dell’arresto. E’ durissima e allo stesso tempo piena di humour, nello stile di Van Gogh. Contiene una feroce critica al buonismo multiculturale e alla politica mite del sindaco di Amsterdam, Job Cohen, che “per tenerci tutti insieme” fino a poco fa proponeva una politica il meno repressiva possibile:

Caro Mohammed e amici, che peccato che sia andata così. Non ci rendevamo conto di aver urtato così la vostra sensibilità. Ma abbiamo imparato la lezione! Come va la gamba? Impegnamoci comunque a tenerci uniti tutti insieme. Con un po’ di rispetto reciproco ci riusciremo di sicuro. Se no, diventa un casino. Potresti darci alcune regole severe su quel che possiamo e non possiamo dire? Dio mio, quanto ci dispiace che tutto questo sia dovuto succedere proprio durante il Ramadan! Faremo di tutto per capire meglio le vostre convinzioni religiose, per evitare ulteriori fraintendimenti. Ci vergognamo da morire, Mohammed. Se tu ti trovi in questa situazione difficile, di sicuro è anche colpa nostra. Questa volta siamo andati troppo in là! Ma facciamo mea culpa. Speriamo che in questa lettera non ci siano cose che potrebbero offendere te o i tuoi correligionari. In quel caso, chiediamo perdono, perché anche noi siamo un po’ frastornati. Bene, ragazzo, tieni duro, cerca di rilassarti, domani è un altro giorno. E ricordati, qualunque cosa succeda, continua a sorridere! Forza e arrivederci. Gli amici di Theo van Gogh”.

Il testo ha fatto il giro della stampa olandese; nessuno ha osato commentarlo negativamente.

Fonte: http://www.ilfoglio.it/articolo.php?idoggetto=19598

Glossa sulla dhimmitudine

( Aggiornamento Sabato 13 Novembre 2004)

E’ un weekend nuvoloso e avrei deciso di andare a cinema. Ma avrei qualcosa da aggiungere sulla dhimmitudine. Scritta nella perdita infinita di un amico barbaramente trucidato nelle vie della nostra città, sgozzato nel nome di Allah su un marciapiede di Amsterdam solo per avere criticato la condizione della donna nell’Islam ed espresso liberamente delle idee, sia pure discutibili, la lettera degli amici di Theo van Gogh diffusa durante il suo funerale ( non so se l’hai letta) esprime ironicamente una triste e troppo dolorosa verità: la condizione di dhimmi a cui sono votati gli abitanti dell’Europa post-nazionale, ovvero gli Eurabici, a cominciare dai francesi , i tedeschi, gli spagnoli e i turchi. La dhimmitudine – che peraltro porta oggi, da Chirac a Ciampi, passando per Bertinotti, a santificare la figura del vecchio terrorista Arraffat – nasce nei popoli e nei suoi dirigenti dalla paura e dalla speranza di poter ottenere qualche compenso dai propri lunatici vicini e di essere lasciati in pace, anche a costo di far finta di niente e di pagare sottobanco il “pizzo” ai prepotenti.

 

Oggi la dhimmitudine si configura come quella condizione e sindrome di asservimento che consiste nella sottomissione e nell’obbedienza alla politica musulmana per essere risparmiati dal jihad e dalla morte.

La dhimmitudine è connessa all’ideologia del jihad e alle disposizioni della sharia che si riferiscono al trattamento dei kafir ( miscredenti, letteralmente “ingrati” verso Allah) ed è un elemento fondamentale del complesso processo storico di re-islamizzazione delle vicine società arabo-islamiche in generale e medio-orientali in particolare, e di islamizzazione con le buone ( propaganda, entrismo, dissimulazione ecc. ) o con le cattive ( terrorismo) delle civiltà giudaico- cristiana, buddista e indù. Civiltà che peraltro avrebbero potuto incontrarsi come “due mani che si congiungono” e superare le semplicistiche metafische estroverse e un monoteismo dai tratti astratti e violenti – secondo l’espressione di Levi Strauss – e che però non a caso restano separate dalla spada dell’Islam oggi in pieno marasama paranoico-sacrificale e la sua ricorrente e violenta frapposizione.

L’America per il momento non intende rinunciare alla propria libertà e difficilmente potrebbe accodarsi all’Europa nella asservita condizione di un dhimmi, anzi manteniene la propria determinazione a combattere la guerra contro il jahidismo in nome della libertà e dei diritti umani .

Più in generale, l’epoca somiglia a quella dell’ascesa sfolgorante ( e proprio per questo non vista ) del nazismo in Europa, solo che allora c’era uno Stato, la Germania uscita umiliata dalla guerra e in pieno boom demografico, che incarnava le ambizioni del giovane totalitarismo in camicia bruna, mentre oggi l’oscurantismo armato è ubiquitario e globalmente diffuso fra moltitudini in preda a una vera e propria disperazione di massa. Poiché colpisce specialmente numerosi giovani islamici in “crisi d’identità”, la chiamo la peste verde, ma forse è più simile a un cancro e alle sue metastasi verdi, rosse e brune, che non a una peste semplicemente nera e in qualche modo isolabile e circoscrivibile in un ambito definito.

Alla luce sinistra del vocabolario religioso e fanatico usato dal fondamentalismo islamico e messo in pratica dal jahidismo, così come dell’interesse che gli ambienti estremisti dimostrano per le armi chimiche, batteriologiche e atomiche, il pericolo è di estrema gravità e il problema fondamentale resta, ancora una volta, se, e fino a che punto, le civilizzazioni e le culture riusciranno a dominare i turbamenti e i marasmi della vita collettiva provocati dalle pulsioni aggressive e distruttive degli uomini e delle donne cosiddetti civilizzati.

Buona parte della presente inquietudine, infelicità, apprensione deriva dal terrorismo di matrice islamica e transnazionale, che rischia di contagiarci tutti in una guerra che sembra volersi consumare senza fine sul pianeta in bilico: la sempiterna lotta fra i dèmoni, i fantasmi e i corpi dell’odio e dell’amore, il cui esito resta imprevedibile. In Europa se qualcosa ci opprime non sempre siamo stati capaci di ribellarci, ma poi per fortuna è arrivata la cavalleria a stelle e strisce. Non è detto che potrebbe essere ancora così e che non si diventi eurabici, asserviti e spenti in un’Europa, penisoletta dell’Asia, trasformatasi – per improvvisa amnesia – in una terra di Serbi e di Croati, di Saladini e di Crociati, di Indios con la kefiah e di babbuini col machete, ritornando così all’età della pietra e della clava fra i deserti di polvere roteante e sotto nubi radioattive dal Mediterraneo alla Scandinavia.

Per i lugubri ayatollah avere qualche milione di martiri in estatico godimento nel paradiso delle Urì sarebbe il massimo a cui porterebbe lo sforzo estremo sulla via di Allah. E in fondo, molto in fondo, neanche per noi cattolici – parlo per me – non sarebbe una così grande tragedia, dal momento che sappiamo che questo mondo non è eterno e che gli enigmi dell’odio e dell’amore troveranno svelamento e compimento nell’Apocalisse che fu annunciata ai profeti e ai nostri padri e madri. Ma per gli altri ? Per quelli che non sono così fanatici ? Risvegliarsi all’improvviso e impreparati in Paradiso potrebbe anche essere un inferno.

E’ sempre sgradevole criticare e apparire come uno di quei villani che, mentre il tempo stringe, ti chiamano con un fischio o ti sbattono la realtà, l’atroce realtà, sul pavimento. Ad ogni modo, prima che il fanatico ci sgozzi per affrettare i tempi, mentre ce ne andiamo tranquillamente in bicicletta per le vie della città, o che salti il supermercato all’angolo e la stazione centrale, forse sarebbe meglio pregare in tempo e prepararsi in tempo alle cose mai viste e all’inaudito. Facendo appello, aggiungerei, più che agli avanzi di radice o a qualche rizoma desiderante, alle risorse civili, militari, culturali e spirituali che forse ancora restano al cuore malato e così poco intrepido della vecchia Europa . Forse. A meno che non sia meglio dimenticare tutte queste brutte storie che ci uccidono, minimizzare, negare, rassegnarsi e seppellire in fretta, facendo finta che non sia successo niente, e però con il rischio di svegliarci, ancora volta, dopo l’olocausto, fra quelli che non sapevano e che non avranno mai saputo. D’altra parte è anche vero che è quando si vuole sapere che ci si sbaglia. Se non fossero oggi in vigore il politicamente corretto e condizioni demagogiche per la costituzione di una coscienza, direi di fare appello a una coscienza e alle fragili libertà che ancora ci restano, indispensabili all’esercizio di una coscienza.

***


La Paura, da “Fisiologia delle passioni”, album del dottor Guillame Duchenne de Boulogne, 1862

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Joseph Ratzinger
Ratzinger, l’Occidente che fu e quello che sarà
I
l Foglio, 14 maggio 2004
«L’Occidente tenta sì in maniera lodevole di aprirsi pieno di compassione a valori esterni, ma non ama più se stesso; della sua propria storia vede oramai soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo, mentre non è più in grado di percepire ciò che è grande e puro. La multiculturalità sicuramente non può sussistere senza rispetto di ciò che è sacro. Certo, noi possiamo e dobbiamo imparare da ciò che è sacro per gli altri, ma proprio davanti agli altri e per gli altri è nostro dovere nutrire in noi stessi il rispetto davanti a ciò che è sacro e mostrare il volto di Dio che ci è apparso – del Dio che ha compassione dei poveri e dei deboli, delle vedove e degli orfani, dello straniero; del Dio che è talmente umano che egli stesso è diventato un uomo, un uomo sofferente, che soffrendo insieme a noi dà al dolore dignità e speranza».

  • Marcello Pera
    Per un jihad giudeo – cristiano
    Il Foglio, 14 maggio 2004
    «Mentre noi consentiamo che accanto alle chiese delle nostre parrocchie fioriscano moschee, nella stragrande maggioranza dei paesi musulmani non è concesso costruire una chiesa. Peggio, mentre i musulmani non consentono la reciprocità dei nostri principi e valori, noi ci concediamo la decostruzione relativistica di quegli stessi principi e valori e teorizziamo il dialogo. Un esempio di questa debolezza è nel modo in cui è si è negativamente risolta la questione del richiamo alle radici cristiane nel preambolo della Costituzione dell’Europa unita. È vero che la maggior parte delle nostre conquiste derivano, positivamente o criticamente, dal messaggio di Dio che si è fatto uomo (…). E allora, perché è andata così? Nell’era del relativismo trionfante il vero non esiste più. La missione del vero è considerata fondamentalismo, e la stessa affermazione del vero fa paura o solleva timori. Non sto chiedendo il rifiuto del dialogo. Sto chiedendo un’altra cosa, che è più fondamentale: sto chiedendo la consapevolezza che il dialogo non serve a niente se, in anticipo, uno dei dialoganti, dichiara che una tesi vale l’altra».

  • incontro al Teatro Nuovo di San Babila, con Buttiglione e Ferrara, titolato IL PROCESSO ALLA STREGA CATTOLICA:

    http://audio-5.radioradicale.it/ramgen/s7.2.2/uni_michele_0_20041106191846.rm?start

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