I bambini di Sderot:
"Cosa direbbero la’ in Italia se i loro figli dovessero vivere come viviamo noi?".
Sono arrivati cinque autobus da Sderot, cinque autobus pieni di bambini stressati dai continui bombardamenti palestinesi sulla citta’ israeliana del Neghev.
Ho voluto incontrarli per testimoniare a chi non sa e non immagina, a chi legge distrattamente che sono caduti altri razzi Qassam su Sderot o sui kibbuz e villaggi israeliani della zona e poi gira pagina e dimentica immediatamente.
Yosef-Ori’ ha otto anni e mezzo, ci tiene che scriva anche il "mezzo", capelli neri corti, kippa’ in testa come gli altri e due occhi nerissimi e vivacissimi che mentre parla diventano cupi e spaventati.
La parola che esce costantemente dalla sua bocca e’ "pachad" , paura, e mi fa venire un brivido di emozione mentre si butta a terra per farmi vedere in che posizione devono mettersi ogni volta che il lancio dei qassam li sorprende per la strada: ventre a terra, schiacciandosi il piu’ possibile contro il selciato e mani strette alla nuca.
"Due giorni fa sono caduti 11 qassam davanti a casa mia, a cinque metri da noi, tutto tremava, abbiamo avuto tanta paura e non abbiamo fatto nemmeno in tempo a correre nel rifugio" mi racconta con gli occhi spalancati ma senza una lacrima.
Si rasserena quando si mette a descrivere l’accoglienza che hanno ricevuto qui a Rehovot dove sono stati invitati da un’organizzazione religiosa Chabad che ha un nome molto significativo "Vivere con dignita’" .
"Ci hanno portati nel Giardino dell’Eden" dice sorridendo felice.
Il Giardino dell’Eden sarebbe un ambiente antistress dove i bambini israeliani spaventati dal terrorismo e dai bombardamenti dei palestinesi vengono curati psicologicamente da personale specializzato.
E’ un ambiente pieno di giochi, di fontanelle, di colori dove i bambini possono rilassarsi, stare a piedi nudi e correre, sdraiarsi a terra su un pavimento morbido, ascoltare la musica che viene suonata in continuazione e parlare con medici e paramedici vestiti come loro, come loro a piedi nudi, che giocano e ascoltano , soprattutto ascoltano.
Chaia ha 14 anni, ne dimostra meno, e’ una bella bambina con lunghi capelli castani, sorridente, mi racconta che non possono mai fare la doccia da soli ma sempre con un adulto della famiglia, che non possono mai uscire da soli, che escono poco e sempre vicinissimi ai rifugi perche’ dall’allarme alla caduta del razzo passano SOLO 15 secondi.
Credo di aver capito male "15 minuti ?" chiedo a conferma di quella che e’ solo una mia speranza.
"NO, 15 secondi" E dove vanno in 15 secondi? corrono nei rifugi o si gettano a terra , mani sulla testa. Non possono fare nient’altro! E sperare di non morire.
Chaia mi parla di Ella, la ragazzina di 17 anni uccisa da un razzo mentre col suo corpo proteggeva il fratellino piccolo. Ella era amica della sorella maggiore , la vedeva spesso a casa.
"Adesso e’ morta". Abbassa gli occhi e non dice altro.
Chiedo a Daniel, 10 anni e a Nachum 11 se questo e’ quello che succede tutti i giorni. "Si, tutti i giorni e piu’ volte al giorno". Raccontano che a scuola e’ piu’ pericoloso perche’ sono in tanti e che fanno ogni giorno le prove per andare nei rifugi in modo ordinato e tranquillo, senza correre e senza agitarsi.
Ho la gola chiusa.
A 60 anni dalla Shoa’, penso, ancora bambini ebrei devono vivere costantemente colla paura di essere ammazzati. Non c’e’ mai stata una tregua, finita la persecuzione in Europa sono incominciate le guerre arabe qui a casa nostra e il terrorismo arabo sempre dentro casa e bambini ammazzati e bambini spaventati, senza sosta. Senza un attimo di sosta, dall’odio europeo all’odio arabo, dall’orrore di Aushwitz a Ma’alot, a sei guerre, a centinaia di bambini ammazzati nei roghi degli autobus. Quando finira’?
Sono piena di ammirazione per questi bambini coraggiosi che raccontano la loro tragedia senza fare scenate isteriche, senza piagnistei , anche se ne avrebbero tutto il diritto. Mi parlano tranquillamente, serenamente, con chiarezza e con coraggio.
Chiedo "Cosa vorreste ricevere in regalo?"
Chaia risponde timidamente "La fine della paura".
Josef-Ori’, con gli occhioni sorridenti: "ci piacerebbe avere a Sderot il Giardino dell’Eden ma costa tantissimi soldi".
Facciamo un colletta? Chiedo. "Magari" e’ la risposta di tutti e sono tornati ad essere dei bambini sorridenti che aspettano un regalo.
Cosa vorreste dire agli italiani?
E il piccolo Josef-Ori’ al quale non manca mai la battuta, mi guarda serio serio e dice lentamente, quasi soppesando ogni parola: " Cosa direbbero la’ in Italia se i loro figli dovessero vivere come viviamo noi?".
Deborah Fait –informazionecorretta
—
Terrorismo
Da siti densamente popolati, non esitando a farsi scudo della propria gente, terroristi lanciano missili Qassam verso la popolazione civile di Sderot.
La comunità internazionale condanna, esorta, consiglia ma sostanzialmente si tiene fuori. A Olmert a Londra dal premier britannico Tony Blair, viene suggerito di riprendere i contatti con il presidente palestinese Abu Mazen per aiutarlo nella sua lotta intestina contro il governo di Hamas. Intanto, la piccola democrazia israeliana ha il diritto e il dovere di difendere la popolazione civile, e poiché colpisce da settimane il nord di Gaza con operazioni mirate per bloccare le cellule che si preparano a lanciare i Qassam, nel ping-pong esplosivo tra i perfidi missili Qassam e gli obici da 155mm della infelice e necessaria autodifesa israeliana, il circolo della violenza non ha speranza di interrompersi. A meno che Hamas e l’Autorità palestinese non si convincano a fermare i lanci dei missili dei terroristi, e a parlarsi – tra loro e con Israele.